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La Borsa: ieri, oggi... e domani?

Per gestire bene il proprio denaro contano buone strategie e buoni prodotti, ma può non bastare... Malcolm Duncan, già responsabile per le relazioni internazionali della Borsa Italiana e fondatore del Comitato di Economia e Statistica della Federation of European Stock Exchanges, ci spiega che sono fondamentali anche Istituzioni di gestione e governo dei mercati al di sopra delle parti, e una legislazione che metta al centro della scena non gli Intermediari ma i Risparmiatori

di La redazione di Soldionline 21 lug 2006 ore 14:51
di Malcolm Duncan

Dopo quasi dieci anni dal compimento della riforma e della privatizzazione della Borsa Italiana, le autorità italiane esprimono preoccupazione per le dimensioni dei conflitti di interesse, da loro creati anche se involontariamente, nel completamento dell'opera. Ma il problema investe gran parte dei mercati mobiliari del Vecchio Continente. Si voleva creare un mercato borsistico, a livello nazionale ed europeo, a misura delle imprese e degli investitori di ogni dimensione. Al contrario, si è creata una Borsa a misura oligarchica per pochi istituti bancari. Istituti che finanziano le imprese, le quotano in Borsa, le sponsorizzano con ricerca e supporto alle negoziazioni, sono pure loro quotati in Borsa e contemporaneamente azionisti di riferimento della Borsa stessa e, infine, amministrano oltre il 90% del risparmio gestito. Ma forse il peggio si verificherà solamente con l'inaugurazione della Direttiva Bolkestein II, programmata per novembre 2007. A meno che le associazioni dei consumatori, come hanno fatto i sindacati nel campo del lavoro, non si diano una mossa. La nuova direttiva in campo finanziario parte da un concetto errato, ritenendo che i principali protagonisti del mercato Borsa siano gli intermediari/banche, anziché le imprese e i risparmiatori. La probabile frammentazione del flusso di ordini di acquisto e di vendita tenderà a concentrarsi sempre di più sui titoli maggiori a scapito di quelli minori e le Borse, ormai fabbriche di soldi con ROE a volte intorno al 40-50%, rischiano di venir meno a uno dei loro impegni istituzionali: essere la colonna portante di un'economia di mercato, ormai globale. Il loro totale disinteresse per uno strumento che servirebbe a sensibilizzare imprese e intermediari sull'importanza della liquidità di mercato dei titoli è emblematico. Ma ci sarà un giorno per la resa dei conti o no? Infatti, Londra, sempre tra le prime a muoversi, ha già preso il primo provvedimento per scongiurare un'eccessiva ingerenza futura delle istituzioni di controllo. Ora, IOSCO si chiede se le Borse, ormai quasi tutte a fine di lucro, siano in grado di svolgere correttamente il loro ruolo di autoregolamentatori del mercato Borsa, ed esprime perplessità alla possibilità prossima futura a livello europeo di internalizzare gli ordini di Borsa e delle conseguenze per la frammentazione, per la trasparenza e l'effettuazione della 'best execution'.


Premessa

Ho letto con soddisfazione l'articolo apparso recentemente su PLUS, il settimanale del Sole 24 Ore, in cui la Banca d'Italia esprime la sua preoccupazione per le dimensioni dei conflitti d'interesse presenti attualmente nel mercato mobiliare italiano, ma non solo, e, soprattutto, nella gestione del risparmio. Secondo i dati pubblicati periodicamente dal Sole 24 Ore, circa il 50% del risparmio gestito è amministrato solo da tre istituti bancari italiani. Peccato accorgersi dopo quasi dieci anni, figlio di un grosso errore politico compiuto nella stesura dell'ultima fase della riforma.

