Il futuro degli analisti finanziari
Paolo Sassetti ha recentemente inviato ad un gruppo di soci Aiaf una lettera per stimolare una riflessione sul ruolo politico-sociale degli analisti finanziari e sul posizionamento politico della loro associazione.
di La redazione di Soldionline 28 nov 2006 ore 14:26
Gli spunti di riflessione partono da specifici fatti ma sono una evidente scusa per avviare un dibattito sulla competitività del sistema finanziario italiano, sulla sua trasparenza e sul ruolo della libera informazione finanziaria in un mercato finanziario che vuole essere trasparente ed efficiente. Un giudizio retrospettivo sul Governatorato Fazio in Bankitalia è un punto di partenza di questa riflessione.
Paolo Sassetti con questo suo scritto lancia un tema importante, sentito anche da molti lettori, e quindi ogni commento in merito, inviato alla mia casella di posta, sarà benvenuto e darà nuovi spunti al dibattito.
Grazie a tutti e buona lettura
diegopastorino@soldionline.it
Sono socio ordinario dell'Aiaf (l'Associazione Italiana degli Analisti Finanziari) dal 1989. La vita associativa ha accompagnato il mio sviluppo professionale e mi ha offerto un'utile sede di confronto tecnico e politico. L'Aiaf ha maturato negli anni meriti importanti nella formazione tecnica degli analisti finanziari italiani e nella diffusione della cultura finanziaria in Italia.
Tuttavia, talune prese di posizione/omissioni dell'Associazione negli ultimi anni hanno suscitato in me alcune irrisolte perplessità e, come è mio costume, non le ho dissimulate, specie man mano che si cumulavano nel tempo. Poiché nella Primavera del 2007 l'Associazione rinnoverà i suoi vertici direttivi, credo che esporre queste perplessità sia utile per orientare la politica dell'Associazione in futuro. Le considerazioni che mi accingo ad esporre hanno una rilevanza più ampia di quella del puro ambito associativo e si rivolgono al più vasto mondo politico e finanziario nazionale.
Tre sono state le principali cause di perplessità in merito alla politica dell'Associazione:
1) l'appiattimento (benign neglect) sulle norme più controverse e discutibili del disegno di legge Lettieri per la regolamentazione degli analisti finanziari, durante la passata legislatura;
2) l'attribuzione del riconoscimento di 'socio onorario' al Governatore della Banca d'Italia Antonio Fazio (per il connesso significato politico);
3) il sostanziale disinteresse verso la vicenda dell'analista finanziario Andrew Sentance.
Analizziamo separatamente queste tre ragioni.
Il mio dissenso sul disegno di legge Lettieri
Trovo fisiologico che un'associazione di analisti finanziari tenti di influenzare i modi della regolamentazione della professione di analista finanziario.
Credo anche che una regolamentazione sia ammissibile ed utile purché risponde a taluni requisiti:
1) che sia espressione di norme e principi più ampi e generali imposti dal Legislatore a garanzia dei mercati finanziari (e non espressione di principi specifici ai soli analisti); come tale, che non sia elaborata ad hoc solo per gli analisti finanziari, ma che rappresenti un'estensione agli analisti finanziari di criteri di professionalità e di principi di condotta generalmente validi per tutti i professionisti che operano a vario titolo nell'intermediazione finanziaria (ad esempio, i gestori professionali hanno una responsabilità concreta ben superiore quella degli analisti). Diversamente, invece di offrire un'effettiva garanzia ai mercati finanziari (che di ben più concrete garanzie avrebbero necessità), tale regolamentazione si sostanzierebbe in una discriminazione contro gli analisti finanziari;
2) che non sia funzionale ad alimentare un business artificiale della formazione permanente resa obbligatoria ope legis. Ancora una volta, i promotori finanziari oggi non sono chiamati a sostenere esami per il mantenimento della loro certificazione (che, per i gestori, neppure esiste), ne' lo sono tipicamente gli stessi iscritti agli albi professionali (medici, avvocati, notai, ingegneri, architetti, ecc.) dopo il superamento dell'esame di Stato, non rientrando nella definizione di 'esame' ovviamente la pratica dei cosiddetti 'crediti formativi', per la cui maturazione spesso è sufficiente la partecipazione ad eventi informativi. Anche in considerazione del fatto che - diversamente dalle discipline scientifiche - l'analisi finanziaria è una materia ad evoluzione relativamente lenta. Esami periodici di mantenimento della certificazione imposti per legge solo agli analisti finanziari equivalrebbero, di fatto, ad un aggravio burocratico specifico imposto sull'esercizio della sola attività di analista finanziario e, poiché ogni aggravio burocratico presenta un costo economico, nei fatti si tratterebbe di una tassa sulla specifica attività di analista. Non i gestori, non i promotori finanziari, non i consulenti indipendenti, nessuna altra figura professionale del mondo della finanza italiana sarebbe soggetta a questo obbligo per legge di formazione permanente; il che inficia l'argomentazione della preservazione della professionalità a garanzia dei mercati finanziari, come se gli analisti finanziari fossero dei piccoli Atlante sulle cui spalle, ed esclusivamente sulle loro, si reggono la trasparenza e l'efficienza dei mercati finanziari ...
