Perché la lotta all’evasione è ancora un tabù
Il tema dellla lotta all'evasione fiscale torna di moda, come sempre in relazione a buchi di bilancio da riempire, e non come affermazione di un principio di equità e uguaglianza tra cittadini. Paolo Sassetti, in questo articolo, si dedica in particolare al meccanismo perverso della "stabile organizzazione estera". Molto interessanti e sempre di attualità anche i suoi articoli scritti vari anni fa, che vi riproponiamo.
di La redazione di Soldionline 5 ott 2005 ore 08:47
Il termine 'delatore' è utilizzato frequentemente nella terminologia mafiosa per indicare colui che, per più o meno nobili ragioni, abbia violato la regola mafiosa dell'omertà. In questa accezione, per 'Cosa Nostra' è definito 'delatore' quel mafioso che, avendo violato le regole dell'omertà, abbia fornito informazioni sull' organizzazione mafiosa delle quali solo un suo affiliato, grazie alla sua appartenenza ad un clan, poteva disporre. Mai il termine 'delatore' è stato utilizzato per indicare un uomo della legge (magistrato, poliziotto, ecc.) che combatte i reati dell'organizzazione mafiosa.
La assoluta spontaneità con cui la definizione di 'delatore' è stata attribuita a colui che fornisca informazioni su un reato fiscale di una terza persona, spontaneità tipica dei riflessi condizionati dei cani di Pavlov, mi fa ritenere che questa concezione mafiosa dell'omertà fiscale sia ancora profondamente radicata nell'animo dell'Italiano medio. Forse, questo riflesso condizionato trae origine da qualche sia pure insignificante peccato fiscale di cui forse ogni Italiano medio si è reso colpevole (una multa non pagata, un condono addomesticato, una dichiarazione dei redditi non perfetta alla virgola, ecc.). Origina dal profondo di un agitato e torbido subconscio che, in fondo, ci fa invidiare chi riesce a sottrarsi scaltramente alla maglie sempre più strette del fisco vampiro.
Una seconda e ricorrente obiezione è stata quella che la pressione fiscale nel nostro Paese è oltraggiosamente elevata. Sic et simpliciter. È stato per me molto divertente osservare come la continuazione del ragionamento, che evidentemente esiste, sia stata sempre tenuta rigorosamente implicita e mai palesata. Ovverosia nessuno ha avuto il coraggio di dire che, poiché la pressione fiscale è troppo elevata, 'allora è lecito praticare un'autoriduzione fiscale come forma di autodifesa economica'. Questo è quello che, evidentemente, coloro che contro-obiettavano che la pressione fiscale è troppo alta, volevano dire ma non avevano il coraggio di esplicitare. Nessuno ha riflettuto sul fatto che, se tutti pagassero le tasse compiutamente, la pressione fiscale potrebbe diminuire notevolmente per il cittadino onesto. E, poiché l'evasione fiscale è assai elevata nel nostro Paese, se tutti facessero il loro dovere di contribuenti, la pressione fiscale potrebbe diminuire significativamente se l'aumentato gettito venisse compensato con riduzioni parallele delle aliquote fiscali. Queste riduzioni delle aliquote potrebbero perfino venir decise con un contestuale provvedimento legislativo in modo da garantire cogentemente che il maggior gettito derivante ogni anno dall'aumento degli imponibili dichiarati venga automaticamente restituito ai contribuenti nella dichiarazione dei redditi dell'anno successivo e non si traduca in un aumento reale della pressione fiscale effettiva.
Un'altra divertente obiezione è stata quella secondo la quale il documentare un reato altrui costituirebbe una violazione della sua 'privacy'. Il candore di questa obiezione è disarmante. Se così fosse, in ogni disputa giudiziaria non sarebbe più possibile portare le prove dei reati qualora, come spesso succede, queste riguardassero la sfera privata degli individui. Questa obiezione mi fa venire in mente il caso di quei rapinatori statunitensi che, bloccati da alcune guardie giurate dopo un inseguimento in auto, sostennero cavillosamente che il loro arresto era illegale in quanto le guardie giurate, per bloccarli, avevano infranto il limite di velocità. Certamente nessuno pensa che sia lecito introdursi nella casa di un 'presunto evasore' per carpirne i segreti ma se un commercialista, alla vigilia della pensione, decidesse di documentare l'evasione dei suoi enne clienti, il massimo che gli dovrebbe capitare è l'espulsione dall' Ordine dei Commercialisti che, pur paradossalmente, avrebbe tutte le ragioni per rivendicare le ragioni del segreto professionale su quelle della lealtà alla legge dello Stato.
