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Rivisitiamo la Teoria dei Cani

La Teoria dei Cani, nella sua versione originale, è una strategia d’investimento che si applica all’indice azionario Dow Jones 30 e che, già sperimentata a partire dagli anni ’30, è stata resa popolare al grande pubblico da un libro, Beating the Dow, pubblicato nel 1991 con la firma di Michael O'Higgins e John Downes

di La redazione di Soldionline 27 set 2006 ore 10:52
Chi sono i Cani e perché si chiamano in questo modo? I Cani del Dow Jones 30 sono i 10 titoli dell'indice che il 31 Dicembre di ogni anno offrono il più elevato dividend yield. Essi vengono selezionati come investimento per l'anno successivo. Perché questi titoli dell'indice sono chiamati 'Cani'? Secondo un'interpretazione benevola, perché rappresenterebbero i segugi che tirano la volata a tutto il resto dell'indice dal quale sono estratti. Infatti, la teoria è basata sull'idea che i titoli con il rendimento più elevato da dividendi abbiano le maggiore chance di rivalutarsi. Secondo una possibile interpretazione del razionale economico che sostiene la teoria, un prezzo basso di un'azione rispetto al dividendo può costituire un indicatore che il titolo è sottovalutato: con il tempo il mercato dovrebbe correggere le proprie valutazioni.

    La mitologia creata attorno alla Teoria sostiene, dunque, che i Cani del Dow Jones 30 tendenzialmente battono l'indice. In effetti, il Financial Analyst Journal del Luglio/Agosto 1997 pubblicò un'analisi rigorosa sulle performance della strategia nel periodo 1946-1995 e stimò un rendimento (aritmetico) medio annuo del 16,7% contro il 13,7% del Dow, sia pure al prezzo di una più elevata volatilità.

    Tuttavia, negli ultimi dieci anni, anche se i Cani del Dow hanno dimostrato di offrire una certa protezione relativa ai ribassi di borsa negli anni dello sboom borsistico post bolla, non sono riusciti a battere l'indice Dow Jones 30.

    In passato non sono stato particolarmente attratto dall'originale Teoria dei Cani perché i risultati mi parevano erratici e perché l'ho sempre considerata una rozza semplificazione della teoria del valore d'impresa. Aziende ad elevata crescita come Microsoft hanno registrato le loro maggiori rivalutazioni in borsa quando non pagavano alcun dividendo e, al contrario, l'avvio di campagne di dividendi sono sempre interpretate dal mercato come segnale di incipiente maturità del business. Tuttavia, va riconosciuto che la Teoria dei Cani ha il pregio della comprensibilità e della semplicità operativa. Se, oltre ad essere comprensibile e semplice, funzionasse anche (con una certa regolarità), potrebbe essere presa in considerazione per una gestione professionale.

    Un paio di 'variazioni sul tema' della Teoria dei Cani consentono di rivalutare la Teoria e, soprattutto, di trarre alcune riflessioni che mi stanno particolarmente a cuore e la cui rilevanza metodologica va oltre la stessa teoria in oggetto.

    Ancora una volta utilizzo un data base delle azioni statunitensi per effettuare i backtesting che mi interessano e li realizzo per il periodo 2002-9/2006 in modo da avere un metro di paragone omogeneo con le risultanze calcolate sul Dow Jones 30, riportate in fondo alla tabella precedente. In quel periodo i Cani hanno battuto il DJ 30 di circa 10 punti percentuali (42,8% vs. 32,9%). Più precisamente, ho condotto le simulazioni su 20 periodi di 12 settimane (che per semplicità chiamerò trimestri) dal 28.12.2001 all' 8.9.2006.

    I risultati di sintesi sono riportati nella tabella sotto rappresentata:
    Prima considerazione. Una certa modestia nei risultati dell'originale Teoria dei Cani dipende dall'angustia dell'universo di estrazione (il Dow Jones 30), che limita molto la 'diversità' economico-finanziaria dei suoi appartenenti e, quindi, la possibilità di scelte radicalmente alternative in termini di tipologia di società selezionate all'interno dell'indice.