3) che dichiari in linea di principio - come ha fatto il Sarbanes-Oxley Act statunitense - l'illiceità delle pressioni effettuate sugli analisti finanziari nei luoghi di lavoro (per condizionarne pregiudizionalmente le opinioni a favore di aziende clienti), come presidio per garantirne l'indipendenza; e ciò come riconoscimento del fatto che le pur sempre possibili degenerazioni nella condotta degli analisti finanziari non derivano normalmente dalla insufficiente professionalità di questi ultimi, bensì dai conflitti d'interesse degli intermediari presso cui operano e che, di conseguenza, gli analisti necessitano di un quadro normativo di garanzie contro tali conflitti che vada ben oltre il pannicello-caldo-foglia-di-fico della semplice e formale disclosure degli stessi. I grandi scandali finanziari che investirono la finanza americana durante la bolla di Internet si realizzarono con analisti finanziari 'puntualmente certificati' ed in un contesto in cui le disclosure si sprecavano, ergo il problema non risiedeva nella professionalità degli analisti, ne' nella mancata disclosure dei conflitti di interesse;
4) in sostanza, che sia una regolamentazione 'leggera', non eccessivamente burocratica e che determini un riconoscimento della figura dell'analista finanziario non tanto (o non solo) grazie all'esame che egli deve sostenere ma soprattutto grazie alla garanzia di indipendenza intellettuale (vedi nota 1) che la regolamentazione deve offrirgli.
Bene, ipotizziamo che la futura regolamentazione degli analisti finanziari accolga in maniera equilibrata queste osservazioni. Ciò non sarebbe, comunque, ancora sufficiente per definirla una 'buona' regolamentazione.
Infatti, il disegno di legge Lettieri proponeva di introdurre, nei fatti, una regolamentazione anche per i non-analisti, cioè per il 'resto del mondo ex analisi finanziaria'. Infatti, prevedeva di inibire a chiunque non avesse conseguito la certificazione di analista finanziario il diritto di esprimere opinioni e suggerimenti su titoli e mercati finanziari, colpendo con sanzioni pecuniarie e persino col carcere (sic!) chi avesse espresso consigli finanziari senza la certificazione di analista finanziario 'doc'. Unica eccezione a questa censura globale sarebbero stati i giornalisti, anche quelli non finanziari ma specializzati in gossip mondano, purché semplicemente iscritti all'Ordine dei Giornalisti e purché questo avesse elaborato un codice di autoregolamentazione.
Oggi possiamo sorridere sull'assurdità del carcere ipotizzato per un semplice 'reato di opinione finanziaria' ma se, per impulsività del Parlamento, quella regolamentazione fosse stata approvata definitivamente nella versione già votata alla Camera (vedi nota 2), avrebbe provocato alcune serie conseguenze. Da una parte, riservando ai soli analisti certificati il diritto esclusivo (in condominio coi soli giornalisti) di esprimere il 'verbo finanziario', ne avrebbe indubbiamente aumentato il potere contrattuale; dall'altra parte, poiché il maggior numero degli analisti finanziari sell-side opera in istituzioni bancarie, questa normativa avrebbe favorito un oligopolio informativo da parte delle banche. Ad esempio, gran parte dei siti finanziari della rete Internet si sarebbe trovata, per legge, fuorilegge.
È ben vero - come mi fu fatto argutamente notare - che l'Associazione non era ancora dotata di poteri legislativi propri e, quindi, non aveva responsabilità per quel disegno di legge approvato dalla Camera, ma è anche vero che il giudizio di 'epocale' dispensato senza altre obiezioni a quel provvedimento equivaleva a dargli il beneplacito davanti al Legislatore anche sugli aspetti più preoccupanti e controversi.
Invece, nessuna voce si è levata per proporre un articolo analogo a quello previsto nel Sarbanes-Oxley Act statunitense per proteggere gli analisti finanziari da pressioni indebite esercitate sui luoghi di lavoro.
Il mio dissenso su Antonio Fazio socio onorario dell'Aiaf
Avevo manifestato argomentate riserve sull'operato del Governatore Fazio ben prima che egli venisse coinvolto nello scandalo dei 'furbetti del quartierino'" (vedi nota 3).
La mia tesi è che, anche senza lo scandalo connesso alla tentata scalata AntonVeneta che ne ha causato le dimissioni, Fazio non meritava alcun riconoscimento, ma, semmai, una pubblica critica, in quanto si era rivelato il rappresentante più intransigente della difesa dell'italianità del sistema bancario contro la sua apertura alla concorrenza internazionale. Il cordone di sicurezza con cui aveva cintato la Banca di Roma, già ai tempi di Geronzi Amministratore Delegato, ne è ampia prova.
Inoltre, non sarebbe stata necessaria un'approfondita 'due diligence' per accertare che la Banca d'Italia, anche sotto Antonio Fazio, non aveva avviato alcun processo di auto-riforma ed era rimasta il regno di un'ampia discrezionalità decisionale che confliggeva con la certezza del diritto e che è stata la causa prima delle degenerazioni di cui ora sappiamo.
Anche nella regolamentazione dell'intermediazione finanziaria, Antonio Fazio si è mosso con negligente ritardo nella composizione del fisiologico conflitto tra società di gestione e risparmiatori. La regolamentazione più equa del calcolo delle commissioni di performance sui fondi comuni è stata introdotta dalla Banca d'Italia alle Sgr italiane solo a partire dal 2007, su indicazioni ormai ineludibili dello IOSCO, quando la stessa normativa era in vigore negli USA già dal 1973. In altri termini, anche in questo campo la Banca d'Italia sotto la gestione Fazio ha dormito (od a fatto finto di dormire), ma in ciò non essendo affatto politicamente neutrale, nei fatti procrastinando nel tempo l'anacronismo e l'iniquità di regolamenti finanziari su cui aveva piena competenza regolamentare, contro l'interesse dei risparmiatori.
