Qualcosa sale verso il Cielo: Piazza di Spagna
... oggi le Opzioni e gli Swaps possono aspettare. Vogliamo onorare la scomparsa di Michele Maggi con una riflessione che sale verso il Cielo di Piazza di Spagna ... e diciamo grazie all’amico Ario che è arrivato giusto in tempo con un contributo speciale ... e, ancora di più, grazie a te, Michele ...
di La redazione di Soldionline 31 mar 2006 ore 09:02
Mi concessi qualche istante prima di voltarmi, cercando di indovinare di chi fosse quella voce che aveva interrotto i miei pensieri, ma riuscii solo ad indovinare che era di donna.
Non era bella, sfiorita anzitempo, con una massa di capelli grigi che dimostravano una vita affannosa, era vestita in modo dimesso, con l'unica scelta civettuola di un foulard che riprendeva il colore della borsetta. Ma gli occhi erano belli. Di un azzurro indeciso, si sforzavano di essere sfrontati, ma in loro si vedeva una timidezza infantile che gli anni non avevano occultato. E proprio come i bambini che hanno nello sguardo quella incredibile capacità di modificarsi all'improvviso, così anche i suoi, gioiosi all'inizio, divennero di colpo dolenti, come per un'ingiustizia subita.
- ' Mi scusi, ho sbagliato persona'.-
E se ne andò svelta, verso la Scalinata di Trinità dei Monti.
Io rimasi a guardarla mentre saliva i gradini, sentendomi un po' in colpa per quella delusione che, inconsapevolmente, le avevo procurato, chiedendomi chi fosse la persona che credeva di avere incontrato. Certo era una persona che non vedeva da molto tempo e a lei molto cara. Forse l'ultima volta che si erano salutati, si eran detti 'allora ciao, ci sentiamo presto' , e poi la vita, con le sue beffarde decisioni, li aveva divisi, ma lei non aveva, non aveva mai smesso di aspettare.
Chissà se anche quell'attesa frustrata non avesse lavorato per ingrigire le sue chiome!
Mi sentii un poco sollevato dal momento che il colpevole non ero più soltanto io. Un po' lo ero, per la somiglianza al tipo in questione, ma lo era anche lui, per non essersi trovato, quel giorno e a quell'ora, a passare da Piazza di Spagna.
La seguii con lo sguardo mentre saliva, fino a che si perse nella marea di persone che scendevano dalla Scalinata.
Che scendevano dalla Scalinata! Ma come si fa a scendere 'quella' Scalinata? Essa fu ideata per salire al cielo e parlare con gli angeli.
Si era agli inizi del '700, e il severo e inquietante stile barocco, che opprimeva il corpo per liberare lo spirito, si stava dissolvendo a favore di un movimento nuovo, rivolto all'uomo nella sua interezza, : l'Illuminismo. Proveniva dalla Francia, ma i ghiacciai delle Alpi non riuscirono a raffreddarne il calore, né la passione.
Il suo ideatore, Francesco de Sanctis, pensò alla Scalinata come la sintesi perfetta tra fisicità e spiritualità.
E io me lo immaginai curvo sul tavolo da lavoro, incurante del giorno e della notte. A quel tempo non c'erano regoli, calcolatrici, né altro che agevolasse le operazioni. Tutto era fatto con la mente, e ci voleva tempo e pazienza, con l'angoscia di sbagliare l'applicazione di una potenza, il risultato di una espressione, o il calcolo di un logaritmo.
Perché ad ogni risultato corrispondeva la costruzione di una curvatura nelle rampe, il numero di gradini da costruire, la rappresentazione reale di un'idea architettonica. Il significato armonioso di una costruzione non fatta per i potenti, ma offerta alla plebe e al suo desiderio di riscattarsi da una sudditanza millenaria.
I numeri, nella loro apparente semplicità, erano per il De Sanctis le parole di uno scrittore, le note per un musicista, la spada per un guerriero.
E lui con i numeri, scrisse, musicò e combattè per vedere realizzata la sua idea.
Così l'ampiezza dei gradini offriva comoda presa ai piedi e facilità alla salita; la sinuosità delle rampe, ora convesse ora concave, ricordava il lento evolversi dei pensieri; e le terrazze che interrompono l'ascesa, erano soste per meditare sul cammino percorso, per guardare verso il basso e misurare la dolce progressione verso un mondo nuovo, dove c'era l'Uomo, e non più solo il suo spirito.
