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Fondi etici? No, grazie! (per lo meno, non questi!)

In un’epoca di buonismo imperante il titolo di questo articolo può suonare stonato ma, come cercherò di spiegare, il mio (documentato) sospetto verso i fondi cosiddetti etici non intende essere assoluto ma solo subordinato a talune loro caratteristiche, peraltro molto frequenti.

di La redazione di Soldionline 5 ott 2005 ore 08:49
Giudico, invece, il tema più ampio della 'finanza etica' un argomento estremamente serio e meritevole di attenzione e di rispetto, sia laddove la 'finanza etica' tratta i rapporti tra il Nord ed il Sud del globo ed il tema del microcredito alle popolazioni del Terzo Mondo, sia laddove riguarda il tema della responsabilità sociale ed ambientale delle imprese.

    Ma, a fianco di una 'finanza etica' meritevole di rispetto, negli ultimi anni abbiamo assistito ad una mercificazione e banalizzazione del concetto, più o meno veritieramente incorporato in prodotti finanziari destinati ai risparmiatori. Nei casi dei prodotti finanziari eticamente più seri (che, pure, esistono) la contropartita minima dell'eticità dei fondi comuni pare essere la necessità di dover accettare rendimenti più bassi dei fondi non etici. E questo avviene mentre un coretto mediatico ben orchestrato inneggia alle splendide prospettive della finanza etica dove gli interessi di diversi soggetti si comporrebbero in maniera armoniosa ed idilliaca nel nome dell'eticità delle scelte d'investimento.

    Ma andiamo con ordine. Iniziamo col definire cosa siano i fondi etici.

    I fondi etici sono fondi comuni che non investono in società che abbiano conseguito un rating etico insufficiente o che, sia pur un senza rating etico formalmente negato, siano state negativamente giudicate sotto il profilo etico dai gestori dei fondi o da 'comitati etici' appositamente costituiti. Nel 2004, i fondi italiani che si dichiaravano etici erano una trentina per un importo gestito complessivo di 1,3 mld di euro, quelli europei armonizzati erano alcune decine. Tuttavia, la definizione di eticità dei fondi etici è una pura 'auto-definizione' delle società di gestione. In altri termini non esiste (ne' potrebbe esistere) un organismo che definisce etici o non etici i fondi comuni in base a criteri assoluti.

    Esiste un'ovvia impossibilità a definire criteri univoci di eticità per le società quotate e non. Anche solo attenendoci al basilare criterio di inclusione/esclusione settoriale, mentre ormai esiste convergenza sulla necessità di escludere le società che operano nei settori del tabacco, alcol, gioco d'azzardo, pornografia ed armamenti, esiste assai meno unanimità sull'esclusione di settori quali l'energia atomica, gli o.g.m., la contraccezione, la farmaceutica e la cosmetica laddove prevedono la sperimentazione sugli animali, ecc..


    L'etica è relativa ...

    Se l'etica è relativa, allora possono verificarsi situazioni curiose come quella che riguarda l'unico Etf etico quotato in Italia.

    Questo Etf è una Sicav di diritto irlandese gestita dalla Sgr di un'importante banca italiana ed investe staticamente in un paniere di 150 società europee dell'area Euro classificate come etiche. Tale paniere di società etiche include la stessa banca cui la Sgr appartiene. La classificazione di eticità delle società del paniere non è stabilita dalla Sgr che gestisce l'Etf ma, più correttamente, è fornita da una società di consulenza esterna cui è appaltato il rating etico.

    Ma qui sorge la prima implicazione di natura definitoria: per questa società di rating etico, consulente della Sgr, la banca in questione è essa stessa 'etica' e, quindi, può rientrare nello stesso Etf gestito; per un'altra società italiana di rating etico la stessa banca si posiziona, invece, in fondo alla classifica di eticità e, pertanto, non potrebbe rientrare in un Etf etico.