Ne' mai Antonio Fazio sfruttò la sua posizione privilegiata per chiedere ai Governi italiani cambiamenti normativi per rendere la finanza italiana concorrenziale con quella internazionale, ad esempio suggerendo di abolire il cervellotico meccanismo di tassazione per competenza delle plusvalenze sui capital gain nel risparmio gestito a favore di un sistema di tassazione per cassa.
Pur egli celebrando ogni anno, con formale solennità ma anche sostanziale ambiguità, la giornata del risparmio.
È stato necessario il cambio della guardia in Banca d'Italia affinché il nuovo Governatore finalmente affrontasse il tema della governance anticapitalistica ed antimodernista delle banche popolari italiane, ricevendone in cambio un nutrito fuoco di sbarramento. Nel nuovo contesto non più locale nel quale si muovono le maggiori banche popolari italiane, la difesa del voto capitario si fonda su motivazioni fumose, assai poco razionali ed oggettive ma assai funzionali alla cristallizzazione dell'autoreferenzialità dei loro amministratori. Fenomeno dell'autoreferenzialità al cui fascino Fazio non era insensibile, potendo la Banca d'Italia comunque influenzare le direttrici strategiche delle banche vigilate con mitici 'aggrottar di sopracciglia'.
In breve, lo scandalo dei 'furbetti del quartierino'" e l'arroccamento per mesi del Governatore nel fortino di Palazzo Koch ha reso Fazio impresentabile anche ai critici più benevoli ma, anche assai prima dello scandalo, egli era l'esponente di maggior spicco e di aggregazione della conservazione nel nostro sistema finanziario contro gli stimoli della concorrenza. L'Aiaf si riconosceva negli indirizzi impressi da Fazio al sistema finanziario nazionale? Fazio meritava davvero - anche al netto dello scandalo - il riconoscimento tributatogli? Sono convinto di no ed il mio timore è che questo mio 'diverso' sentire su Fazio affondi le radici in un'altrettanto 'diversa' e non condivisa idea del sistema finanziario italiano. Tornerò su questo interrogativo al termine di questo scritto.
Purtroppo, proprio lo scandalo dei 'furbetti del quartierino'" ha consentito di minimizzare il significato politico dell'onorificenza attribuita a Fazio in quanto, in un certo senso, proprio lo scandalo ha consentito di giustificare l'errore ('Non potevamo immaginare'), mentre nessuno si è posto il problema del giudizio sulla gestione di Antonio Fazio alla Banca d'Italia, già al netto dello scandalo.
La mia valutazione è che l'indirizzo politico, deliberatamente impresso dalla Banca d'Italia al sistema finanziario italiano, negli anni abbia contribuito alla sua marginalizzazione a livello internazionale e che oggi - a fianco dei ben noti fenomeni di de-industrializzazione - il Paese sta paradossalmente assistendo anche a fenomeni di de-terziarizzazione finanziaria rispetto ad altre piazze finanziarie.
Il mio dissenso sul silenzio attorno al caso di Andrew Sentance
Sul caso di Andrew Sentance, l'analista finanziario del gruppo Banca Sella 'dimissionato' per le sue opinioni sulla Banca Popolare di Lodi, ho già scritto un commento corredato da un utile filmato di due giornalisti, disponibile a questo link.
Non ho mai chiesto per Andrew Sentance una solidarietà 'aprioristica' dell'Aiaf. Tuttavia, chi deve interessarsi - in linea di principio - al caso di un analista finanziario 'dimissionato' da una banca per le sue opinioni e delle più vaste implicazioni di questo precedente? L'ABI, la bocciofila di Porretta Terme o la prima associazione italiana di analisti finanziari? Ovviamente l'ultima delle tre, e questo sempre, ma specialmente quando alcune riserve espresse dall'analista finanziario hanno trovato successiva conferma nelle relazioni di quegli scomodi ispettori della vigilanza della Banca d'Italia che il Governatore Fazio - a sua volta - aveva tentato di emarginare, quando questi, sulla base di riscontri oggettivi, non avevano assecondato il suo disegno. In altri termini, il caso è particolarmente attuale anche perché - guarda caso - l'analista aveva intuito alcuni problemi dello stato patrimoniale della BPI e sembrano potersi delineare due vicende quasi parallele, quella dell'analista finanziario 'cocciuto' e quella degli ispettori 'insubordinati' della Banca d'Italia.
In Aiaf l'analista finanziario è descritto metaforicamente come un vaso di coccio tra i vasi di ferro dei datori di lavoro e delle società quotate che esamina. Ma questa immagine diventa malinconicamente retorica se, quando si verifica un caso esemplare come quello di Andrew Sentance, non esiste l'interesse associativo almeno ad approfondirlo nelle sue implicazioni, costringendo alla solitudine e ad un certo eroismo suicida chi tenta di affermare le migliori qualità (se non altro di 'carattere') dell'analisi finanziaria al servizio di un mercato finanziario trasparente.
Certo, ai tempi in cui la vicenda ebbe luogo, il Presidente della Banca Sella era contestualmente anche il Presidente dell'Associazione Bancaria Italiana ed affrontare la questione sarebbe potuto apparire uno sgarbo istituzionale anziché un atto del tutto 'normale' per un'associazione di analisti. A mio avviso era un rischio da correre nel nome, appunto, della 'normalità'.
