Nel confessionale dell’asset management
A metà degli anni ’80 l’IBM era leader assoluta nei mainframe e nei medi sistemi. Il rapporto prezzo-qualità della sua offerta non era il migliore in assoluto, ma il suo dominio del mercato era in parte assicurato dalla reputazione del suo marchio...
di La redazione di Soldionline 20 gen 2006 ore 09:11
'Probabilmente da soli avremmo fatto meglio', mi diceva qualche settimana fa il consigliere d'amministrazione anziano di una banca italiana quotata che aveva affidato ad una società estera la gestione d'alcuni suoi fondi. Ma, invero, egli non me lo 'diceva', me lo 'sussurrava'. Erano pure confidenze, sfoghi d'impotenza.
Il mio telefono si è trasformato negli anni in un confessionale di casi come questo. Da buon confessore sono tenuto a garantire l'anonimato dei confessati, in modo che il numero dei confessandi non diminuisca. Ma queste confessioni offrono una visione preoccupante delle prospettive dell'asset management domestico, sempre più orientato alla vendita e sempre meno interessato ad affrontare il problema della qualità dei prodotti (quale presupposto per un collocamento più agevole).
Il direttore finanziario di un'assicurazione mi segnalò, un paio d'anni, fa come i fondi della sua casa fossero quasi tutti 'in fondo' (scusate il bisticcio) alle classifiche di settore ma che, al tempo stesso, fosse impossibile ipotizzare alcun cambiamento organizzativo per affrontare la situazione, in virtù del fatto che l'area della gestione era comunque piuttosto profittevole, ad onta delle performance.
Il dirigente di una grossa banca a vocazione regionale mi ha sconsolatamente detto, sullo stesso tema dell'asset management, che nessuno, nelle strutture bancarie, ha il coraggio di prendere una qualsiasi decisione perché 'nessuno, nelle strutture, decide alcunché, tutti si limitano ad amministrare l'esistente'. La banca in oggetto ha una partecipazione importante in un'importante Sgr, che è in declino quanto a quote di mercato ma, poiché la Sgr non ha un azionista che abbia il controllo della maggioranza, di fatto il management opera indisturbato e non rende conto a nessuno del declino delle sue quote di mercato e dell'assenza di valore aggiunto della sua politica di gestione: l'indicizzazione 'spinta', perseguita da questa Sgr, la renderà, prima o poi, la vittima degli Etf ma, siccome l'estinzione della Sgr può prevedersi su un orizzonte temporale di 10-15 anni, i manager e gli amministratori di tale Sgr sanno che - a tale data - saranno tutti in pensione e, quindi, perché preoccuparsi? Quindi, nessuno decide.
Ma non è sempre vero che le banche non prendano decisioni. Corrado Passera una decisione su Nextra l'ha presa. Con l'accetta. D'altra parte, come dargli torto? Ai vertici della società di gestione erano state rilasciate almeno 2 interviste nelle quali si sosteneva che esistesse una relazione inversa tra performance dei fondi e quote di mercato delle Sgr (sic!). A parte che il 'caso Anima' smentiva queste valutazioni, se ai vertici delle Sgr si coltivano queste convinzioni, è bene 'darci un taglio' radicale. Perché questa convinzione - giusta o sbagliata che sia - porta coerentemente e conseguentemente a sottovalutare la qualità dei prodotti, in quanto giudicata irrilevante ai fini del successo commerciale della società, con conseguenze sulla sua crescita di lungo termine. Ma, si sa, 'nel lungo termine siamo tutti morti', per cui perché affannarsi?
Normalmente le azioni di riorganizzazione vengono intraprese quando i problemi sono diventati irranciditi e putrescenti. Con la conseguenza che, talvolta, sono improntate a scelte radicali, non sempre ponderate con la necessaria cautela. Ad esempio, una Sgr consortile, fiaccata dalla modestia delle performance, sarebbe sul baratro del licenziamento di gran parte dei gestori per affidare la gestione dei fondi a soggetti esteri. Probabilmente non c'è una reale necessità di una soluzione tanto radicale, ma queste tentazioni nascono dall'aver sottovalutato per anni i problemi della qualità dei prodotti.
Più recentemente mi è stato sottoposto il problema del declino delle performance di un brand storico della gestione patrimoniale italiana che sta suscitando apprensione nei vertici aziendali. Il dilemma riguarda le implicazioni della medicina che è necessario somministrare al paziente: una riorganizzazione di strutture, sistemi operativi, ecc., con le conseguenti implicazioni in termini di scontro di potere, oppure lasciare tutto com'è.
In conclusione. L'errore principale di molte strutture di gestione è stato quello di non aver monitorato con costanza la qualità dei prodotti collocati e/o di non aver preso iniziative tempestive per migliorarli. Questo ha contribuito a consolidare una mentalità che, in situazione di declino (di performance e/o di quote di mercato), non può essere più modificata ma, a quel punto, solo estirpata. La vera saggezza gestionale consiste nel non giungere mai a questa condizione estrema.
Paolo Sassetti
Analista finanziario indipendente, socio Aiaf
Leggi tutti gli Articoli