Un'obiezione più seria e basata su considerazioni maggiormente etiche è quella secondo la quale la fornitura di informazioni a pagamento farebbe leva sugli istinti peggiori dell'uomo. Insomma, verrebbe stimolata l' avidità economica degli individui. Ma già Adamo Smith nella sua Ricchezza delle Nazioni ci ammonì che il benessere collettivo si basava più sull'avidità del macellaio che sulla sua benevolenza. Il problema è che, chi collaborasse con la giustizia fiscale per assicurare ad essa degli imponibili sottratti, si troverebbe immediatamente ai margini di una società che vive sui principi di omertà, corruzione ed evasione. Perderebbe il lavoro senza possibilità di trovarne un altro per rappresaglia da parte di un sistema diffusamente corrotto. Il grosso premio da riconoscere a questi cittadini corrisponderebbe, in un certo senso, ai programmi di protezione offerti ai pentiti di mafia. Con la significativa differenza che, a differenza dei pentiti di mafia, i 'cacciatori di evasioni' dovrebbero portare prove documentali dei reati di evasione. Un'altra significativa differenza è che i pentiti di mafia spesso si pentono per uscire dalle patrie galere, barattando il loro vero o presunto pentimento con la libertà mentre i 'cacciatori di evasori' sarebbero normalmente dei cittadini incensurati semplicemente desiderosi di monetizzare la loro conoscenza di reati fiscali altrui. Il che consentirebbe allo Stato un recupero di gettito fiscale netto e, a parità di altre condizioni, una riduzione della pressione fiscale per i contribuenti onesti.
C'è chi ha obiettato che se lo Stato non riesce a far pagare le tasse, non può 'pretendere' di ricorrere poi ai cittadini per avere quel tipo di informazioni che non riesce a raccogliere. Ma non si tratterebbe di 'pretesa', bensì di pura e semplice incentivazione economica alla documentazione di reati fiscali. L'obiettivo ultimo di questo provvedimento non sarebbe, tuttavia, la materiale 'caccia agli evasori' ma la più semplice 'deterrenza'. La 'taglia sulle evasioni' avrebbe lo stesso scopo dei missili intercontinentali dotati di testate atomiche: nessuna persona intelligente li userà mai ma la loro presenza svolge una formidabile funzione di deterrenza. Se, poi, qualche stolto evasore volesse sfidare questo effetto deterrente, di cosa altro se non della sua stoltezza dovrebbe lagnarsi se egli fosse poi preso con le mani nel sacco di un documentato reato di evasione? Devo anche aggiungere che alcune tipologie di evasione, come, ad esempio, quelle che utilizzano società di comodo offshore in attività triangolari di import-export non sono assolutamente dimostrabili dalle autorità fiscali che hanno nelle frontiere nazionali un limite insormontabile alla loro capacità di ispezione. Solo 'dall' interno' di queste società di comodo sarebbe possibile documentare tali evasioni. Pertanto, a volte è ingiusto attribuire alle autorità preposte ai controlli la totale mancanza di volontà e/o capacità di riscuotere le imposte e le tasse.
Di fronte a queste difficoltà tecniche ed operative le risposte alternative al problema dell'evasione fiscale potrebbero essere le seguenti:
Ø la 'deterrenza fiscale' indotta da un meccanismo premiante per coloro che documentano le evasioni. Questa deterrenza trarrebbe la sua forza dallo rottura del premio economico invece oggi offerto dal meccanismo 'omertoso' di cooptazione sociale rispetto a quello 'collaborativo' nei confronti dell'interesse pubblico;
Ø la 'militarizzazione' della vita economica, ossia l'assunzione di orde sterminate di finanzieri che svolgano una quantità enorme ed insopportabile di controlli sugli operatori economici;
Ø il 'lassaiz faire', cioè il lasciare le cose come stanno con la devastante conseguenza, però, che, poiché lo Stato non riesce ad accertare analiticamente il vero reddito di troppi contribuenti, si orienta sempre di più ad utilizzare sistemi 'presuntivi' per la loro determinazione. Questi sistemi che sono, a mio avviso, i più odiosi di tutti in quanto fanno di ogni erba un fascio, sono quelli verso cui si è orientato il fisco italiano negli ultimi anni. Parafrasando George Orwell potremmo dire che questi sistemi presuntivi si basano sul presupposto che 'tutti i contribuenti sono uguali ma vi sono alcuni contribuenti più uguali degli altri'. E, se è vero che urla vendetta apprendere che i pellicciai dichiarano al fisco meno dei dipendenti che lavorano nei loro negozi, credo che solo una mente perversa possa pensare che si possa stimare un reddito medio-normale per questa categoria sotto il quale scattano gli accertamenti. Una mia cliente mi raccontava di un pellicciaio di Milano che andò a fare il tramviere perché guadagnava di più. Tra la filosofia della 'deterrenza fiscale' e quella delle 'stime presuntive' la prima è certamente quella più liberale.
