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Come combattere l’evasione fiscale

Il tema dellla lotta all'evasione fiscale torna di moda, come sempre in relazione a buchi di bilancio da riempire, e non come affermazione di un principio di equità e uguaglianza tra cittadini. Paolo Sassetti, in questo articolo, si dedica in particolare al meccanismo perverso della "stabile organizzazione estera". Molto interessanti e sempre di attualità anche i suoi articoli scritti vari anni fa, che vi riproponiamo.

di La redazione di Soldionline 5 ott 2005 ore 08:45
Sette anni fa pubblicai tre articoli sul tema di come combattere e battere la grande evasione fiscale (nota 1, vedi in coda all'articolo). Lanciai la prima pietra di quella che allora ad alcuni parve solo una provocazione intesa ad infliggere una ferita nella convivenza civile del Paese. Infatti, sostenni la tesi che, solo offrendo ricompense a chi scoperchiava e documentava situazioni di evasione fiscale, il fenomeno sarebbe stato contenuto.

Il primo articolo, in particolare, suscitò diffuse proteste ed un vespaio di polemiche ma fu equivocato. Non avevo mai pensato di alimentare una caccia alle streghe fine a se stessa. Avevo ipotizzato una sanatoria di tutti i reati fiscali ad una data definita dal Legislatore, data dalla quale chiunque, anche senza aderire all'ennesimo condono, si sarebbe fatto per legge una nuova 'verginità fiscale'. Ma, da quella data, qualsiasi reato fiscale successivamente consumato avrebbe potuto essere denunciato e documentato da qualsiasi privato cittadino e remunerato con una percentuale dell'evasione recuperata.

Ovviamente l'idea di fondo non era quella di scatenare una corsa alla 'delazione', bensì era che, a quel punto, il deterrente per i grandi evasori sarebbe diventato così elevato che l'evasione si sarebbe spontaneamente prosciugata perché il rischio di essere individuati quali evasori sarebbe cresciuto in maniera esponenziale. Infatti, l'evasione prospera perché conta semplicemente sull'impossibilità di procedere a controlli sistematici sui contribuenti.

Cito questi miei vecchi articoli perché il tema della lotta all'evasione fiscale sembra essere tornato di attualità nell'agenda del Ministro dell'Economia e del Governo. Sembra anche di capire dalle fonti di stampa che le amministrazioni locali potrebbero essere coinvolte ed incentivate nello stesso modo che io suggerivo - a fine di deterrente - di fare con i privati.

Vorrei cogliere l'occasione del rinnovato interesse per questo tema ed affrontarlo, come di consueto, in maniera costruttiva.

Innanzitutto, il recupero di gettito che l'amministrazione finanziaria riesce e realizzare deve servire solo per ridurre la pressione fiscale in base al principio egualitario 'pagare tutti per pagare meno' e non per offrire la copertura finanziaria ad ulteriori spese.


Il nemico è dentro di noi

In secondo luogo, il legislatore deve finalmente fare una scelta di campo chiara ed inequivoca per contenere il fenomeno dell'elusione fiscale indotta da meccanismi di ingegneria fiscale ammessi dallo Stato con una dose non indifferente di ipocrisia.

Voglio parlare, a titolo di esempio, di uno di questi meccanismi: la stabile organizzazione estera.

La stabile organizzazione estera è una società di comodo, spesso situata appena oltre il confine italo-svizzero, che ufficialmente cura gli investimenti di una società o di un fondo situati in un paradiso fiscale.

Per quanto alla stabile organizzazione estera tipicamente corrisponda una piccola (o persino minuscola) organizzazione umana 'stabile' (cioè residente) che ufficialmente prende le decisioni di investimento per la società situata nel paradiso fiscale, di fatto questa organizzazione umana è normalmente composta da classiche 'teste di legno', mentre la mente decisionale che muove i burattini resta in Italia. E corrisponde anche alla proprietà degli interessi patrimoniali concentrati nel paradiso fiscale. Lo scopo primario della stabile organizzazione estera spesso è solo quello di produrre documentazione cartacea per dimostrare che sia attiva, operativa e persino pensante.

I paradisi fiscali utilizzati dagli Europei, poi, non si trovano necessariamente nei mari caraibici ma spesso sono assai più vicini di quanto normalmente non si pensi. Il Lussemburgo, ad esempio, è un paradiso fiscale straordinario per la tassazione dei guadagni in conto capitale. Ma il Lussemburgo è un paese europeo con regole fiscali agevolate ma certe, da cui la sua esclusione dalla 'black list', la lista dei paesi a fiscalità privilegiata.

Quando lavorava ancora a L'Espresso, Massimo Mucchetti scrisse un paio di articoli sul caso della Bell, la finanziaria lussemburghese detenuta essenzialmente da un gruppo di investitori bresciani, raccolti attorno a Chicco Gnutti, che controllava l'investimento in Olivetti e, indirettamente, in Telecom Italia. Il calcolo che Massimo Mucchetti fece del risparmio fiscale offerto ai 'bresciani' da quella soluzione di ingegneria fiscale fu impressionante. Il calcolo fu elaborato ipotizzando che la Bell fosse stata considerata una pura e semplice società di schermo dei veri interessi italiani che essa rappresentava. L'elusione di imposte connessa sarebbe ammontata a circa 700 milioni di euro quando, nell'estate del 2001, la Bell vendette il 23,3% di Olivetti alla società Olimpia costituita da Pirelli e Benetton.