Vengono a mancare tutte le premesse a favore della trasparenza, della regolamentazione e dall'egregio lavoro in questo senso svolto dalla Commissione nominata dal Senato nel 1978 e conclusasi con la Legge sulle Sim del 1992. Una riforma che auspicava una Borsa a misura per le imprese d'ogni dimensione e per gli investitori istituzionali ed individuali. L'atto finale della riforma, approvato nel 1996, ha permesso la privatizzazione della Borsa italiana ma, forse principalmente per motivi finanziari, il Legislatore non ha tenuto conto della soluzione svedese, la quale ha messo il timone di comando nelle mani super partes del management della Borsa. La ricetta adottata ha decretato che il futuro della Borsa fosse determinato da un gruppo ristretto di banche. Istituti che finanziano le imprese, le quotano in Borsa, le sponsorizzano con ricerca e supporto alle negoziazioni, sono pure loro quotate in Borsa e contemporaneamente azionisti di riferimento della Borsa stessa e, infine, gestiscono oltre il 90% del risparmio gestito. Finora la quotazione delle stesse Borse Europee non si è dimostrata la panacea auspicata ma ha semplicemente determinato un cambio di guida.

Allora gli organi di mercato auspicavano che il numero d'operatori fosse ridotto per facilitare la vigilanza e scongiurare pericoli d'inadempienze. Un traguardo favorito da un inarrestabile fiume di modifiche alla regolamentazione e alla gestione del mercato mobiliare che ha inesorabilmente aggravato i costi amministrativi e, di conseguenza, accelerato la scomparsa o fusione delle imprese d'intermediazione e di gestione. L'esperienza insegna che un mercato sano richiede un'ampia pluralità d'operatori, tra intermediari e gestori, e l'efficienza di un mercato dipende, anche se sembra un'antitesi, da una giusta dose d'inefficienza che assicura una vasta discrepanza di vedute tra la moltitudine di compratori e venditori.


Il pericolo incombente

Ma forse il peggio deve ancora arrivare. Infatti, entro novembre 2007, dovrebbe entrare in vigore, almeno in campo finanziario, la direttiva MIFID, comunemente conosciuta con il nome del suo ideatore olandese, Fritz Bolkestein. Era prevista per il luglio 2006 ma la sua inaugurazione, per motivi all'autore sconosciuti ma probabilmente per tempi tecnici, è slittata a metà 2007. Magari le varie associazioni dei consumatori si accorgeranno ancora in tempo del pericolo, come hanno già fatto i sindacati nel campo del lavoro. Si è tentato di mettere in guardia gli interessati prima della sua approvazione nel 2004 ma, sfortunatamente, si è fatto viva solamente l'associazione britannica dei consumatori 'Which', che non sembrava per nulla preoccupata. Ma, occorre tener presente che opera in un mercato più ampio, meno esposto all'egemonia di pochi operatori e con un'impostazione internazionale. Il Regno Unito gode di una cultura finanziaria di vecchia data basata quasi esclusivamente sulla autoregolamentazione anziché sulla normativa, e del 'common sense'. Basta citare il motto della Borsa di Londra 'dictum meum pactum' e il Takeover Panel che, tuttora, regola il mercato delle OPA pur non avendo alcuna autorità legislativa. Comunque non va bene in quanto, con il passare del tempo e specialmente dopo il varo dell'Euro nel 2002, ogni mercato europeo è sempre più influenzato dall'impostazione degli altri e, magari, rischia una fusione non desiderata ma imposta dalle circostanze.

MIFID sostituirà integralmente l'European Financial Services Directive in vigore dal 1996.
Le motivazioni dichiarate per la nuova direttiva sono quelle di accelerare l'integrazione dei mercati finanziari europei e difendere meglio gli interessi dei risparmiatori. Ma quali risparmiatori? Infatti, la nuova normativa europea permetterà ai maggiori operatori, tutte banche, di creare reti (multilateral trading systems) paralleli alla Borsa e in concorrenza con la stessa, di cui loro sono contemporaneamente i principali azionisti ed attori. NASDAQ, il primo mercato mobiliare a diventare telematico (1971), ha ammesso alle contrattazioni solamente nel 1997 gli Electronic Communication Networks (ECN), inaugurati da datavendor o da gruppi d'investitori istituzionali con lo scopo di scavalcare gli intermediari, e già nel 2005 concludevano circa l'80% delle operazioni concluse sulla rete NASDAQ, praticamente soppiantando i market makers di cui il NASDAQ andava fiero. Comunque il pericolo di mercati manipolati è meno grave in quanto il mercato finanziario americano gode di grande ampiezza e di un enorme numero d'investitori completamente indipendenti, stimati intorno a 10.000 unità.