    Se invece di estrarre 10 titoli dai 30 del Dow Jones, se ne estraggono 50 dallo S&P 500 con lo stesso criterio, il risultato è assai diverso. I Cani dello S&P 500 battono l'indice di oltre 60 punti percentuali e non di solo 10, con una rotazione trimestrale di portafoglio modesta, del solo 13,5% (54% all'anno). Nella selezione attuale delle 50 società, il titolo minore estratto ha una capitalizzazione di mercato di 5,7 miliardi di dollari.

    Nel grafico sotto è rappresentata la performance trimestrale al lordo di commissioni di negoziazione. Si osservi la progressione dell'equity curve negli ultimi trimestri, nonostante l'evidente stanchezza dell'indice.


    Proviamo, ora, ad estrarre 50 società non dalle prime 500 statunitensi, bensì dalle prime 1500 con lo stesso criterio del più elevato dividend yield. La capitalizzazione media delle società in portafoglio cade significativamente e la società più piccola in portafoglio ha un capitalizzazione di borsa di soli 1,2 miliardi di dollari, una capitalizzazione di tutto rispetto per il metro italiano, ma una small cap (sebbene non micro) per il mercato USA. Il delta di rendimento sull'indice S&P 500 sale ad oltre 90 punti percentuali, il turnover trimestrale di portafoglio aumenta leggermente (quasi 20%, cioè 80% annuo) ma il massimo drawdown si riduce significativamente, quasi si dimezza rispetto all'indice. Ovviamente, man mano che l'universo di estrazione si amplia, influisce in maniera crescente sul risultato anche l'effetto small/smaller cap.
    Per sintetizzare, una teoria che può essere promettente, se applicata in un contesto molto limitato, può solo produrre risultati modesti. Questa è anche una probabile spiegazione della modestia di risultati dell'esperimento denominato 'Cani del Mib' in corso su Soldionline.

    In tutte le strategie di tipo 'estrattivo/rotazionale' (cioè di estrazione da un universo e di rotazione periodica dei titoli estratti), siano esse tecniche, siano esse fondamentali, siano esse miste, maggiori sono i gradi di libertà operativa (cioè maggiore è l'ampiezza dell'universo di estrazione), maggiore è la probabilità di risultati significativi e persistenti.

    Per usare una metafora, nel paese dove vivo ci sono alcune belle ragazze ma se dovessi selezionare Miss Italia vorrei avere un territorio un po' più ampio per sceglierla.

    Seconda considerazione. Il periodo annuale di riassortimento di portafoglio previsto dalla teoria originale è troppo lento. Un riassortimento trimestrale sull'S&P 50 produce risultati migliori che un riassorbimento semestrale ed uno mensile produce risultati ancora migliori di uno trimestrale, ma non così migliori da giustificare, in questo caso, il maggior onere di un riassortimento mensile.

    Anche qui, senza cadere nella trappola del trading forsennato, strategie attive di portafoglio richiedono di essere riesaminate con una frequenza maggiore che quella annuale. D'accordo essere investitori di lungo termine, ma non esageriamo con l'immobilismo!

    Terza considerazione. La Teoria dei Cani nella sua versione originale è, come abbiamo già visto, poco selettiva/discriminante. Lo si può dimostrare anche per altra via.

    Lo yield corrente del nostro primo portafoglio (50 società estratte da un universo di 500) è attualmente del 4,5% contro uno yield corrente (medio non ponderato) dell'1,5% per i primi 500 titoli dello S&P 500. Il differenziale attuale è di tre punti percentuali. Ma una elementare coerenza interpretativa della Teoria dei Cani vuole che sia il delta dividend yield a governare l'extrarendimento sull'indice.

    Ebbene, negli ultimi 10 anni il differenziale di rendimento corrente (dividend yield) tra i Cani del Dow ed il Dow, misurato all'inizio di ogni anno, non ha mai raggiunto il 2%, se non proprio all'inizio del 2006, anno in cui, in effetti, i Cani stanno eccezionalmente doppiando l'indice da cui sono estratti. Ma, senza l'eccezionale performance dei primi mesi del 2006, i Cani del Dow non starebbero battendo l'indice nel periodo 2002-9/2006, ne sarebbero battuti.