Ciò che viene normalmente dimenticato è che il concetto stesso di 'stabile organizzazione estera' che, in una delle sue possibili varianti, sta alla base di queste strutturazioni fiscali, fu una brillante ideazione di Giulio Tremonti, quando egli era ancora un consulente tributario, ben prima che egli si dedicasse alla politica militante. Quello schema fu da lui ideato poi copiato da altri studi tributari italiani ma Giulio Tremonti lo tenne a battesimo. Non fu certo lui di persona l'autore dello 'schema Bell' ma lo stesso studio tributario che egli aveva in precedenza abbandonato per dedicarsi alla politica e fare il Ministro dell'Economia (che, per competenze, raggruppa anche il Ministero delle Finanze).

Per averci 'sbirciato' dentro, posso affermare che il concetto di 'stabile organizzazione estera' si prestava e si presta ancor oggi ad abusi e che gli abusi, forse, sono addirittura la prassi dominante di quell'architettura giuridico-fiscale. Ad esempio, se si fa eccezione per la gestione patrimoniale e di portafoglio, Lugano non può considerarsi una piazza assolutamente adatta ad altre attività di investimento finanziario (come il private equity), né di advisory commerciale. Si sceglie spesso quella piazza, più scomoda logisticamente, più costosa e operativamente meno idonea, solo perché ben si presta a creare una stabile organizzazione estera fasulla e, tramite questa, si può simulare di gestire dalla Svizzera un business 'estero su estero'. Sia chiaro, la gestione può anche effettuarsi materialmente in Svizzera ma è 'pensata' in Italia e la mente conta assai più del braccio. Non esiste ragione che non sia fiscale per tenere il braccio lontano dalla mente.

Quando Tremonti divenne Ministro dell'Economia sapeva perfettamente tutto questo e, in teoria, nessun tecnico sarebbe stato nelle condizioni migliori delle sue per smontare quel meccanismo diabolico. Ma come si può chiedere ad un ex fiscalista di deludere i suoi clienti, rinnegando quello per cui sono state pagate profumate parcelle? La costruzione della stabile organizzazione estera non ha minimamente vacillato.

Insomma, se facciamo finta di non vedere le realtà giuridiche che vengono impiantate su finzioni operative, il tema della lotta all'evasione è destinato a restare uno slogan propagandistico. Il ministro Siniscalco è politicamente in grado di smontare la creatura tecnico-giuridica del suo predecessore? Se non lo è, mettiamoci il cuore in pace.

Al tempo stesso credo che l'Amministrazione dello Stato debba dare risposte chiare ed univoche ai cittadini.che chiedono interpretazioni certe delle norme. Qualche mese or sono ho interpellato l'Agenzia delle Entrate per sottoporle una costruzione giuridico-fiscale, lo ammetto, un po' barocca ma che avrebbe consentito - se legale - di abbattere l'Irpef di un dirigente in maniera sostanziale, attraverso il trasferimento del suo reddito direttamente ad una Sas di famiglia con la motivazione che la Sas gli presta consulenze per un controvalore pari al totale del suo reddito. L'Agenzia delle Entrate presta istituzionalmente un servizio di consulenza per quesiti fiscali e, in teoria, dovrebbe esprimersi in maniera binaria: '1,0, si, no, è fattibile, non è fattibile'. La risposta non è stata affatto binaria. Ho ragionevolmente concluso dal contesto che non sia fattibile; tuttavia, se, invece, avessi sbagliato e fosse fattibile vorrebbe dire che perdo un'occasione di abbattimento fiscale disponibile ad altri soggetti che hanno maggiori certezze in proposito.

Come ho ricordato, il tema della lotta all'evasione ed all'elusione ricorre periodicamente in tutti i periodi di crisi del gettito fiscale.

È richiesta una condizione culturale necessaria per combatterle realmente: eliminare l'ipocrisia che circonda questo tema, eliminare le finzioni propagandistiche che inducono i sindacati ad avanzare delle proposte (sapendo che non saranno mai accolte) per salvare le apparenze coi loro iscritti e che inducono le autorità a fingere di darvi ascolto per salvare le apparenze verso i cittadini.

Se non si ritiene possibile ne' desiderabile 'rastrellare' il Paese, contribuente per contribuente, solo una diversa politica della deterrenza fiscale potrà produrre risultati concreti nella lotta all'evasione.

Paolo Sassetti



(nota 1)
Si tratta di questi articoli di Paolo Sassetti, che potete leggere cliccando su ciascuno:
'Come stanare facilmente i grandi evasori', Marzo 1998;
'Perché la lotta all'evasione è ancora un tabù', Settembre 1998,
'Riappropriarsi della sovranità fiscale', Ottobre 1998




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