Il profilo del mio Presidente ideale
Si può dissentire dal mio punto di vista su tutte e tre le questioni sopra descritte, ma si deve concordare che le mie ragioni di dissenso sono sostanziali e non di contorno.
Mi sono interrogato a più riprese se tali ragioni di dissenso derivassero da mie visioni politiche divergenti rispetto a quelle espresse dalla Associazione o se, al contrario, derivassero da semplici difficoltà 'diplomatiche' da parte della Associazione ad esternare una visione politica in realtà condivisa sull'evoluzione necessaria del nostro sistema finanziario. Non ho tratto conclusioni definitive ma, nel primo caso, il dissenso non sarebbe componibile. Nel secondo caso, il problema potrebbe essere risolvibile con un cambiamento organizzativo profondo che investisse gli organi di governo dell'Associazione.
Il mio Presidente ideale dell'Aiaf è un analista finanziario che ha avuto variegate esperienze professionali legate all'analisi finanziaria ma che oggi è (preferibilmente, anche se non necessariamente) in pensione, non riveste altre cariche e non ha altri incarichi professionali di rilievo. Questo profilo è più libero e meno condizionabile e non deve coltivare relazioni di buon vicinato ad un prezzo politicamente inaccettabile.
Come esempio estremo, possibile anche se non necessario, il modello cui ispirarsi potrebbe essere il modello di Assogestioni dove, non a caso, i presidenti ed i direttori generali non sono mai gestori professionali, ma sono addirittura scelti tra soggetti esterni. Infatti, quale gestore potrebbe permettersi di sollecitare pubblicamente il Governatore della Banca d'Italia, la Consob, il Governo, specifiche società quotate, ecc. come periodicamente fa il prof. Cammarano, e poi tornare a fare il gestore come un moderno Cincinnato finanziario?
In passato, alcuni soci Aiaf ammisero di condividere talune mie idee ma di non poterle appoggiare pubblicamente o perché condizionati sui luoghi di lavoro o perché (nel caso di titolari di società) poco desiderosi di esporsi di fronte alle Autorità di Controllo.
Questa è una preoccupazione palpabile e diffusa, se è vero che un professionista, che in precedenza aveva lavorato in un'Autorità di Controllo dei mercati finanziari, una volta mi chiese se non avessi 'timore' per le posizioni che assumevo pubblicamente. La domanda mi colpì e mi costrinse ad interrogarmi su in quale Paese io vivessi, se avessi dovuto addirittura nutrire timori per le mie documentate opinioni. Tuttavia, questo è lo scenario reale dei 'timori', reali o anche solo riverenziali, che investono il settore.
Ecco, allora, che un soggetto indipendente/non-più-in-carriera nominato Presidente dell'Aiaf sarebbe nello stesso interesse degli analisti finanziari che operano come lavoratori dipendenti, in quanto avrebbe piena forza per esprimere gli interessi non corporativi degli analisti finanziari, senza condizionamenti.
In ogni caso, i Presidenti dell'Aiaf che si avvicendano dovrebbero sempre rappresentare via,via, anime e categorie diverse e non essere espressione omogenea della stessa cultura aziendale.
Per evitare equivoci, non è il mio profilo in quanto non sono ancora in pensione. Tuttavia, le scelte organizzative e politiche che matureranno alla prossima Assemblea dell'Aiaf determineranno anche la mia scelta se rinnovare la mia adesione ad essa, oppure se, come Antonio Fazio (suppongo), non farne più parte, sia pure per ragioni diverse da quelle dell'ex Governatore, semplicemente non rinnovando la quota associativa.
Lascio volentieri ad altri la prudenza di una realpolitik che - per i miei gusti personali - si è rivelata eccessivamente timida nel rivendicare alcuni principi, senza i quali si ridimensionano il significato ed il valore della stessa tecnica finanziaria. Per tornare ad essere - in tal caso - semplice spettatore esterno.
____________________________________________________
nota 1: Può essere utile richiamare, come paragone, quanto prevede la normativa a tutela della autonomia intellettuale dei giornalisti. Il direttore di un giornale ha il potere di tagliare un articolo ma, in tal caso, il giornalista ha il diritto di non firmarlo, se non vi si riconosce dopo i tagli. Questa potrebbe essere una utile base di partenza per ipotizzare la tutela normativa dell'autonomia intellettuale degli analisti finanziari. Ricordo - quando ero analista attivo di società quotate - di essere io stesso ricorso, almeno in una circostanza, a questo espediente quando mi si suggeriva di esprimere raccomandazioni che non condividevo. Come lavoratore dipendente non potevo sottrarmi all'obbligo di scrivere un certo studio, se mi veniva espressamente chiesto, ma come analista finanziario mi sottrassi a questo obbligo, rifiutandomi di firmare lo studio. Questo sottile distinguo portò alla mancata pubblicazione dello studio, in quanto uno studio non firmato ovviamente sarebbe stato considerato sospetto. Tuttavia, non vorrei mai che i miei giovani colleghi analisti fossero costretti ad un simile 'espediente dialettico' coi loro datori di lavoro senza una precisa tutela normativa.
nota 2: Nella passata legislatura, la Camera dei Deputati aveva approvato con un voto bipartisan quasi plebiscitario il disegno di legge Lettieri. Tuttavia, fu sufficiente che io mi rivolgessi ai membri della Commissione Finanze e Tesoro del Senato per evidenziare i rischi della legge approvata alla Camera perché i Senatori fossero indotti a ripensamenti. Nonostante alcuni successivi emendamenti, la Commissione del Senato non riuscì a risolvere il vizio insanabile di fondo che, in realtà, avrebbe richiesto una ri-scrittura integrale del provvedimento e la legge non ottenne l'approvazione definitiva. Caso esemplare di come il bicameralismo rappresenti un'effettiva garanzia contro provvedimenti approvati in maniera affrettata da una Camera.
nota 3: 'I furbetti del quartierino' è un marchio depositato da Anni Falchi.
