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Il risparmio gestito tra restaurazione ed aggiotaggio

Non è un mistero che Banca d'Italia stia lavorando alla bozza di un nuovo regolamento dei Fondi Comuni. Anche perchè tale bozza è circolata anche su Internet... Ora però c'è chi dice che i principi contenuti in quella bozza potrebbero essee stravolti da una nuova formulazione. Sarà vero?

di La redazione di Soldionline 5 ott 2005 ore 08:51
In un recente articolo, Il Sole 24 Ore ha adombrato l'ipotesi che la Banca d'Italia stia ripensando la bozza del nuovo regolamento per i fondi comuni d'investimento. Questa bozza era circolata in Italia clandestinamente per alcune settimane finché l'ADUC, una piccola ma combattiva associazione di consumatori, la aveva meritoriamente pubblicata sul suo sito Internet.

Ovviamente, essendo quella una semplice bozza, è naturale aspettarsi che la versione finale dei nuovi regolamenti possa in parte discostarsi da essa. Tuttavia, l'impressione (a mio avviso, errata) che circola sul mercato è che la Banca d'Italia possa fare una vera e propria retromarcia sul tema della diversa regolamentazione delle commissioni di performance dei fondi.

In questa vicenda è opportuno distinguere la questione di sostanza da quella di forma.

La questione di sostanza

Nel Giugno scorso era diventato di dominio pubblico che Banca d'Italia avesse in animo di mettere mano al vuoto normativo che riguarda le commissioni di performance dei fondi comuni d'investimento. Era ora! Non va, infatti, scordato che, negli Stati Uniti d'America, il regolatore intervenne su quest'aspetto dell'organizzazione dei fondi comuni con lnvestment Adviser Act già nel 1970, imponendo agli operatori del settore il concetto di 'commissioni simmetriche' con l'obiettivo di evitare il moral hazard da parte dei gestori. Il rischio di moral hazard è così sintetizzabile: se un gestore ha tutto da guadagnare e nulla da perdere dall'assumere posizioni rischiose - sostiene il regolatore USA - allora può accadere che faccia assumere rischi eccessivi al fondo che gestisce. Da qui l'azzardo morale, da cui deriva il concetto di commissioni di performance simmetriche per cui, se il fondo non batte il suo benchmark, il gestore deve restituirgli soldi anche intaccando le commissioni di gestione. Per questa ragione le commissioni di performance sono quasi sconosciute negli USA.

Senza giungere all'estremo delle commissioni di gestione simmetriche, il sistema ideale per il calcolo delle commissioni di performance dei fondi si basa su tre cardini:

1) high water mark. Questo meccanismo garantisce l'equità verticale tra le società di gestione ed i clienti gestiti. Infatti, il meccanismo dell'high water mark fa si che non siano prelevate dai fondi nuove commissioni di performance fintanto che i risparmiatori debbano recuperare le perdite registrate precedentemente. Poiché nel medio-lungo termine gli indici azionari mostrano comunque una tendenza a crescere e toccano nuovi massimi, questo meccanismo garantisce - nel medio-lungo termine - la distribuzione delle performance fee su performance reali ed effettive, purché l'investitore non riscatti le quote prima che siano ritoccati i nuovi massimi. Questo meccanismo, inviso alle sgr e normalmente mai applicato ai fondi comuni, qualora applicato renderebbe quasi irrilevante il periodo (mensile, trimestrale, annuale) su cui le commissioni di performance vengono calcolate: infatti, se il fondo perde dai suoi precedenti massimi, deve comunque prima ritestare nuovi massimi prima di distribuire nuove commissioni di performance. In assenza dell'high water mark, che rappresenta la soluzione tecnica ed "etica" ottimale, ogni altra soluzione è fatalmente compromissoria. Tuttavia, in sua assenza, il periodo di calcolo su cui calcolare le performance almeno non dovrebbe essere troppo breve e comunque non inferiore ai 12 mesi per evitare far pagare ai 'fondisti' commissioni di performance su performance inesistenti, ad esempio in presenza di trading range orizzontali dei mercati;

2) benchmark adeguato. Questa criterio fa si che la fee di performance sia pagata sull'abilità effettiva del gestore e non sulla rivalutazione bruta della quota del fondo. La rivalutazione della quota può essere (e sempre più spesso è) legata all'indicizzazione più o meno stretta del fondo ad un benchmark e, pertanto, non ha necessariamente una relazione diretta con l'abilità del gestore (che è ciò che si dovrebbe remunerare con la fee d'incentivo), ma solo col profilo di rischio definito per il fondo. Pertanto, l'imposizione di un benchmark (da superare) al meccanismo di calcolo delle performance fee, purché rigorosamente coerente con il profilo di rischio scelto, remunera l'extrarendimento conseguito dal gestore per quel determinato profilo di rischio. Superato il benchmark, il gestore del fondo dovrebbe essere titolato a richiedere anche un'elevata percentuale dell'extrarendimento senza alcun tetto, lasciando al mercato il compito di valutare la congruità del pricing richiesto. La novità del benchmark, abbracciata dalla Banca d'Italia, potrà avere un positivo impatto sulle strategie d'investimento delle sgr, riducendo l'interesse per le politiche di pura o quasi indicizzazione che oggi sono prevalenti nel nostro panorama finanziario ed incentivando le strategie attive di gestione e la selezione dei manager più capaci nelle sgr;