Un ritorno al passato

In sostanza, si rischia un ritorno al passato, ai 'mercati dei saldi', e alla frammentazione della domanda e dell'offerta di cui i maggiori colpevoli erano le banche, e non solo quelle italiane. In Italia, prima della riforma del 1992, si stimava che oltre l'80% del volume delle contrattazioni in azioni avveniva fuori Borsa, soprattutto tra le banche e, nel caso dei titoli a reddito fisso, la situazione era ancora peggiore. Al contrario, forse il principio fondamentale che ha mosso la riforma di quasi tutte le Borse Europee, salvo Londra, era l'esigenza di concentrare in un unico punto, la Borsa, la domanda e l'offerta dei titoli: un principio ribadito nella riforma di diverse Borse e che ha senza dubbio favorito l'adozione di mercati continui e telematici. Un'innovazione che ha agevolato la trasparenza e la liquidità della Borsa, ha facilitato la stabilità dei corsi, l'esecuzione di ordini a prezzi limitati e della 'best execution'. Intervistato tempo fa per una rivista di categoria, Arthur Levitt, ex Presidente della SEC americana, ha ribadito che 'i mercati che mancano di un flusso centrale degli ordini d'acquisto e di vendita scoraggiano l'utilizzo d'ordini a limite da parte degli investitori perché tali ordini esposti in un simile mercato non saranno disponibili in un altro mercato. Di conseguenza, gli ordini a limite saranno minori e gli spread saranno probabilmente molto maggiori. Contemporaneamente, gli operatori potranno più facilmente eseguire ordini dei loro clienti dai propri books e ci sarà meno interesse ad offrire la 'best execution': una preoccupazione ora condivisa dall'IOSCO.

Abbandonata definitivamente l'impostazione mutualistica, a favore d'imprese a fine di lucro, sembra che le Borse e gli aderenti più rappresentativi abbiano messo in secondo piano il loro ruolo come colonna portante in un'economia di mercato divenuta ormai globale, che richiede il finanziamento delle imprese e l'impiego ottimale dei risparmi che, a causa delle modifiche in termini demografici, dovranno in grande parte sostituire lo Stato al mantenimento del popolo pensionistico che cresce anno dopo anno. Infatti, la corsa sfrenata al guadagno e alla speculazione delle moderne Borse Europee, che vantano a volte un ROE intorno al 40-50%, può avere suggerito agli operatori principali, ormai spesso di natura 'apolide', di proporre alle autorità europee questo cambiamento epocale. La portata della speculazione è chiaramente illustrata dalla tabella allegata di tre piazze borsistiche europee ma che si limita semplicemente ai derivati (futures ed options) quotati in Borsa, ma non tiene conto del notevole volume di altri prodotti finanziari più sofisticati come gli 'structured products' dalle caratteristiche più varie, solo per nominarne uno di questi prodotti.



La Debacle del 2000-2001 non insegna

Nonostante la lezione del 2000-2001, quando oltre un milione di risparmiatori italiani hanno perso a volte i risparmi di una vita, non principalmente a causa dell'andamento orso delle Borse, ma in seguito ad investimenti, su consiglio delle banche, in Tango Bond, obbligazioni Parmalat, Cirio, i prodotti My Way e 4You e in società quotate sul Nuovo Mercato senza i crismi per reggere uno scivolone duraturo dei corsi. Tuttavia, malgrado la scottatura del 2000-2001, i mercati finanziari europei continuano a sfornare nuovi e più complicati strumenti finanziari da vendere anche a risparmiatori inesperti, spesso pensionati. Nel 2004, in base ad una stima ufficiale, le banche italiane avevano stipulato circa 78.000 contratti, soprattutto con persone fisiche e giuridiche per un valore intorno a 146 miliardi d'euro e l'80% di queste posizioni risultavano poi negative. Comunque, non credo che si tratti di un trend limitato all'Italia.