Paolo Sassetti
Analista finanziario indipendente, socio Aiaf
Leggi tutti gli Articoli
Grazie a tutti e buona lettura
diegopastorino@soldionline.it
Sono socio ordinario dell'Aiaf (l'Associazione Italiana degli Analisti Finanziari) dal 1989. La vita associativa ha accompagnato il mio sviluppo professionale e mi ha offerto un'utile sede di confronto tecnico e politico. L'Aiaf ha maturato negli anni meriti importanti nella formazione tecnica degli analisti finanziari italiani e nella diffusione della cultura finanziaria in Italia.
Tuttavia, talune prese di posizione/omissioni dell'Associazione negli ultimi anni hanno suscitato in me alcune irrisolte perplessità e, come è mio costume, non le ho dissimulate, specie man mano che si cumulavano nel tempo. Poiché nella Primavera del 2007 l'Associazione rinnoverà i suoi vertici direttivi, credo che esporre queste perplessità sia utile per orientare la politica dell'Associazione in futuro. Le considerazioni che mi accingo ad esporre hanno una rilevanza più ampia di quella del puro ambito associativo e si rivolgono al più vasto mondo politico e finanziario nazionale.
Tre sono state le principali cause di perplessità in merito alla politica dell'Associazione:
1) l'appiattimento (benign neglect) sulle norme più controverse e discutibili del disegno di legge Lettieri per la regolamentazione degli analisti finanziari, durante la passata legislatura;
2) l'attribuzione del riconoscimento di 'socio onorario' al Governatore della Banca d'Italia Antonio Fazio (per il connesso significato politico);
3) il sostanziale disinteresse verso la vicenda dell'analista finanziario Andrew Sentance.
Analizziamo separatamente queste tre ragioni.
Il mio dissenso sul disegno di legge Lettieri
Trovo fisiologico che un'associazione di analisti finanziari tenti di influenzare i modi della regolamentazione della professione di analista finanziario.
Credo anche che una regolamentazione sia ammissibile ed utile purché risponde a taluni requisiti:
1) che sia espressione di norme e principi più ampi e generali imposti dal Legislatore a garanzia dei mercati finanziari (e non espressione di principi specifici ai soli analisti); come tale, che non sia elaborata ad hoc solo per gli analisti finanziari, ma che rappresenti un'estensione agli analisti finanziari di criteri di professionalità e di principi di condotta generalmente validi per tutti i professionisti che operano a vario titolo nell'intermediazione finanziaria (ad esempio, i gestori professionali hanno una responsabilità concreta ben superiore quella degli analisti). Diversamente, invece di offrire un'effettiva garanzia ai mercati finanziari (che di ben più concrete garanzie avrebbero necessità), tale regolamentazione si sostanzierebbe in una discriminazione contro gli analisti finanziari;
2) che non sia funzionale ad alimentare un business artificiale della formazione permanente resa obbligatoria ope legis. Ancora una volta, i promotori finanziari oggi non sono chiamati a sostenere esami per il mantenimento della loro certificazione (che, per i gestori, neppure esiste), ne' lo sono tipicamente gli stessi iscritti agli albi professionali (medici, avvocati, notai, ingegneri, architetti, ecc.) dopo il superamento dell'esame di Stato, non rientrando nella definizione di 'esame' ovviamente la pratica dei cosiddetti 'crediti formativi', per la cui maturazione spesso è sufficiente la partecipazione ad eventi informativi. Anche in considerazione del fatto che - diversamente dalle discipline scientifiche - l'analisi finanziaria è una materia ad evoluzione relativamente lenta. Esami periodici di mantenimento della certificazione imposti per legge solo agli analisti finanziari equivalrebbero, di fatto, ad un aggravio burocratico specifico imposto sull'esercizio della sola attività di analista finanziario e, poiché ogni aggravio burocratico presenta un costo economico, nei fatti si tratterebbe di una tassa sulla specifica attività di analista. Non i gestori, non i promotori finanziari, non i consulenti indipendenti, nessuna altra figura professionale del mondo della finanza italiana sarebbe soggetta a questo obbligo per legge di formazione permanente; il che inficia l'argomentazione della preservazione della professionalità a garanzia dei mercati finanziari, come se gli analisti finanziari fossero dei piccoli Atlante sulle cui spalle, ed esclusivamente sulle loro, si reggono la trasparenza e l'efficienza dei mercati finanziari ...
3) che dichiari in linea di principio - come ha fatto il Sarbanes-Oxley Act statunitense - l'illiceità delle pressioni effettuate sugli analisti finanziari nei luoghi di lavoro (per condizionarne pregiudizionalmente le opinioni a favore di aziende clienti), come presidio per garantirne l'indipendenza; e ciò come riconoscimento del fatto che le pur sempre possibili degenerazioni nella condotta degli analisti finanziari non derivano normalmente dalla insufficiente professionalità di questi ultimi, bensì dai conflitti d'interesse degli intermediari presso cui operano e che, di conseguenza, gli analisti necessitano di un quadro normativo di garanzie contro tali conflitti che vada ben oltre il pannicello-caldo-foglia-di-fico della semplice e formale disclosure degli stessi. I grandi scandali finanziari che investirono la finanza americana durante la bolla di Internet si realizzarono con analisti finanziari 'puntualmente certificati' ed in un contesto in cui le disclosure si sprecavano, ergo il problema non risiedeva nella professionalità degli analisti, ne' nella mancata disclosure dei conflitti di interesse;
4) in sostanza, che sia una regolamentazione 'leggera', non eccessivamente burocratica e che determini un riconoscimento della figura dell'analista finanziario non tanto (o non solo) grazie all'esame che egli deve sostenere ma soprattutto grazie alla garanzia di indipendenza intellettuale (vedi nota 1) che la regolamentazione deve offrirgli.