La Scalinata, avvolgente come una voluta di fumo, era un morbido invito a salire, uno slancio vitale, era, degradante verso il cielo, una piccola onda che si stempera sulla battigia.
L'ultima rampa non ne è il completamento, ma la pausa in un percorso mentale e l'ultima terrazza, la più ampia che si allarga sul Pincio, dà tempo e spazio al consolidamento dei pensieri e all'elaborazione delle scelte definitive.
Non a caso la sua ideale prosecuzione è la chiesa della Trinità dei Monti che, con i suoi due campanili che bucano il cielo, pare indichi la direzione a chi vuol completare quella forma di maturazione esistenziale.
Ma il de Sanctis non completò mai il suo sogno. La gente, ammaliata all'inizio dell'impresa, appariva sempre più stanca ad ogni sosta e arrivava all'ultima terrazza con il sollievo di chi vede la propria fatica conclusa. A nessuno veniva in mente di procedere; nessuno pareva capire il progetto mentale del grande architetto, né sentire il richiamo di un mondo diverso. Parevano anzi impazienti di ridiscendere, per ritrovare le loro occupazioni, i vecchi pensieri, la loro rassicurante, banale quotidianità.
E così la Scalinata rimase incompleta, come un volo sospeso, una lettera non spedita, una dichiarazione d'amore mai fatta.
Mi sentii un po' solo in mezzo a tutta quella folla vociante che sciamava sulla Piazza e ripensai con tenerezza ad un solitario architetto che, tre secoli prima, aveva voluto parlare del cielo, con la sua opera di granito e a una piccola signora, paziente e delusa, che era l'unica ad averne ascoltato la voce.
Ario G. Benedetti
Dedicato a Michele ...

Mi capita spesso ... mi capita da quando ero bambino ... e la mamma lo sapeva e un po' tremava.
Quando le mie notti sono particolarmente inquiete e la mattina mi sveglio agitato e anche un po' tremante, di solito la campana suona sempre a morto.
Non c'è niente da fare ... provo con un caffè ... faccio un salto in chiesa ... cerco la pace nella solita camminata Casalecchio - Bologna per andare in ufficio: partenza alle sette e cinquanta, arrivo alle nove.
E anche giovedì sedici marzo è successa quella cosa: avevo sognato Michele con i compagni di viaggio della sua editoria: Stella, Erika, Marilena, Marco.
Sono tutti miei amici, dal 2002.
Il sogno non era un granché: Michele era stanco e provato dopo il trasloco da via Monte Nevoso a via Ferri. Dalla mia dimensione onirica osservavo il suo lavoro e temevo per le sue fatiche, per la carretta che era solito tirare ogni giorno e, pur dormendo, ero preoccupato per il suo futuro, del futuro dei suoi amici-dipendenti, mi agitavo dei suoi problemi e vivevo con lui le preoccupazioni del domani, di chi fotocopia i suoi libri, di probabili stock invenduti negli alti scaffali di Cinisello Balsamo, della sua grande ma rischiosissima impresa editoriale.
Mi domandavo come potesse, Michele, reggere una vita del genere: Borsa, Editoria, Business ... ma specialmente ... ingrati sciacalli ... giovani hackers rompicoglioni sempre e vigliaccamente disposti ad azzerare un lavoro nobile e onesto in cambio di basse speculazioni di cloni.
... sì ... perché, come al solito, al mondo c'è qualcuno che crea e altri mille che sfruttano e distruggono.
E questo mi fa male ... mi fa male vederlo verso chi ha capacità ed energie, in quelli che rischiano in proprio i loro mezzi, i loro soldi, la loro fatica quotidiana.
La preoccupazione del sedici marzo si è stemperata un po' quando alle due ho ricevuta una mail da Stella che non sentivo da qualche settimana: ciao Franz .. scusami se non mi sono fatta viva per quel libro ... esco adesso dall'ospedale ... Michele sta meglio.
Guarda un po' ... questa volta il sesto senso per fortuna aveva fatto cilecca ... qualche problema su Michele c'era stato davvero ma per fortuna le cose erano rientrate.
Meglio così!