    Per cui, pur fatte salve le qualità di protezione del capitale di un portafoglio di Cani nelle fasi successive alle bolle speculative, raramente i 'Cani originali' riescono a produrre un dividend yield nettamente superiore a quello dell'indice Dow Jones e, quindi, ad essere significativamente diversi dall'indice da cui sono estratti proprio per quella specifica qualità (il dividend yield, appunto) per cui sono selezionati ('Much adoo for nothing').

    Consideriamo, ora, il secondo portafoglio testato (50 società estratte da un universo di 1500). Il suo dividend yield medio è dell'8%, il differenziale con il dividend yield medio non ponderato dello S&P 500 è attualmente di ben 6,5 punti percentuali. La sua extra-performance è nettamente superiore a quella del primo portafoglio (90 punti percentuali vs. 60), ma anche il suo delta dividend yield sull'indice è nettamente superiore (6,5 punti percentuali vs. 3,0), grazie all'accesso ad un universo ben più ampio.

    Conclusioni

    Una teoria che ci appare di incerta utilità pratica può risultare più convincente se viene rivisitata in un contesto applicativo diverso e, nella fattispecie, più ampio.

    Per questo sono convinto che un modo parsimonioso per fare ricerca finanziaria sia quello di partire dalla ricerca già consolidata e ragionarci su. Se alcune teorie sono in circolazione da molto tempo è probabile che, almeno per alcune di esse, ci sia una buona ragione di fondo. Nel caso della Teoria dei Cani, inoltre, è stata presa così sul serio che alcuni fondi comuni statunitensi la hanno persino adottata per una porzione dei loro investimenti, non per la totalità solo perché i mutual fund americani non possono investire più del 5% del patrimonio in una singola azione. In passato Merryll Lynch lanciò uno Unit Trust (il Select-10) che replicava la strategia dei Cani che giunse ad avere ben 14 miliardi di dollari in gestione. Quindi, nel 'mito' qualcosa di vero deve pur esserci ...

    I risultati dei backtesting qui presentati sono il frutto di un''infida' attività di data mining? No, di certo. La teoria originale non è stata adattata, semplicemente è stato ampliato in maniera più razionale l'universo di estrazione dei titoli.

    Avete anche imparato un'altra lezione metodologica. Se credete di aver individuato una 'legge generale di mercato' che ispira una possibile strategia di investimento in grado di perseguire efficacemente importanti extra-rendimenti su un benchmark, applicate quella legge nella maniera più 'estremista' possibile, pur sotto i necessari vincoli di liquidità minima dei titoli e di diversificazione di portafoglio.

    Inoltre, avete preso visione di un'altra manifestazione delle specifiche caratteristiche dello stock screening rispetto allo stock picking. Nello stock picking è necessario conoscere ogni dettaglio essenziale delle società in cui si investe (e, quindi, è un'attività molto time consuming); nello stock screening interessa conoscere e verificare le caratteristiche comportamentali delle società come gruppo d'insieme e la razionalità economica cui tali caratteristiche rispondono.

    Infine, ovviamente non esiste strategia che funzioni al meglio in ogni condizione di mercato. Strategie value e growth normalmente prevalgono in fasi di mercato diverse, così come strategie large cap e small cap. La Teoria dei Cani può certamente classificarsi tra le teorie di ispirazione value. Anche lei ha avuto ed avrà le sue fasi cicliche di sfavore nel sentiment degli investitori.

    L'ideale nella gestione sistematica è poter contare su diversi modelli alternativi e di un modello strategico superiore che decide in ogni periodo quali modelli devono essere applicati e quali, invece, devono restare di riserva fino a diversa indicazione. Questo vale nelle multi-strategie complesse di portafoglio e, ovviamente, anche nella gestione tramite fondi di terzi che hanno stili di investimento diversi.

    Ed è questo, ormai, l'oggetto prevalente dei miei interessi intellettuali e professionali.



Paolo Sassetti
Analista finanziario indipendente, socio Aiaf




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