Bene, ipotizziamo che la futura regolamentazione degli analisti finanziari accolga in maniera equilibrata queste osservazioni. Ciò non sarebbe, comunque, ancora sufficiente per definirla una 'buona' regolamentazione.
Infatti, il disegno di legge Lettieri proponeva di introdurre, nei fatti, una regolamentazione anche per i non-analisti, cioè per il 'resto del mondo ex analisi finanziaria'. Infatti, prevedeva di inibire a chiunque non avesse conseguito la certificazione di analista finanziario il diritto di esprimere opinioni e suggerimenti su titoli e mercati finanziari, colpendo con sanzioni pecuniarie e persino col carcere (sic!) chi avesse espresso consigli finanziari senza la certificazione di analista finanziario 'doc'. Unica eccezione a questa censura globale sarebbero stati i giornalisti, anche quelli non finanziari ma specializzati in gossip mondano, purché semplicemente iscritti all'Ordine dei Giornalisti e purché questo avesse elaborato un codice di autoregolamentazione.
Oggi possiamo sorridere sull'assurdità del carcere ipotizzato per un semplice 'reato di opinione finanziaria' ma se, per impulsività del Parlamento, quella regolamentazione fosse stata approvata definitivamente nella versione già votata alla Camera (vedi nota 2), avrebbe provocato alcune serie conseguenze. Da una parte, riservando ai soli analisti certificati il diritto esclusivo (in condominio coi soli giornalisti) di esprimere il 'verbo finanziario', ne avrebbe indubbiamente aumentato il potere contrattuale; dall'altra parte, poiché il maggior numero degli analisti finanziari sell-side opera in istituzioni bancarie, questa normativa avrebbe favorito un oligopolio informativo da parte delle banche. Ad esempio, gran parte dei siti finanziari della rete Internet si sarebbe trovata, per legge, fuorilegge.
È ben vero - come mi fu fatto argutamente notare - che l'Associazione non era ancora dotata di poteri legislativi propri e, quindi, non aveva responsabilità per quel disegno di legge approvato dalla Camera, ma è anche vero che il giudizio di 'epocale' dispensato senza altre obiezioni a quel provvedimento equivaleva a dargli il beneplacito davanti al Legislatore anche sugli aspetti più preoccupanti e controversi.
Invece, nessuna voce si è levata per proporre un articolo analogo a quello previsto nel Sarbanes-Oxley Act statunitense per proteggere gli analisti finanziari da pressioni indebite esercitate sui luoghi di lavoro.
Il mio dissenso su Antonio Fazio socio onorario dell'Aiaf
Avevo manifestato argomentate riserve sull'operato del Governatore Fazio ben prima che egli venisse coinvolto nello scandalo dei 'furbetti del quartierino'" (vedi nota 3).
La mia tesi è che, anche senza lo scandalo connesso alla tentata scalata AntonVeneta che ne ha causato le dimissioni, Fazio non meritava alcun riconoscimento, ma, semmai, una pubblica critica, in quanto si era rivelato il rappresentante più intransigente della difesa dell'italianità del sistema bancario contro la sua apertura alla concorrenza internazionale. Il cordone di sicurezza con cui aveva cintato la Banca di Roma, già ai tempi di Geronzi Amministratore Delegato, ne è ampia prova.
Inoltre, non sarebbe stata necessaria un'approfondita 'due diligence' per accertare che la Banca d'Italia, anche sotto Antonio Fazio, non aveva avviato alcun processo di auto-riforma ed era rimasta il regno di un'ampia discrezionalità decisionale che confliggeva con la certezza del diritto e che è stata la causa prima delle degenerazioni di cui ora sappiamo.
Anche nella regolamentazione dell'intermediazione finanziaria, Antonio Fazio si è mosso con negligente ritardo nella composizione del fisiologico conflitto tra società di gestione e risparmiatori. La regolamentazione più equa del calcolo delle commissioni di performance sui fondi comuni è stata introdotta dalla Banca d'Italia alle Sgr italiane solo a partire dal 2007, su indicazioni ormai ineludibili dello IOSCO, quando la stessa normativa era in vigore negli USA già dal 1973. In altri termini, anche in questo campo la Banca d'Italia sotto la gestione Fazio ha dormito (od a fatto finto di dormire), ma in ciò non essendo affatto politicamente neutrale, nei fatti procrastinando nel tempo l'anacronismo e l'iniquità di regolamenti finanziari su cui aveva piena competenza regolamentare, contro l'interesse dei risparmiatori.
Ne' mai Antonio Fazio sfruttò la sua posizione privilegiata per chiedere ai Governi italiani cambiamenti normativi per rendere la finanza italiana concorrenziale con quella internazionale, ad esempio suggerendo di abolire il cervellotico meccanismo di tassazione per competenza delle plusvalenze sui capital gain nel risparmio gestito a favore di un sistema di tassazione per cassa.