Cosa c'è di illiberale o di immorale nel collaborare con lo Stato e nel far recuperare allo Stato degli importi ad esso (e cioè a tutti i cittadini onesti) furbescamente sottratti ? La fiscalità opprimente dello Stato può rappresentare l'alibi per continuare a discriminare tra i cittadini onesti e quelli disonesti che hanno lo stesso reddito effettivo ma che, in virtù della loro diversa onestà, pagano diversi importi di imposte e tasse?
La virulenza dell'opposizione mi ha convinto che questa idea della 'taglia sulle evasioni' sia giusta e valida, purché implementata con alcune doverose cautele. Una di queste cautele sarebbe quella di dare ai cittadini disonesti una ultima possibilità di mettersi in regola. Lo Stato, insomma, dovrebbe consentire un ultimo condono a condizioni di favore agli evasori prima di far entrare in vigore la legge che premia i 'cacciatori di evasioni'.
Questa idea, proprio perché promette di essere estremamente efficace contro l'evasione, molto più efficace della sporadica azione degli uffici tributari, metterebbe in discussione quella specie di 'diritto all'evasione' che, nel tempo, pur non codificato, si è quasi tramutato in 'diritto tacitamente acquisito', un po' come se potesse essere fatto rientrare nella categoria degli 'usi' del nostro Codice Civile. I 'premi' effettivamente incassati dai 'cacciatori di evasioni' sarebbero alla fine probabilmente assai modesti ma la deterrenza contro l'evasione sarebbe fortissima e la possibilità di evadere senza rischi assai ridotta. Quello che l'opposizione a questa proposta detesta è proprio questo: non che si crei una schiera di avidi 'delatori', non che si determinino comportamenti giudicati immorali alla luce di un diffuso sentire cattolico (?) in base al quale 'chi fa la spia non è figlio di Maria', non perché si violerebbe la sacralità della 'privacy' degli individui (Al Capone avrebbe avuto di che lagnarsi in proposito) ma perché si mette in discussione il diritto tacitamente acquisito di evadere senza rischi. Questo è l' aspetto di questa idea veramente inaccettabile per gli evasori: che evadere possa diventare finalmente rischioso per loro! Che possa realizzarsi una deterrenza efficace, che il gioco possa non valere più la candela, ... che si debbano pagare per davvero tutte le tasse. Un provvedimento del genere potrebbe anche non creare un solo delatore in carne ed ossa ma verrebbe comunque osteggiato con false prediche di moralisti farisei perché ridurrebbe la libertà di manovra di chi è uso ad evadere senza correre rischi di sorta. Ed anche chi non evade personalmente ma trae la legittimazione del proprio potere politico od economico da un'orda di 'clientes' strutturalmente evasori impugnerà la spada fiammeggiante e griderà parole di fuoco contro le idee corruttrici di chi vuole infrangere le regole della convivenza civile.
Ma 'civile' per chi ? Per chi paga le tasse o per chi le evade ?
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Post scriptum: dopo la polemica scatenata dal caso dei 378 accertamenti tutti positivi effettuati dalla Guardia di Finanza su altrettante società italiane, ho inviato il presente ed il precedente scritto a 3 partiti "antisistema": Alleanza Nazionale, Rifondazione Comunista e Lega Nord. Finora i primi due non mi hanno risposto. Il terzo, per bocca dell' on. Pagliarini, ha dichiarato alla stampa che le imprese italiane sono 'obbligate' ad evadere. La tesi giustificazionista è, dunque, dura a morire. La considerazione più amara è che, se neanche i partiti cosiddetti 'antisistema'vogliono realmente combattere l'evasione, allora la battaglia è veramente persa in partenza e la ricorrente polemica contro l'evasione è uno strumentalissimo specchietto elettorale per le allodole con diritto di voto.
Paolo Sassetti (1998)
(nota 1)
Si tratta di questi articoli di Paolo Sassetti, che potete leggere cliccando su ciascuno:
'Come stanare facilmente i grandi evasori', Marzo 1998;
'Perché la lotta all'evasione è ancora un tabù', Settembre 1998,
'Riappropriarsi della sovranità fiscale', Ottobre 1998
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