Il diciassette ho chiamato Erika per via di un libro ... ho fatto un po' fatica a chiederlo ... ma la paura era passata ... Michele aveva subito un intervento ma ora stava bene.
Una conferma in più, pensai, per ritenere nullo quel maledetto sogno.
Va bene così, pensai, ognuno nasce con la sensibilità che si merita per capire e anticipare gli eventi ... come diceva mia mamma, spesso - per fortuna - mi sbagliavo.
Che bello! Mi ero sbagliato davvero!
Ma Michele non ha retto ... contrariamente alle previsioni ... un contrattempo stupido col destino, una questione non programmata, un calcolo sbagliato, una vita che se ne va per niente senza più poterci far nulla.
Si ha un bel da dire che si deve essere se stessi anche nelle trasformazioni maggiori. Non è vero. Se stessi non lo si è più. Si diventa degli altri.
Lavorare con lui era stato per me un modo per curare me stesso e per garantire un po' il mio futuro.
E' vero: quando l'ho visto per la prima volta in via Monte Nevoso ho visto in lui un manager disinvolto, un professionista aggressivo. Io sono molto più abbottonato: valuto, misuro, scruto.
Ma fu lui a togliermi dall'imbarazzo dicendomi: 'va bene, lo facciamo questo lavoro, possiamo investire 2000 copie subito ... dì a Mazziero che parta con la revisione, ti do trenta giorni, poi partiamo con le ciano e i diritti di autore ... vai alla SIAE e deposita subito il titolo.
Ci vediamo a Bologna in aprile, scusami ti saluto perché ho da fare, fai buon viaggio'.
'Ma che tipo' mi dissi! 'In dieci minuti analizza la situazione, gli piace, investe almeno almeno ventimila euro a fondo perduto. Ma se fa così con tutti questo si rovina. Avrà i suoi buoni motivi'.
Ci siamo stretti la mano e il giorno dopo ho cominciato a lavorare per lui / con lui.
Da lì ci siamo visti un sacco di volte: alle varie Expo di Piazza Affari, in seminari ... in un triangolo di formazione tra Editoria / Sito / Pubblicazione ... assieme a Pastorino, suo grande amico.
Lui era dappertutto e alle volte non ti ascoltava più di tanto perché aveva già in mente quello che avrebbe dovuto fare il giorno dopo. E questo è quello che ti capita quando scrivi: hai finito un pezzo e già ti chiedi cosa devi fare la volta dopo.
Ma io non rischio molto, al massimo posso sbagliare un articolo e la mia pagnotta arriva lo stesso ... ma Michele ha rischiato molto più di me: stipendi da pagare, incontri da preparare, viaggi da fare, corsi da organizzare.
Con la grinta di un milanese tosto, di un imprenditore moderno, di un tessitore di incontri e di occasioni d'oro.
Ma in questa tristissima occorrenza bisogna arrendersi al nuovo che avanza e al vecchio che scompare.
E quello che non mi torna davvero, proprio a me, da sempre abituato ai numeri, è il fatto che il vecchio in realtà sono io e che il giovane era lui, un grande e più giovane amico.
Questa sera vorrei non far trasparire, vorrei non apparire, vorrei camminare, vivere, agire con espressione robotica, come sotto il casco di una motocicletta, come quando si guida l'auto, perché guidando nessuno sa chi sia al volante di una vettura, chi sta realmente spingendo forte l'acceleratore, chi veramente guida quel mezzo dietro a un parabrezza scuro, dietro a un cruscotto.
E vorrei anche saper scrivere e toccare la vostra anima, potervi comunicare, tendere ponti con voi e stringere i giusti legami da radicare nella vostra parte più profonda. Non so perché, non so perché provo questo, né so perché mi viene da scriverlo. E' un'emozione forte che mi scuso di non essere abbastanza bravo a raccontare e di non saper mascherare dietro alla maschera della mia faccia.
Michele, io ti voglio ringraziare per quello che mi hai saputo insegnare, incutere, godere.
Ti porto una rosa, qui alla Certosa di Bologna ... un simbolo, scusami ... sì, perché non riuscirei mai a vederti in quello stato lì al Musocco di Milano ... in mezzo a tanti sconosciuti che di Imprese, di Borsa e di Editoria non ci capiscono un bel niente.
Addio, carissimo amico!
Il tuo amico Franz
francesco.caranti@tiscali.it.