Pur egli celebrando ogni anno, con formale solennità ma anche sostanziale ambiguità, la giornata del risparmio.
È stato necessario il cambio della guardia in Banca d'Italia affinché il nuovo Governatore finalmente affrontasse il tema della governance anticapitalistica ed antimodernista delle banche popolari italiane, ricevendone in cambio un nutrito fuoco di sbarramento. Nel nuovo contesto non più locale nel quale si muovono le maggiori banche popolari italiane, la difesa del voto capitario si fonda su motivazioni fumose, assai poco razionali ed oggettive ma assai funzionali alla cristallizzazione dell'autoreferenzialità dei loro amministratori. Fenomeno dell'autoreferenzialità al cui fascino Fazio non era insensibile, potendo la Banca d'Italia comunque influenzare le direttrici strategiche delle banche vigilate con mitici 'aggrottar di sopracciglia'.
In breve, lo scandalo dei 'furbetti del quartierino'" e l'arroccamento per mesi del Governatore nel fortino di Palazzo Koch ha reso Fazio impresentabile anche ai critici più benevoli ma, anche assai prima dello scandalo, egli era l'esponente di maggior spicco e di aggregazione della conservazione nel nostro sistema finanziario contro gli stimoli della concorrenza. L'Aiaf si riconosceva negli indirizzi impressi da Fazio al sistema finanziario nazionale? Fazio meritava davvero - anche al netto dello scandalo - il riconoscimento tributatogli? Sono convinto di no ed il mio timore è che questo mio 'diverso' sentire su Fazio affondi le radici in un'altrettanto 'diversa' e non condivisa idea del sistema finanziario italiano. Tornerò su questo interrogativo al termine di questo scritto.
Purtroppo, proprio lo scandalo dei 'furbetti del quartierino'" ha consentito di minimizzare il significato politico dell'onorificenza attribuita a Fazio in quanto, in un certo senso, proprio lo scandalo ha consentito di giustificare l'errore ('Non potevamo immaginare'), mentre nessuno si è posto il problema del giudizio sulla gestione di Antonio Fazio alla Banca d'Italia, già al netto dello scandalo.
La mia valutazione è che l'indirizzo politico, deliberatamente impresso dalla Banca d'Italia al sistema finanziario italiano, negli anni abbia contribuito alla sua marginalizzazione a livello internazionale e che oggi - a fianco dei ben noti fenomeni di de-industrializzazione - il Paese sta paradossalmente assistendo anche a fenomeni di de-terziarizzazione finanziaria rispetto ad altre piazze finanziarie.
Il mio dissenso sul silenzio attorno al caso di Andrew Sentance
Sul caso di Andrew Sentance, l'analista finanziario del gruppo Banca Sella 'dimissionato' per le sue opinioni sulla Banca Popolare di Lodi, ho già scritto un commento corredato da un utile filmato di due giornalisti, disponibile a questo link.
Non ho mai chiesto per Andrew Sentance una solidarietà 'aprioristica' dell'Aiaf. Tuttavia, chi deve interessarsi - in linea di principio - al caso di un analista finanziario 'dimissionato' da una banca per le sue opinioni e delle più vaste implicazioni di questo precedente? L'ABI, la bocciofila di Porretta Terme o la prima associazione italiana di analisti finanziari? Ovviamente l'ultima delle tre, e questo sempre, ma specialmente quando alcune riserve espresse dall'analista finanziario hanno trovato successiva conferma nelle relazioni di quegli scomodi ispettori della vigilanza della Banca d'Italia che il Governatore Fazio - a sua volta - aveva tentato di emarginare, quando questi, sulla base di riscontri oggettivi, non avevano assecondato il suo disegno. In altri termini, il caso è particolarmente attuale anche perché - guarda caso - l'analista aveva intuito alcuni problemi dello stato patrimoniale della BPI e sembrano potersi delineare due vicende quasi parallele, quella dell'analista finanziario 'cocciuto' e quella degli ispettori 'insubordinati' della Banca d'Italia.
In Aiaf l'analista finanziario è descritto metaforicamente come un vaso di coccio tra i vasi di ferro dei datori di lavoro e delle società quotate che esamina. Ma questa immagine diventa malinconicamente retorica se, quando si verifica un caso esemplare come quello di Andrew Sentance, non esiste l'interesse associativo almeno ad approfondirlo nelle sue implicazioni, costringendo alla solitudine e ad un certo eroismo suicida chi tenta di affermare le migliori qualità (se non altro di 'carattere') dell'analisi finanziaria al servizio di un mercato finanziario trasparente.
Certo, ai tempi in cui la vicenda ebbe luogo, il Presidente della Banca Sella era contestualmente anche il Presidente dell'Associazione Bancaria Italiana ed affrontare la questione sarebbe potuto apparire uno sgarbo istituzionale anziché un atto del tutto 'normale' per un'associazione di analisti. A mio avviso era un rischio da correre nel nome, appunto, della 'normalità'.
Il profilo del mio Presidente ideale
Si può dissentire dal mio punto di vista su tutte e tre le questioni sopra descritte, ma si deve concordare che le mie ragioni di dissenso sono sostanziali e non di contorno.
Mi sono interrogato a più riprese se tali ragioni di dissenso derivassero da mie visioni politiche divergenti rispetto a quelle espresse dalla Associazione o se, al contrario, derivassero da semplici difficoltà 'diplomatiche' da parte della Associazione ad esternare una visione politica in realtà condivisa sull'evoluzione necessaria del nostro sistema finanziario. Non ho tratto conclusioni definitive ma, nel primo caso, il dissenso non sarebbe componibile. Nel secondo caso, il problema potrebbe essere risolvibile con un cambiamento organizzativo profondo che investisse gli organi di governo dell'Associazione.
