Riappropriarsi della sovranità fiscale
Il tema dellla lotta all'evasione fiscale torna di moda, come sempre in relazione a buchi di bilancio da riempire, e non come affermazione di un principio di equità e uguaglianza tra cittadini. Paolo Sassetti, in questo articolo, si dedica in particolare al meccanismo perverso della "stabile organizzazione estera". Molto interessanti e sempre di attualità anche i suoi articoli scritti vari anni fa, che vi riproponiamo.
di La redazione di Soldionline 5 ott 2005 ore 08:47
Il Sole-24 Ore del 7 Gennaio 1998 riportava la notizia che il Ministero delle Finanze tedesco stava esaminando la possibilità di pagare informatori esterni che fornissero indicazioni su casi di evasione fiscale. Il Ministero ha dichiarato che, entro certi limiti, tali pagamenti 'non rappresentano un fatto inusuale'. La proposta di ricompense era stata portata all'attenzione del Ministero delle Finanze tedesco dalla regione della Saar che confina con il Lussemburgo. Le autorità fiscali di quella regione avevano ricevuto un'offerta da parte di un intermediario francese che si diceva pronto a fornire un elenco di 270 cittadini tedeschi intestatari di conti 'in nero' per una cifra complessiva stimata in circa 150 milioni di marchi presso una banca lussemburghese. L'intermediario reclamava una ricompensa di 500 mila marchi tedeschi.
Il presidente dell'Associazione dei Contribuenti tedeschi, tal Karl-Heinz Daeke, avrebbe commentato - con un formidabile parallelismo storico - che la decisione potrebbe portare al risorgere delle 'inqualificabili pratiche delatorie dei nazisti e dei comunisti'.
Il Ministero delle Finanze tedesco si è sentito in obbligo di precisare che le ricompense possono essere lecite se le informazioni oggetto delle ricompense non siano state acquisite in maniera delittuosa e se 'non costituiscono un incentivo alla delazione'. Ma perché no? Cosa c'è di male nella delazione quando riguarda dei reati? Evidentemente l'evasione fiscale non è ancora considerata un vero reato nella coscienza collettiva. Probabilmente per questa ragione di comune sentire lo stesso Ministero delle Finanze tedesco si è sentito in obbligo di esprimersi in maniera tanto prudente e circostanziata senza polemizzare con quel poveraccio di presidente dell'Associazione dei Contribuenti al quale il cervello è evidentemente andato 'in pappa'.
* * * * *
Ho già scritto che la pressione fiscale ha raggiunto livelli assurdi e controproducenti nel nostro Paese. Alcuni provvedimenti fiscali che vengono ufficialmente presi con l'obiettivo di render più equo il Paese, lo rendono di fatto più povero.
Il Sole-24 Ore di Lunedì 2 Marzo 1998, ad esempio, ha riportato il bilancio dei provvedimenti presi nella Legge Finanziaria 1997 in merito alla minore deducibilità fiscale delle automobili aziendali. In un anno in cui gli incentivi alla rottamazione delle automobili vecchie hanno fatto salire le vendita di automobili nuove a livelli record, la vendita di auto aziendali è calata del 15%. La stima dei produttori e degli importatori di automobili è per un minor fatturato 1998 di 4.000 mld con un perdita di gettito IVA e di imposte sulle immatricolazioni di 705 mld: un vero autogol fiscale !
La elevata pressione fiscale non può, tuttavia, essere un alibi per giustificare l'evasione del fisco. Non può essere una giustificazione morale ma neppure una giustificazione accademica. Infatti, se l'economia di un Paese viene strozzata da una fiscalità opprimente e - a causa di essa - soffre di un processo di de-industrializzazione, allora tanto vale prenderne atto pragmaticamente e ridurre la fiscalità ad un livello tale per il quale l'evasione non sia più una questione di 'sopravvivenza'. Piuttosto che tenere la fiscalità ad un livello teoricamente assurdo ed accettare di buon grado un elevato grado di evasione.
