Uomini contro macchine: sui risultati dei robot
I fatti che vedete in Borsa proprio durante questi giorni rendono massimo l’interesse verso il tema “value vs growth” ed il tema strettamente legato della affidabilità dei modelli matematici sui quali si fondano gli algoritmi
di Valter Buffo 4 ago 2020 ore 10:08Commento di recce-d.com
Anche i fatti che vedete in Borsa proprio durante questi giorni rendono massimo l’interesse verso il tema “value vs growth” ed il tema strettamente legato della affidabilità dei modelli matematici sui quali si fondano gli algoritmi e di robot dei robo-advisors. Le differenze, già ampie, che vedete nel grafico che segue, di fonte Financial Times, continuano ad allargarsi.
Salta quindi una delle relazioni più celebrate, e più spesso richiamate, da chi propugna (e vende) una finanza “sistematica” e “indipendente dai sentimenti degli investitori”. Come abbiamo iniziato a vedere la settimana scorsa, l’indebolimento delle tradizionali relazioni fra asset e categorie di asset si traduce poi nei risultati, che fino ad oggi risultano deludenti, dei gestori che si affidano alla finanza “sistematica” ed affidano ad algoritmi le scelte di investimento. Questi risultati deludenti in questo momento accomunano sia i gestori più qualificati di quel gruppo 8ad esempio, potete trovare sul web numerosi articoli sul momento della Società AQR) e soluzioni più “da scaffale supermercato” come sono i robo-advisors, spesso piazzati al pubblico proprio attraverso le grandi Reti di distribuzione di massa.
Riprendiamo oggi quel tema dal punto dove ci eravamo fermati sette giorni fa: ovvero il tema della asset allocation cosiddetta “strategica” e dei “ribilanciamenti periodici”. Nella selezione che vi proponiamo di leggere qui sotto, si vanno a toccare tre questioni a tutto oggi non chiare: 1) è vero che il robot è in grado di scegliere per il cliente investitore una “migliore asset allocation” più adatta al suo profilo di rischio? E poi: è dimostrato che i “ribilanciamenti periodici” sistematici dei robot producono effetti che sono positivi per il cliente investitore? Ed infine: è vero che ci sono benefici fiscali di qualche importanza nella compensazione di plus e minus fiscali promessa dai robot? Per l’articolista (che cita ancora I dati di BEB che il lettore ritrova nell’articolo della scorsa settimana ed anche più in basso) la risposta è semplice., Ed è un no.
In fairness, the robos claim to provide value beyond pure investment performance. Part of their purported value is to decide the appropriate asset allocation for an investor. This aspect of the robo’s value is not measured by BEB and is not captured in the above table. But the question users of the robo platforms should ask is whether they are willing to sacrifice investment performance in order to get the robo’s asset allocation recommendation. That also raises the question of whether robos are better at determining asset allocation than they are at investment performance. Hopefully, BEB or other researchers will answer that question. Other components of the robo’s value statement have been shown to be exaggerated. For example, there is no evidence that systematic rebalancing either improves returns or decreases risk. Nor is there evidence that tax-loss harvesting adds nearly as much value as is often claimed. The final takeaway is the enduring power of a passive, 60/40 portfolio. Billions of dollars have been invested in the robo-advice industry to support countless hours of research, software development and marketing. Yet there is scant evidence that anything has been created that will consistently outperform a 60/40 portfolio.
Vediamo insieme i dati in basso, che commentano le affermazioni fatte in alto: nella parte a sinistra, le due tabelle vi espongono le differenze tra robot e fondi comuni, sopra, e tra robot e modelli quantitativi, in basso. La media (indicata con Avg) risulta sempre così tanto modesta, da non apparire significativa di alcunché. Il che, a prima vista, potrebbe anche portarci a concludere che “in fondo, quanto meno, il robot non fa danni”, e in questo c’è una parte di verità. Ma ci sono anche almeno altre tre considerazioni che l’investitore dovrebbe fare:
- Che senso ha investire mezzi finanziari in una “nuova” modalità di gestione dei portafogli, se non è nuova per nulla?
- Che senso ha un marketing insistito (pressioni sul cliente investitore finale) che punta tutto sulle evidenti differenze tra una “gestione sistematica” ed una gestione umana”? Che senso ha cambiare rispetto alla situazione attuale di molti clienti delle reti di vendita di fondi comuni che tutti conosciamo bene?
- Ma soprattutto: per il futuro, dobbiamo aspettarci dai robot i medesimi, deludenti, risultati ottenuti dai tradizionali portafogli “ad asset allocation strategica” nell’ultimo decennio, che si riflettono ad esempio nella performance dei fondi comuni bilanciati che Recce’d documenta sul proprio sito Web?