Il mio Presidente ideale dell'Aiaf è un analista finanziario che ha avuto variegate esperienze professionali legate all'analisi finanziaria ma che oggi è (preferibilmente, anche se non necessariamente) in pensione, non riveste altre cariche e non ha altri incarichi professionali di rilievo. Questo profilo è più libero e meno condizionabile e non deve coltivare relazioni di buon vicinato ad un prezzo politicamente inaccettabile.
Come esempio estremo, possibile anche se non necessario, il modello cui ispirarsi potrebbe essere il modello di Assogestioni dove, non a caso, i presidenti ed i direttori generali non sono mai gestori professionali, ma sono addirittura scelti tra soggetti esterni. Infatti, quale gestore potrebbe permettersi di sollecitare pubblicamente il Governatore della Banca d'Italia, la Consob, il Governo, specifiche società quotate, ecc. come periodicamente fa il prof. Cammarano, e poi tornare a fare il gestore come un moderno Cincinnato finanziario?
In passato, alcuni soci Aiaf ammisero di condividere talune mie idee ma di non poterle appoggiare pubblicamente o perché condizionati sui luoghi di lavoro o perché (nel caso di titolari di società) poco desiderosi di esporsi di fronte alle Autorità di Controllo.
Questa è una preoccupazione palpabile e diffusa, se è vero che un professionista, che in precedenza aveva lavorato in un'Autorità di Controllo dei mercati finanziari, una volta mi chiese se non avessi 'timore' per le posizioni che assumevo pubblicamente. La domanda mi colpì e mi costrinse ad interrogarmi su in quale Paese io vivessi, se avessi dovuto addirittura nutrire timori per le mie documentate opinioni. Tuttavia, questo è lo scenario reale dei 'timori', reali o anche solo riverenziali, che investono il settore.
Ecco, allora, che un soggetto indipendente/non-più-in-carriera nominato Presidente dell'Aiaf sarebbe nello stesso interesse degli analisti finanziari che operano come lavoratori dipendenti, in quanto avrebbe piena forza per esprimere gli interessi non corporativi degli analisti finanziari, senza condizionamenti.
In ogni caso, i Presidenti dell'Aiaf che si avvicendano dovrebbero sempre rappresentare via,via, anime e categorie diverse e non essere espressione omogenea della stessa cultura aziendale.
Per evitare equivoci, non è il mio profilo in quanto non sono ancora in pensione. Tuttavia, le scelte organizzative e politiche che matureranno alla prossima Assemblea dell'Aiaf determineranno anche la mia scelta se rinnovare la mia adesione ad essa, oppure se, come Antonio Fazio (suppongo), non farne più parte, sia pure per ragioni diverse da quelle dell'ex Governatore, semplicemente non rinnovando la quota associativa.
Lascio volentieri ad altri la prudenza di una realpolitik che - per i miei gusti personali - si è rivelata eccessivamente timida nel rivendicare alcuni principi, senza i quali si ridimensionano il significato ed il valore della stessa tecnica finanziaria. Per tornare ad essere - in tal caso - semplice spettatore esterno.
____________________________________________________
nota 1: Può essere utile richiamare, come paragone, quanto prevede la normativa a tutela della autonomia intellettuale dei giornalisti. Il direttore di un giornale ha il potere di tagliare un articolo ma, in tal caso, il giornalista ha il diritto di non firmarlo, se non vi si riconosce dopo i tagli. Questa potrebbe essere una utile base di partenza per ipotizzare la tutela normativa dell'autonomia intellettuale degli analisti finanziari. Ricordo - quando ero analista attivo di società quotate - di essere io stesso ricorso, almeno in una circostanza, a questo espediente quando mi si suggeriva di esprimere raccomandazioni che non condividevo. Come lavoratore dipendente non potevo sottrarmi all'obbligo di scrivere un certo studio, se mi veniva espressamente chiesto, ma come analista finanziario mi sottrassi a questo obbligo, rifiutandomi di firmare lo studio. Questo sottile distinguo portò alla mancata pubblicazione dello studio, in quanto uno studio non firmato ovviamente sarebbe stato considerato sospetto. Tuttavia, non vorrei mai che i miei giovani colleghi analisti fossero costretti ad un simile 'espediente dialettico' coi loro datori di lavoro senza una precisa tutela normativa.
nota 2: Nella passata legislatura, la Camera dei Deputati aveva approvato con un voto bipartisan quasi plebiscitario il disegno di legge Lettieri. Tuttavia, fu sufficiente che io mi rivolgessi ai membri della Commissione Finanze e Tesoro del Senato per evidenziare i rischi della legge approvata alla Camera perché i Senatori fossero indotti a ripensamenti. Nonostante alcuni successivi emendamenti, la Commissione del Senato non riuscì a risolvere il vizio insanabile di fondo che, in realtà, avrebbe richiesto una ri-scrittura integrale del provvedimento e la legge non ottenne l'approvazione definitiva. Caso esemplare di come il bicameralismo rappresenti un'effettiva garanzia contro provvedimenti approvati in maniera affrettata da una Camera.
nota 3: 'I furbetti del quartierino' è un marchio depositato da Anni Falchi.
Paolo Sassetti
Analista finanziario indipendente, socio Aiaf
Leggi tutti gli Articoli