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Croce e delizia della consulenza indipendente

Negli ultimi mesi il tema della consulenza finanziaria indipendente è tornato d’attualità per alcune vicende legislative su cui è stato scritto molto e su cui non mi soffermerò, se non compiacendomi per il loro momentaneo esito positivo.

di La redazione di Soldionline 11 dic 2006 ore 08:41
La mia impressione, tuttavia, è che in questo dibattito si siano un po' gonfiati i numeri dei consulenti finanziari indipendenti che operano sul mercato nazionale. Non credo che questi possano contarsi in migliaia ma solo (nella più benevola delle ipotesi) in alcune centinaia, specie se la definizione di consulente indipendente è riferita a soggetti che si occupano esclusivamente di pianificazione finanziaria e di selezione di prodotti e che sono remunerati a parcella..

L'attività di consulente indipendente, infatti, non è semplice, specie agli inizi della professione. Per essere effettivamente remunerativa, deve tentare di focalizzarsi solo su clienti con patrimoni relativamente elevati (sicuramente sopra i 500 mila euro, preferibilmente sopra il milione di euro). Ciò non perché il costo della consulenza debba commisurarsi alla dimensione del patrimonio (bensì alla sua complessità) ma perché, poiché la consulenza è comunque un'attività molto labour intensive e poco standardizzabile, patrimoni relativamente ampi consentono più agevolmente di assorbire i costi fissi della stessa. Soprattutto, la consulenza finanziaria indipendente si scontra contro l'idea radicata che essa abbia modesto valore e/o possa comunque ottenersi senza oneri.

Mi capita talvolta di ricevere dieci o più quesiti da uno stesso soggetto che non ha neppure avuto il buon gusto di presentarsi e che non si è interrogato evidentemente sul tempo necessario per rispondervi. Altri approcci possono essere più suadenti.

Una delle caratteristiche fondamentali per la sopravvivenza di un consulente indipendente è di saper identificare in tempo e dribblare questi profili. Ad esempio, ho osservato, sul piano statistico, che chi naviga in Internet ha - a torto od a ragione - più spesso la convinzione di essere sostanzialmente autonomo nelle sue scelte d'investimento, per cui più raramente un navigatore di Internet diventa cliente per un consulente indipendente. La rete Internet diventa per questo lo strumento per passare da un consiglio ad un altro, senza mai veramente affidarsi ad un consulente. I profili socio-professionali 'commercialmente' migliori sono diversi da quello del navigatore di Internet, tipicamente sopra i 50 anni, molto occupati professionalmente e preferibilmente non ancora in pensione.

Un modo pragmatico per dribblare il 90% dei 'portoghesi' è rispondere semplicemente con l'invio di un contratto di consulenza che svolge un effetto chiarificatore e, al tempo stesso, dissuasore. Il 90% dei soggetti apparentemente desiderosi di consulenza si dilegua immediatamente alla presentazione del contratto.

Un consulente indipendente non è infallibile ma, diversamente da un promotore, non è condizionato dalla redditività dei prodotti che può/deve collocare. Sia chiaro, conosco personalmente molti promotori, specie multibrand, che lavorano coscienziosamente - tentando di offrire un contenuto di consulenza al loro servizio di vendita - e dei quali ho la massima stima professionale. Ma so anche che sono una minoranza, se non altro perché in pochi riescono a sottrarsi alle politiche commerciali 'tritaclienti' della maggior parte delle istituzioni finanziarie.

Un caso che mi è capitato recentemente può chiarire il concetto.

Centro Italia. Soggetto definibile 'affluent' (capitale mobiliare tra uno e due milioni di euro). La sua banca gli propone di sottoscrivere un fondo di fondi di private equity gestito da un soggetto terzo:

      Vorrei, se possibile, un chiarimento su quanto da me letto nelle sue opere: nel libro Investire controcorrente si parla anche di 'Private Equity' e mi sembra di capire che Lei è favorevole ad un impiego di parte del capitale su tale strumento, non ho trovato, od ancora non ho trovato, invece nessun articolo sul CD Judo Finanziario.
      Ora, io mi trovo con una offerta della mia attuale banca per un investimento di minimo euro 250.000 su Private Equity e non trovo riferimenti per capire se quanto propostomi è veramente valido, o se invece è un offerta buttata lì perché si sono accorti di dovermi in qualche modo tenere buono, perché sto disinvestendo tutto dai loro fondi ....
      Loro dicono che stanno partendo ora, al più presto, con un fondo di fondi Private Equity, gestito da (... omissis ...) e che i fondi del comparto sono tutti scelti fra i migliori e quasi tutti 'buy out'.
      Il disinvestimento è previsto a 9 anni, però, dopo 4 anni qualcosa si può ritirare, che nel passato la media dei fondi interessati, nell'arco di 10 anni, ha reso annualmente circa il 37%.
      Ho chiesto che mi siano inviati i prospetti informativi, ma non conosco assolutamente i fondi sopra indicati e non li ho visti su Judo Finanziario, questo m'impedisce una scelta più oculata. Può dirmi se, secondo Lei e senza nessuna Sua responsabilità, è un offerta valida oppure no?
      Le commissioni sono del 1% ingresso, del 1,3% ( mi sembra) annuali.
Questo caso consente di apprezzare una delle differenze sostanziali che spesso distingue i promotori dai consulenti (con eccezione per promotori coscienziosi, s'intende), ovverosia che i secondi non magnificano mai le performance passate per suggerire un prodotto, se non altro perché non hanno alcun interesse personale nel suggerire prodotto piuttosto che un altro: la loro parcella non dipende da questo.

Quel 37% di rendimento annuo buttato là era chiaramente un amo per attrarre il cliente e vincolarlo ad un investimento per un lungo periodo, essendo tale tipologia d'investimento sostanzialmente illiquida.

Inoltre, evidentemente il lettore aveva letto distrattamente il mio Investire controcorrente in quanto, a pag. 19 dello stesso (che fu pubblicato nel 2002), tratto espressamente e diffusamente proprio il tema della irripetibilità delle performance passate dei fondi di private equity. Per non dire, poi, della modalità (cash to cash) con cui questi fondi calcolano i rendimenti, il che non autorizza affatto a ipotizzare di poter capitalizzare la somma impegnata (nella fattispecie 250 mila euro) per il rendimento atteso, così come era stato fatto implicitamente intendere all'investitore. Il rendimento cash to cash dei fondi di private equity viene calcolato su capitali progressivamente richiamati nel tempo a valere su quelli impegnati: in altri termini, man mano che i fondi debbono finanziare gli investimenti, richiamano i capitali impegnati che, nell'attesa, debbono logicamente restare investiti in attività a breve termine. Questo parcheggio ovviamente abbatte il rendimento effettivo dei capitali investiti, prescindendo o meno dal realismo dei rendimenti prefigurati.

Più in generale, ritengo che gli investimenti di private equity, siano consigliabili solo a soggetti istituzionali o a privati classificabili nei cosiddetti high net worth individuals, cioè con capitali ben superiori a quelli del risparmiatore in questione e questa è la vera ragione per cui non tratto questo tema in Judo Finanziario: non lo ritengo di interesse generale.

Per concludere con questo caso: negli ultimi 15 anni l'aggressività commerciale delle reti di vendita di prodotti finanziari si è grandemente accresciuta e il più chiaro orientamento al profitto delle banche ha amplificato a dismisura i conflitti di interesse. I risparmiatori non percepiscono chiaramente il costo gravante sui servizi finanziari del risparmio gestito perché non lo pagano direttamente ma viene prelevato direttamente dai loro investimenti, mentre debbono pagare direttamente i consulenti indipendenti.

Tuttavia, non passa settimana che io non abbia notizia di qualche piccolo o grande pasticcio fatto sui capitali dei risparmiatori a causa del 'peccato originale' del conflitto d'interesse. Il costo di questi pasticci è spesso elevato.

La parcella dei consulenti indipendenti è, bene o male, una forma di assicurazione contro questi pasticci. Molto meno costosa di un tipico inconveniente che capita immancabilmente a chi predilige il fai da te.





Paolo Sassetti
Analista finanziario indipendente, socio Aiaf




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