    Chi ha ragione tra queste due società di rating etico? Entrambe sono società serie e, probabilmente, in relazione ai diversi punti di vista assunti, hanno ragione entrambe. Ma questa equivalenza complica il problema: conferma che la classificazione delle società tra etiche e non etiche è assolutamente relativa e questa relatività, in generale, può prestare il fianco a possibili allentamenti nel rigore dell'analisi o, nei casi peggiori, può prestarsi allo sviluppo di prodotti etici con prevalenti motivazioni di marketing. Questa situazione, pertanto, costringe il sottoscrittore coscienzioso di un fondo etico a non fermarsi alla sua (auto)definizione di eticità ma a scandagliarne i concreti principi che ne ispirano le politiche d'investimento. Normalmente questi principi e le metodologie operative di selezione non sono dettagliati nei Prospetti Informativi dei fondi etici e, quando lo sono, lo sono in maniera assai sbrigativa e generica. Solo una parte dei fondi etici, ad esempio, considera fattori qualificanti delle decisioni d'investimento il non sfruttamento del lavoro minorile, il boicottaggio di regimi politici oppressivi e l'osservanza delle convenzioni ONU sui diritti umani o di quelle dell'Ufficio Internazionale del Lavoro. Altri fondi etici sono indifferenti a queste ultime problematiche e, pertanto, hanno un universo di titoli investibili più ampio.

    Ma, a parte queste considerazioni sui principi, ve lo immaginate un gestore che esclude dal proprio fondo/Etf etico il proprio 'datore di lavoro' perché non lo giudica abbastanza etico? Pensate che resterebbe al suo posto a lungo? Resta il fatto che l'Etf in questione presenta una commissione di gestione annua dello 0,90% che certamente è da considerarsi poco ... 'etica' per un Etf.


    ... e le performance sono discutibili ...

    Se analizzate singolarmente i fondi etici disponibili sul mercato italiano, potete constatare voi stessi che, mediamente, o le loro performance sono piuttosto deludenti a confronto dei benchmark e dei fondi non etici appartenenti alle medesime categorie di gestione o le loro strategie sono ispirate a politiche di sostanziale indicizzazione di portafoglio.

    Il grafico 1, ad esempio, rappresenta quello che ho scherzosamente definito il primo fondo etico italiano che 'fà beneficenza ad una banca'. È un fondo etico internazionale che, con tutta evidenza, non riesce a stare dietro ne' all'Indice Morgan Stanley World Free ne' al peer group dei fondi azionari internazionali e, ciononostante, si posiziona nella fascia alta di mercato delle commissioni di gestione che, anzi, sono state elevate nel 2004 da 1,6% a 2% annuo (perché, ovviamente, l'etica si paga!). Considerati i risultati conseguiti, la commissione di gestione può considerarsi non la contropartita per un servizio reso ma quasi una forma di beneficenza fatta al gestore.


    Grafico 1


    Un altro caso (grafico 2) è quello di uno dei più seri fondi bilanciati etici italiani, il cui tributo pagato per investire eticamente è di sottoperformare un benchmark tradizionale (linea nera) ed un indice di categoria dei fondi bilanciati (linea ocra), anche a causa di una commissione di gestione fuori mercato rispetto a fondi bilanciati tradizionali (1,8% annuo).

    Il vincolo di questo fondo etico è che, fino a pochi mesi fa, aveva un universo di soli 220 titoli azionari tra cui poter scegliere perché solo questo era l'universo di società definite come 'etiche d.o.c.' dal Comitato Etico del fondo. È evidente che un universo investibile così limitato rappresenta un vincolo assai condizionante per conseguire performance in linea con la media di mercato. Così avviene necessariamente che una selezione etica (presumibilmente) assai stringente e rigorosa abbia, però, un costo economico da contabilizzare in termini di performance gap.

    Grafico 2

    Esistono, poi, casi di fondi etici che si rivelano in realtà fondi indicizzati.

    Un esempio emblematico, quello di un fondo etico (in rosso), gestito da una banca svizzera, orientato a società etiche del mercato britannico, confrontato con l'indice FT100 (in nero, grafico 3).


    Grafico 3


    I primi titoli di questo fondo sono tipiche blue chip del mercato britannico: Vodafone, HSBC, GlaxoSmithKline, Royal Bank of Scotland, ecc.. Nessuna delle società in portafoglio a questo fondo produce armamenti o sigarette ma il criterio di selezione non pare sortire grandi effetti rispetto ad una scelta di pura e banale indicizzazione di portafoglio: evidentemente le società destinate ad essere scartate sono poche e/o hanno un impatto modesto sull'indice FT100.