Forse questo nuovo orientamento legislativo parte da un concetto errato, ma inconscio, che ritiene che i principali protagonisti del mercato di Borsa siano gli intermediari/banche, che invece, come dice la loro categoria d'intermediari, dovrebbero fungere solamente da arbitri tra i due veri protagonisti o contendenti che sono l'enorme popolo degli investitori da una parte e le imprese, grandi, medie e piccole, dall'altra.

Dopo i fattacci del 2000 e 2001, il Legislatore europeo ha ritenuto opportuno che la consulenza fosse regolamentata. Ci sembrava una decisione molto saggia. Ma, alla stesura finale della nuova direttiva, la futura regolamentazione della consulenza si limita alla consulenza rimunerata. Pertanto il pericolo di inopportuni consigli allo sportello rimane. E' proprio allo sportello bancario che si verifica l'incidenza massima sulle decisioni del piccolo investitore. Recentemente l'associazione dei consumatori Altroconsumo si è occupato di questo problema e l'esito della sua indagine è stato tutt'altro che tranquillizzante. Pertanto non sorprende la proposta OCSE, nel marzo 2005, su suggerimento di Alan Greenspan, circa la necessità di educare i risparmiatori sul migliore impiego del loro capitale. Un apposito palinsesto televisivo, già proposto, potrebbe essere un passo nella direzione giusta, magari in sostituzione di qualche trash show.

Senza dubbio in buona fede, il Legislatore europeo è convinto che la moltiplicazione delle reti di contrattazione favorirà la concorrenza e ridurrà i costi, tutto a beneficio del risparmiatore. Al contrario, si teme che renderà meno stabili i corsi, potrà creare 'one way markets' in momenti di stress, com'è già successo nel 1987 e nel 1989, ridurrà la liquidità per la maggiore parte dei titoli e aggraverà il problema già riscontrato dalle autorità dei conflitti d'interesse. Si sa già che una buona fetta del volume delle negoziazioni giornaliere in ogni Borsa europea riguarda operazioni in proprio da parte dei grossi intermediari. In Italia si stima che, in media, arriva anche oltre il 25%. Infatti, dal momento dell'abolizione delle provvigioni fisse, la negoziazione del proprio portafoglio rappresenta un introito non indifferente per le banche.


Le Borse interpretano male il loro nuovo ruolo

Ritengo inoltre discutibile l'auspicata riduzione dei costi di intermediazione a beneficio del consumatore/risparmiatore, e non vorrei che fosse a scapito dell'integrità dei mercati e dei servizi. Infatti, la ricerca indipendente che era stata incoraggiata con un apposito premio annuale (1994-1998) è praticamente scomparsa e quei pochi uffici studi rimasti presso gli operatori principali tendono ad ignorare le imprese minori che non garantiscono un sufficiente tornaconto per giustificare un monitoraggio periodico delle loro prospettive.

Sembra probabile che gli investimenti saranno sempre più concentrati sulle imprese principali, le cosiddette 'blue chips' o 'euro chips', e la situazione sarà ulteriormente aggravata dalla crescente gestione istituzionale dei patrimoni con lo sviluppo dei fondi pensione che, fino a poco tempo fa, erano le colonne portanti solamente delle Borse di Londra e di Amsterdam. Una circostanza che rischia di surriscaldare i corsi dei titoli principali a scapito delle imprese medie e piccole che rischiano di entrare in una specie di coma profondo, che facilmente condurrà i loro management ad uscire dal mercato di Borsa, come si è già verificato in tempi recenti in più mercati. Gli espedienti già promossi dalle varie Borse Europee, segmenti particolari che richiedono una migliore informativa, market maker sponsor e indici ad hoc eventualmente replicabili, hanno finora avuto un successo molto minore delle aspettative.