L'idea di una 'taglia sulle evasioni' mira proprio a questo obiettivo. Se opportunamente coordinata con riduzioni fiscali automatiche, implementabili man mano che l'effetto di deterrenza indotta da questo provvedimento facesse aumentare gli imponibili dichiarati, questo provvedimento consentirebbe di ridurre la pressione fiscale sul PIL anche se, ovviamente, esso avrebbe anche degli effetti re-distributivi a favore dei contribuenti onesti ed a sfavore di quelli disonesti.
Ma c'è un ulteriore implicazione di questa proposta che merita di essere adeguatamente evidenziata. Per meglio comprenderla è utile prendere spunto da un episodio di cronaca giudiziaria che ha messo in imbarazzo le nostre autorità fiscali e del quale è possibile trovare una descrizione in due articoli pubblicati su Il Sole-24 Ore del 22 Gennaio e del 17 Febbraio 1998.
In seguito alle indagini condotte dal pool 'Mani Pulite' sullo scandalo IMI-Sir, gli ispettori del Secit avevano avviato un'indagine sulle evasioni fiscali di cui si erano resi responsabili l'on. Previti, il giudice Squillante e l'avv. Pacifico. Purtroppo, gli accertamenti fiscali dei nostri ispettori erano risultati 'illegittimi' in quanto in contrasto con gli accordi italo-svizzeri che escludono che elementi acquisiti, sia pure indirettamente, tramite le rogatorie svizzere possano essere utilizzate a fini fiscali. La linea che il Governo decise di seguire fu quella del male minore, ovverosia quella di annullare gli accertamenti del Secit onde non compromettere tutta l'inchiesta sullo scandalo IMI-Sir. Secondo quanto riportò il quotidiano della Confindustria 'l' epilogo della vicenda non soddisfa i legali della Fininvest, secondo i quali il problema della violazione del principio di specialità è generale poiché la documentazione ricevuta dalla Svizzera è stata utilizzata per perseguire l' infrazione di violazione della legge sul finanziamento pubblico dei partiti, mentre tale utilizzo era proibito dalle autorità svizzere in quanto tale infrazione è sconosciuta al diritto svizzero'.
Senza entrare nel merito della vicenda, che pure lascia pensare in quanto la linea difensiva dei legali della Finivest pare legata a questioni puramente formali e procedurali, questa vicenda offre lo spunto per una riflessione più generale sul ruolo di copertura che la vicina Svizzera offre ormai da tempo immemorabile ai reati finanziari. Se questa copertura poteva avere un significato positivo e persino 'liberale' quando la libera circolazione dei capitali era impedita fuori dal nostro Paese, oggi non lo è più. I capitali espatriati illegalmente dall'Italia alla Svizzera appaiono sempre meno simili agli anarchici che si rifugiavano in Svizzera durante il ventennio fascista e sempre più simili a capitali di dubbia provenienza. Se si osserva il modesto livello di servizio mediamente offerto dal sistema finanziario luganese e lo si rapporta ad i suoi elevati costi imposti ai clienti di banche e finanziarie, la conclusione è che il 'taglieggiamento legale' al quale i capitali italiani espatriati illegalmente sono soggetti è il prezzo da pagare per godere di una condizione di anonimato.
La Svizzera Italiana ha vissuto di questa rendita per svariati decenni. Ma la Svizzera è un Paese sovrano e può giustamente fare quello che crede meglio per il benessere dei suoi cittadini anche se a volte ciò è moralmente dubbio. Oltretutto è un Paese con molte virtù politiche e sociali.