    Non mi dilungo su questo fenomeno piuttosto diffuso tra i fondi etici se non per un aspetto che merita una doverosa menzione anche in questa sintetica sede.


    Un dubbio amletico

    Gli indici finanziari etici non paiono discostarsi eccessivamente dagli indici finanziari tradizionali. Il grafico 4, ad esempio, riporta il confronto tra l'indice FTSE4Good (Footzie per i 'buoni') che raggruppa 650 società del mondo classificate come etiche (in blu scuro) ed il corrispondente indice azionario mondiale, sempre calcolato dal Financial Times, comprensivo di tutte le società, etiche e non (in azzurro chiaro). Come può osservarsi, tra i due indici non emergono differenze significative. Questo fenomeno si verifica normalmente, qualunque sia l'agenzia di rating che calcola gli indici etici.

    A questo punto, qualunque analista intellettualmente onesto si porrebbe un necessario ma amletico interrogativo: questo fenomeno di quasi perfetta sovrapposizione tra indici (etici e non) ha luogo perché (a) l'etica non paga, cioè le società etiche non sovraperformano quelle 'fetenti', nonostante una diffusa leggenda metropolitana contraria, perché (b) i criteri di definizione delle società etiche sono troppo blandi e generici e determinano quella che ho definito 'caratterizzazione etica blanda' dei fondi etici, o (c) per un mix di queste due ragioni?


    Grafico 4


    La risposta non è semplice. Uno studio condotto recentemente sui fondi comuni etici australiani sembrerebbe accreditare l'ipotesi (a) e ad analoga conclusione sembrerebbero portare le sfolgoranti performance del Vice Fund statunitense, il fondo dei 'vizi' che investe in tutto ciò che, invece, è espressamente scartato dai fondi etici (tabacco, armamenti, alcol, gioco d'azzardo, ecc.).

    Ma, a parte sporadiche analisi e fenomeni di 'colore' come il Vice Fund, non esiste ancora sufficiente evidenza statistica per trarre conclusioni definitive. Personalmente credo che la risposta ibrida (c) sia quella più probabile.

    Quello che, invece, appare evidente in Italia è che l'eticità dichiarata dai fondi troppo spesso pare essere una scusa per non confrontarsi con gli standard di costo dell'industria italiana del risparmio gestito (che non sono già di per loro stessi competitivi con gli standard europei) e con i benchmark finanziari tradizionali. Infatti, i fondi etici presentano normalmente costi di gestione più elevati dei corrispondenti fondi non etici. In teoria questo avrebbe una giustificazione in un supplemento di analisi ma la 'caratterizzazione etica blanda' di molti fondi lascia perplessi sulla ragionevolezza di questo costo aggiuntivo.

    Infine, difficilmente i fondi etici potranno affermarsi su larga scala se le loro performance saranno mediamente inferiori a quelle dei fondi tradizionali. Un fondo etico deve poter confrontarsi, quanto a performance, con un fondo tradizionale e non essere considerato un handicappato verso il quale debbano necessariamente nutrirsi minori aspettative di rendimento.

    La base di partenza di questa esperienza d'investimento etico oggi non appare particolarmente incoraggiante e, senza una ri-taratura delle loro politiche d'investimento, i fondi etici sono persino destinati a peggiorare le loro performance relative al crescere della loro diffusione. Infatti, il materiale investibile realmente 'etico' sul mercati finanziari non è abbondantissimo ed è noto che, se un numero crescente di operatori fà le stesse cose, le loro performance possono solo degradare.
Pertanto, il consiglio che, per il momento, do ai miei clienti è quello d'investire in fondi tradizionali e, nel caso, di sovvenzionare separatamente iniziative di particolare valore etico, specie quando sono fiscalmente deducibili, in modo da perseguire contestualmente un rendimento finanziario più elevato ed un vantaggio fiscale.


    Paolo Sassetti


    Judo finanziario è in vendita sul sito www.educopolis.com. Prossimamente in vendita anche presso la libreria Migliorino di Roma.





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