Il problema riguarda la limitata trasparenza e liquidità dei titoli esclusi dal club delle 'blue chips' o 'euro chips' e la necessità di sensibilizzare gli emittenti e gli intermediari a questo riguardo. Si tratta di una patologia comune a tutte le Borse Europee. La Borsa di Londra è sempre stata considerata la borsa più liquida ma, negli anni novanta, incuriosita da un indagine condotta sul problema della scarsa liquidità della maggiore parte dei listini europei, ha condotto un analogo studio. L'esito fu altrettanto negativo. Infatti risultava che,in media, un terzo del suo listino non registrava neppure una contrattazione nel lasso di tempo di un mese.

Finora solamente la Borsa di Oslo ha preso provvedimenti a tale fine e nel mese d'ottobre 2004 ha ricollegato le imprese dei vari segmenti del suo listino in base alla loro liquidità calcolata considerando il volume medio. A questo stesso fine, cinque anni fa, è stato proposto alle Borse Europee, tramite la loro Federazione (FESE) a Bruxelles, un apposito indicatore per sensibilizzare gli emittenti e gli intermediari su questi problemi e favorire l'adozione d'appropriate soluzioni. Negata anche la sola presentazione dell'indicatore, gli autori si sono rivolti prima ad una società di consulenza finanziaria internazionale, poi a due datavendor internazionali e, infine, a FTSE a Londra.

Messo alle strette, FTSE ha finalmente svelato i motivi per questo apparente ed inspiegabile disinteresse. Alle Borse non gioverebbe, almeno a breve, la scoperta della scarsa liquidità di molti titoli, anche se alla lunga potrebbe dimostrarsi il migliore antidoto, e gli intermediari top perderebbero un loro valore aggiunto in quanto almeno loro sanno, e a loro vantaggio, più o meno il grado di liquidità e il cosiddetto 'free float' di questi titoli minori.

E' probabile che il problema sarà aggravato una volta inaugurata la Direttiva Bolkestein: fatto previsto per il 2007, perché la domanda e l'offerta non sarà più concentrata in un unico punto, la Borsa, ma sarà distribuita su più mercati gestiti dagli stessi intermediari che operano in Borsa e sono, in qualche caso, i loro azionisti di riferimento. Ordini di una certa dimensione richiederanno la loro suddivisione in più operazioni e sarà discutibile l'ottenimento del cosiddetto 'fair price' e della 'best execution'. E gli indici di mercato? Evidenzieranno sempre l'effettivo trend di mercato che oggi determina l'andamento degli strumenti derivati che dominano in ogni mercato mobiliare? E' discutibile.




In breve, i pericoli previsti sono i seguenti:

· Un aggravamento dei conflitti di interesse già esistenti tra operatori e investitori con la possibilità agli intermediari di internalizzare, a proprio vantaggio, gli ordini di acquisto e di vendita;
· Il perdurare dell'esposizione dei risparmiatori ai consigli spesso poco professionali dati, anche con le migliori intenzioni, agli sportelli bancari in quanto saranno sempre esenti alla regolamentazione;
· Un possibile conflitto di interesse tra le Borse e i loro maggiori operatori, spesso anche i loro azionisti di riferimento, con la nascita dei 'multilateral trading systems';
· Una possibile ulteriore riduzione nel numero degli operatori,
· Una minore trasparenza e precisione dei prezzi e una riduzione della liquidità di mercato;
· Un ridotto potere di indicare il trend effettivo di mercato da parte degli indici azionari


Quali erano le priorità per la riforma delle Borse?