Ma anche l'Italia è un Paese sovrano e nulla vieterebbe ad essa di remunerare in modo adeguato quei cittadini elvetici che fornissero informazioni su reati valutari o fiscali compiuti da cittadini italiani. Come la Svizzera sembra talvolta accettare obtorto collo una collaborazione con la nostra magistratura perché non potrebbe sottrarsi ad alcuni doveri basilari di cooperazione internazionale, ma condiziona questa collaborazione al fatto che la documentazione di alcuni reati non possa essere utilizzata per perseguirli, analogamente l'Italia potrebbe 'spuntare' la rendita di posizione su cui il Ticino è finora vissuto, garantendo denaro ed impunità ai fornitori di informazioni su infrazioni valutarie e fiscali di cittadini italiani. Bastebbero un paio di casi di clamorosa 'delazione' per mettere in discussione la capacità del sistema svizzero di fornire adeguata copertura a questi capitali.
Paolo Sassetti
(nota 1)
Si tratta di questi articoli di Paolo Sassetti, che potete leggere cliccando su ciascuno:
'Come stanare facilmente i grandi evasori', Marzo 1998;
'Perché la lotta all'evasione è ancora un tabù', Settembre 1998,
'Riappropriarsi della sovranità fiscale', Ottobre 1998
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Il Ministero delle Finanze tedesco si è sentito in obbligo di precisare che le ricompense possono essere lecite se le informazioni oggetto delle ricompense non siano state acquisite in maniera delittuosa e se 'non costituiscono un incentivo alla delazione'. Ma perché no? Cosa c'è di male nella delazione quando riguarda dei reati? Evidentemente l'evasione fiscale non è ancora considerata un vero reato nella coscienza collettiva. Probabilmente per questa ragione di comune sentire lo stesso Ministero delle Finanze tedesco si è sentito in obbligo di esprimersi in maniera tanto prudente e circostanziata senza polemizzare con quel poveraccio di presidente dell'Associazione dei Contribuenti al quale il cervello è evidentemente andato 'in pappa'.
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Ho già scritto che la pressione fiscale ha raggiunto livelli assurdi e controproducenti nel nostro Paese. Alcuni provvedimenti fiscali che vengono ufficialmente presi con l'obiettivo di render più equo il Paese, lo rendono di fatto più povero.
Il Sole-24 Ore di Lunedì 2 Marzo 1998, ad esempio, ha riportato il bilancio dei provvedimenti presi nella Legge Finanziaria 1997 in merito alla minore deducibilità fiscale delle automobili aziendali. In un anno in cui gli incentivi alla rottamazione delle automobili vecchie hanno fatto salire le vendita di automobili nuove a livelli record, la vendita di auto aziendali è calata del 15%. La stima dei produttori e degli importatori di automobili è per un minor fatturato 1998 di 4.000 mld con un perdita di gettito IVA e di imposte sulle immatricolazioni di 705 mld: un vero autogol fiscale !
La elevata pressione fiscale non può, tuttavia, essere un alibi per giustificare l'evasione del fisco. Non può essere una giustificazione morale ma neppure una giustificazione accademica. Infatti, se l'economia di un Paese viene strozzata da una fiscalità opprimente e - a causa di essa - soffre di un processo di de-industrializzazione, allora tanto vale prenderne atto pragmaticamente e ridurre la fiscalità ad un livello tale per il quale l'evasione non sia più una questione di 'sopravvivenza'. Piuttosto che tenere la fiscalità ad un livello teoricamente assurdo ed accettare di buon grado un elevato grado di evasione.
L'idea di una 'taglia sulle evasioni' mira proprio a questo obiettivo. Se opportunamente coordinata con riduzioni fiscali automatiche, implementabili man mano che l'effetto di deterrenza indotta da questo provvedimento facesse aumentare gli imponibili dichiarati, questo provvedimento consentirebbe di ridurre la pressione fiscale sul PIL anche se, ovviamente, esso avrebbe anche degli effetti re-distributivi a favore dei contribuenti onesti ed a sfavore di quelli disonesti.
Ma c'è un ulteriore implicazione di questa proposta che merita di essere adeguatamente evidenziata. Per meglio comprenderla è utile prendere spunto da un episodio di cronaca giudiziaria che ha messo in imbarazzo le nostre autorità fiscali e del quale è possibile trovare una descrizione in due articoli pubblicati su Il Sole-24 Ore del 22 Gennaio e del 17 Febbraio 1998.
