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Pubblico impiego, passo in avanti per la riforma del Tfr

Nuovo passo in avanti per l’estensione ai lavoratori del pubblico impiego delle norme su Tfr e previdenza integrativa già adottate per il settore privato. Sindacati e Aran hanno siglato una prima intesa per istituire un fondo di categoria per i lavoratori di enti locali e sanità. Sale così a due terzi la percentuali di lavoratori pubblici coperti dalla previdenza integrativa. Tutti paiono contenti, anche se qualche motivo di perplessità rimane.

di La redazione di Soldionline 7 mar 2007 ore 10:07
Importante passo in avanti per estendere la riforma previdenziale e le nuove norme sul Tfr anche al settore pubblico: secondo quanto hanno annunciato ieri i sindacati di categoria, è stato siglato il 6 marzo 2007 un accordo con l'Aran (l'Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni) che consentirà di istitutire un fondo di previdenza integrativa per i dipendenti di enti locali e sanità. Positivi i primi commenti a caldo dei rappresentanti dei lavoratori, che sottolineano come l'intesa consenta l'integrazione del trattamento pensionistico dei lavoratori pubblici, in particolare di quelli più giovani, con risorse aggiuntive a carico dei datori di lavoro.

Un accordo che chiude, almeno in parte, una trattativa avviata fin dal dicembre 2004.

In questo modo anche i dipendenti degli enti locali e della sanità potranno liberamente aderire al fondo e godere, come già previsto per i colleghi del settore privato, della possibilità di usufruire delle anticipazioni del Tfr nei casi previsti dall'accordo. L'intesa andrà ora perfezionata entro i prossimi 40 giorni, ma con essa non si chiude del tutto il discorso dell'estensione della previdenza integrativa al pubblico impiego, dato che, oltre ai lavoratori in oggetto, solo i dipendenti della scuola pubblica, per i quali già esiste da anni la possibilità di aderire al proprio fondo di categoria (Espero), godono finora degli stessi diritti dei lavoratori privati in materia di previdenza integrativa.

Ancora da definire, invece, gli accordi per i dipendenti di ministeri, del parastato e di enti pubblici non economico come la Presidenza del Consiglio e le agenzie fiscali. Ad ogni modo con questo nuovo passo in avanti, che riguarda circa 1,3 milioni di lavoratori, secondo una stima del ministro della Funzione Pubblica, Luigi Nicolais, e che giunge a pochi mesi dall'avvio della riforma relativa alla destinazione del Tfr dei dipendenti privati, sale a circa i due terzi la percentuali di dipendenti del settore pubblico 'coperta' dalla previdenza integrativa. Mentre i sindacati sollecitano ora la definizione dei fondi anche per gli ultimi comparti ancora sprovvisti di essi.

Per la gestione del nuovo fondo sono state previste risorse specifiche a carico del bilancio dello Stato per a 2,75 euro per ogni dipendente, così da far fronte alle spese di avvio, cui potranno aggiungersi, in sede di contrattazione, ulteriori risorse. Prima che il nuovo fondo diventi operativo dovranno ora passare almeno quattro mesi. Come già per il settore privato, l'adesione sarà su base volontaria, la contribuzione sarà variabile e le pensioni verranno liquidate al compimento dell'età pensionabile, posto che il lavoratore abbia accumulato almeno cinque anni di contributi.

In particolare il lavoratore pubblico che deciderà di aderire al nuovo fondo dovrà versare l'1% del proprio stipendio lordo, mentre un altro 1% sarà a carico del datore di lavoro. Il resto proverrà dal Tfr. Tutto bene quel che finisce bene? Non completamente: per quanto soddisfatti per questa prima impresa i sindacati paiono infatti intenzionati a sfruttare per quanto possibile gli ulteriori margini di trattativa per definire meglio alcuni punti rimasti in sospeso, come la base calcolo.

Il ministero dell'Economia e delle Finanze ha fatto sapere, sostengono i sindacati, di voler calcolare il Tfr non sulla base imponibile, ma solo sul salario fisso, omettendo le componenti variabili, legate alla produttività. Componenti, fanno notare i sindacati (contrari a tale ipotesi), che possono arrivare a pesare fino a un 30% dello stipendio percepito, specie in quei settori non ancora coperti dalla riforma, peraltro in base a criteri tra loro molto differenti (si va dai ai risultati della lotta all'evasione per gli impiegati delle agenzie fiscali, al numero di pratiche smaltite per alcuni ministeri).

C'è quindi da scommettere che nelle prossime settimane non mancheranno dichiarazioni e prese di posizioni da entrambe le parti. La macchina sembra tuttavia essersi rimessa in moto e, scongiurata per ora una crisi di governo, non è escluso che nelle prossime settimane per il settore pubblico possono giungere ulteriori novità sia sul fronte previdenziale sia su quello, complementare ad esso, della riforma della Pubblica Amministrazione. Poi resterà da risolvere una volta per tutte l'annoso problema dei precari del settore pubblico e trovare i giusti incentivi per dare maggiore sicurezza ai rapporti di lavoro nel settore privato, premesse per poter accumulare negli anni contributi sufficienti a godere in futuro di una pensione dignitosa. Ma questo, come si usa dire, è un altro discorso.


Analista finanziario, Amministratore di 6 In Rete Consulting
Chi è Luca Spoldi

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