A questo punto forse è opportuno tornare indietro nel tempo e scoprire quali remore avevano convinto le autorità sulla necessità di riformare i mercati borsistici europei dopo il famoso 'Big Bang' di Londra nell'ottobre 1986. Allora le Borse, spesso accusate dì essere 'gambling dens', avevano un ruolo minore ed erano quasi considerate concorrenti indesiderati al mercato per i titoli di Stato, indispensabili per reggere i forti debiti di vari Paesi europei, incluso l'Italia. La radicale riforma della Borsa britannica, voluta dalla commissione antitrust inglese (l'Office of Fair Trade) che accusava la Borsa di Londra della propagazione di un sistema monopolistico, ha costretto le Borse Europee a rivedere le loro strutture e le loro organizzazioni: la Borsa Tedesca per prima.

Le priorità individuate dalle varie autorità nazionali prevedevano o la creazione di un'unica Borsa nazionale o un collegamento telematico delle varie borse regionali; una concentrazione e una maggiore trasparenza degli ordini d'acquisto e di vendita in modo da rendere i mercati più liquidi, una maggiore trasparenza delle imprese quotate e dei loro bilanci, debitamente certificati, la creazione di società d'intermediazione in grado di offrire ottimi servizi agli investitori come, ad esempio, uffici studi e, infine, la modernizzazione dell'Istituto Borsa e la sua privatizzazione. In seguito per tramite della Federazione delle Borse Europee (FESE), nata nel 1988 per volontà della Borsa Italiana, si proponeva un collegamento diretto tra i sistemi di negoziazioni di ogni Borsa, progetto nato nel 1988 che si chiamava 'EUROQUOTE, con la creazione di una specie di Federazione tra le borse nazionali Europee. Purtroppo, principalmente per colpa di Londra ma anche per una mancanza di coraggio delle altre Borse, il progetto naufragò nel 1991, nonostante il fatto che fosse praticamente pronto al via. Solo ora, quasi venti anni dopo, si discute sulla possibilità di una Federazione delle Borse Europee, visto che i tentativi di creare un mercato unico tramite fusioni hanno avuto solo qualche successo (es. EURONEXT). Credo che, se si potesse tornare indietro, Londra sarebbe ora il primo sostenitore di EUROQUOTE, in quanto, in questo arco di tempo, il suo ruolo a livello europeo è stato molto ridimensionato. Ha perso l'opzione LIFFE che ha preferito la proposta di fusione EURONEXT, ed è ora soggetta ad una serie d'OPA, anche ostili, finora inconcludenti.


E domani?

A questo punto sembra lecito chiedersi come sarà la Borsa di domani, tenendo presente le priorità delle famiglie e dell'economia moderna. E' auspicabile che non si dovrà attendere una specie di Watergate Finanziario per cercare i rimedi. Occorrono provvedimenti preventivi e non solo correttivi. Altrimenti si rischia un ritorno al passato e l'ingessatura dei mercati da parte degli organi di controllo. Già Londra, allo scopo scongiurare altri conflitti d'interesse, ha spontaneamente rinunciato al compito tradizionale di quotare le imprese. Una prerogativa di cui una volta si vantava. Più recentemente IOSCO, l'organizzazione internazionale degli organi di controllo nazionali, si chiede se le Borse, ormai in gran parte a fine di lucro, siano effettivamente in grado di svolgere a pieno i compiti di autoregolamentazione dei mercati a loro assegnati. Ha inoltre espresso preoccupazione per le possibili conseguenze dall'internalizzazione del flusso di ordini di Borsa in termini di trasparenza, frammentazione delle negoziazioni e l'impegno degli intermediari di assicurare la 'best execution' degli ordjni di acquisto e di vendita. Sono segnali per il futuro?



Malcolm Duncan

Già responsabile per le relazioni internazionali della Borsa Italiana,
già fondatore e presidente del Comitato d'Economia e di Statistica della FESE e
già consulente della Commissione Europea (DGXV)



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