In seguito alle indagini condotte dal pool 'Mani Pulite' sullo scandalo IMI-Sir, gli ispettori del Secit avevano avviato un'indagine sulle evasioni fiscali di cui si erano resi responsabili l'on. Previti, il giudice Squillante e l'avv. Pacifico. Purtroppo, gli accertamenti fiscali dei nostri ispettori erano risultati 'illegittimi' in quanto in contrasto con gli accordi italo-svizzeri che escludono che elementi acquisiti, sia pure indirettamente, tramite le rogatorie svizzere possano essere utilizzate a fini fiscali. La linea che il Governo decise di seguire fu quella del male minore, ovverosia quella di annullare gli accertamenti del Secit onde non compromettere tutta l'inchiesta sullo scandalo IMI-Sir. Secondo quanto riportò il quotidiano della Confindustria 'l' epilogo della vicenda non soddisfa i legali della Fininvest, secondo i quali il problema della violazione del principio di specialità è generale poiché la documentazione ricevuta dalla Svizzera è stata utilizzata per perseguire l' infrazione di violazione della legge sul finanziamento pubblico dei partiti, mentre tale utilizzo era proibito dalle autorità svizzere in quanto tale infrazione è sconosciuta al diritto svizzero'.
Senza entrare nel merito della vicenda, che pure lascia pensare in quanto la linea difensiva dei legali della Finivest pare legata a questioni puramente formali e procedurali, questa vicenda offre lo spunto per una riflessione più generale sul ruolo di copertura che la vicina Svizzera offre ormai da tempo immemorabile ai reati finanziari. Se questa copertura poteva avere un significato positivo e persino 'liberale' quando la libera circolazione dei capitali era impedita fuori dal nostro Paese, oggi non lo è più. I capitali espatriati illegalmente dall'Italia alla Svizzera appaiono sempre meno simili agli anarchici che si rifugiavano in Svizzera durante il ventennio fascista e sempre più simili a capitali di dubbia provenienza. Se si osserva il modesto livello di servizio mediamente offerto dal sistema finanziario luganese e lo si rapporta ad i suoi elevati costi imposti ai clienti di banche e finanziarie, la conclusione è che il 'taglieggiamento legale' al quale i capitali italiani espatriati illegalmente sono soggetti è il prezzo da pagare per godere di una condizione di anonimato.
La Svizzera Italiana ha vissuto di questa rendita per svariati decenni. Ma la Svizzera è un Paese sovrano e può giustamente fare quello che crede meglio per il benessere dei suoi cittadini anche se a volte ciò è moralmente dubbio. Oltretutto è un Paese con molte virtù politiche e sociali.
Ma anche l'Italia è un Paese sovrano e nulla vieterebbe ad essa di remunerare in modo adeguato quei cittadini elvetici che fornissero informazioni su reati valutari o fiscali compiuti da cittadini italiani. Come la Svizzera sembra talvolta accettare obtorto collo una collaborazione con la nostra magistratura perché non potrebbe sottrarsi ad alcuni doveri basilari di cooperazione internazionale, ma condiziona questa collaborazione al fatto che la documentazione di alcuni reati non possa essere utilizzata per perseguirli, analogamente l'Italia potrebbe 'spuntare' la rendita di posizione su cui il Ticino è finora vissuto, garantendo denaro ed impunità ai fornitori di informazioni su infrazioni valutarie e fiscali di cittadini italiani. Bastebbero un paio di casi di clamorosa 'delazione' per mettere in discussione la capacità del sistema svizzero di fornire adeguata copertura a questi capitali.
Paolo Sassetti
(nota 1)
Si tratta di questi articoli di Paolo Sassetti, che potete leggere cliccando su ciascuno:
'Come stanare facilmente i grandi evasori', Marzo 1998;
'Perché la lotta all'evasione è ancora un tabù', Settembre 1998,
'Riappropriarsi della sovranità fiscale', Ottobre 1998
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