3) equalizzazione. Questo meccanismo si basa sull'attribuzione di azioni gratuite, pagate dal gestore del fondo, a quei sottoscrittori che sono stati gravati di commissioni di performance non interamente o per nulla dovute per il fatto essere entrati nel fondo a prezzi più elevati della media dei sottoscrittori. Il meccanismo garantisce il pari trattamento tra i sottoscrittori e, quindi, l'equità orizzontale tra i gestiti che presentino diversi valori di carico delle loro quote. Come l'high water mark, anche l'applicazione dell'equalisation factor è un meccanismo tipico dei fondi hedge perché, nell'esperienza anglosassone, i sottoscrittori dei fondi hedge normalmente sono investitori sofisticati di taglia XXL che non accetterebbero di pagare commissioni di performance non effettivamente dovute come può avvenire con i più rozzi meccanismi di calcolo tipici dei fondi comuni.

Questi tre input nel meccanismo di calcolo delle commissioni di performance garantiscono la soluzione più equa e perfetta possibile nel loro computo. Ogni altra soluzione adottata rappresenta sempre e comunque un "second best" rispetto a questa. Per quanto alcune di queste metodologie siano sorte con i fondi hedge anglosassoni, nulla osta tecnicamente che possano essere estese anche ai fondi comuni se la concezione di equità del regolatore le fa proprie. La potenza di calcolo dei moderni calcolatori consente di svolgere agevolmente questo compito. Ragioni politiche o di presunta semplificazione amministrativa possono far propendere il regolatore verso la rinuncia a qualcuno di questi tre cardini. È importante, in questo caso, essere pienamente consapevoli a quali principi di equità si rinuncia rispetto ad un modello ideale di calcolo delle commissioni di performance. Poiché, ad esempio, i fondi flessibili non adottano il benchmark è almeno auspicabile che ad essi sia imposta la regola dell'high water mark. È anche opportuno che le società di rating di fondi includano questi elementi nei loro criteri di giudizio.

La questione di forma

Logica vorrebbe che, pur senza abbracciare il concetto statunitense di commissioni simmetriche, la Banca d'Italia non scendesse a compromessi su alcuni punti chiave della futura normativa, onde giungere ad una vera equità nel sistema commissionale dei fondi comuni. I punti chiave di tale equità sono, ovviamente, l'utilizzo di un benchmark adeguato e rappresentativo del rischio del fondo per prelevare una commissione di performance commisurata all'abilità del gestore e non al rischio assunto dal fondo, senza il quale tutta la costruzione crolla, e l'high water mark.

Ma non è solo una questione di logica, bensì di adeguamento agli standard internazionali. Lo Iosco, l'organizzazione internazionale delle 'Consob' di tutto il mondo, nel Novembre di quest'anno ha emesso alcuni indirizzi sul tema delle commissioni applicabili ai fondi, indirizzi contenuti in un suo documento denominato FINAL REPORT ON ELEMENTS OF INTERNATIONAL REGULATORY STANDARDS ON FEES AND EXPENSES OF INVESTMENT FUNDS.

Anche se, per un'anomalia del nostro sistema, la Banca d'Italia non aderisce allo Iosco (cui invece aderisce la Consob), essa difficilmente potrà distanziare eccessivamente i nuovi regolamenti dei fondi italiani dagli standard internazionali. Il documento dello Iosco, sia pur con oltre trent'anni di ritardo sulle convinzioni già consolidate dai 'regulator' statunitensi, affronta il tema del moral hazard, del benchmark adeguato da applicarsi al calcolo delle commissioni di performance, del periodo di prelievo, ecc..

In altri termini, è impossibile ipotizzare razionalmente una conservazione dell'anarchia dell'odierno sistema commissionale.

Ma ecco che il modo semiclandestino con cui la Banca d'Italia continua a trattare una questione di grande interesse collettivo dà forza a voci ed interpretazioni infondate, con relativi rischi di aggiotaggio. Già all'epoca della divulgazione della prima bozza dei nuovi regolamenti fu rimarcato come - nel 'metodo' - la Banca d'Italia avesse perso una grande occasione per alimentare un dibattito aperto e trasparente sul tema.

Oggi bisogna purtroppo segnalare che questo metodo si presta - sia pur inconsapevolmente - a possibili manovre di aggiotaggio.

Paolo Sassetti




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