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Uomini contro macchine: le performance di queste ultime

Un'analisi dei risultati degli algoritmi di finanza quantitativa, uno dei nuovi fenomeni del settore del risparmio, sul mercato americano

di Valter Buffo 28 lug 2020 ore 07:50

Commento di recce-d.com

 

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Abbiamo documentato, per i lettori di SoldiOnline.it, l’anomalia, che interessa il rapporto tra titoli azionari di tipo “value” e titoli azionari di tipo “growth”. Ne abbiamo raccontato l’ampiezza, che è straordinaria così tanto, da non avere alcun precedente, e poi ne abbiamo raccontato la storia, ed abbiamo raccolto alcuni commenti tra i più significativi per i nostri lettori. Insomma, ne abbiamo descritto l’importanza.

Successivamente, abbiamo illustrato al lettore le ragioni per le quali da questa vicenda si ricavano segnali, lezioni e indicazioni per il futuro: ed in modo particolare, per quella sorta di “finanza quantitativa” che secondo gli uffici marketing dell’industria del risparmio è una specie di bacchetta magica che potrebbe risolvere i problemi di un settore, quello del risparmio gestito, dal quale i clienti investitori stanno uscendo in grande numero, scoraggiati da performances deludenti e stanchi di pagare commissioni elevatissime su prodotti finanziari come le GPM, le GPF, i Fondi Comuni, i certificati e così via. I primi risultati però ci dicono che gli uffici marketing vendono ciò che non hanno: sembra proprio che sia molto più semplice disegnare un grafico elegante, che produrre risultati positivi per i clienti applicando quel medesimo modellino.

Oggi il nostro intervento prende in esame proprio i risultati delle applicazioni di modelli matematici e relativi algoritmi alla pratica della gestione del portafoglio. Nello specifico, dei cosiddetti robo-advisors, ovvero di quegli operatori che le reti di vendita propongono/impongono al cliente spiegando che c’è un modellino matematico, ovvero uno o più algoritmi, che “fanno le scelte per noi” e che “fanno le scelte meglio degli uomini”. Bene: vediamo come è andata, attraverso i numeri. A tutto oggi, non sono molti gli studi dedicati al confronto tra robot ed umani nel campo della gestione, ma uno almeno lo abbiamo trovato che sembra essere stato condotto in modo disciplinato e rigoroso, e ve lo proponiamo in lettura. I risultati dello studio sono significativi, ma se tra i lettori di questo articolo c’è chi dispone di dati che dicono il contrario, non avrà che da scrivere a Recce’d attraverso il sito, e noi subito pubblicheremo una rettifica (se i dati risultassero credibili, naturalmente).

Robo-advisors faced their first big challenge with the bear market in the first quarter of 2020. They lost, and that is an ominous sign for the future of automated advice. All robos employ a degree of active management. They deviate from the cap-weighted market portfolio through fund selection or sector allocation. As active managers, robo performance can be fairly viewed only through a full market cycle. Nobody needs an active manager in a bull market; index returns are adequate. Active management shows its value in its ability to protect against adverse market conditions. The market downturn in the first quarter gave us that opportunity.


Lo studio è stato condotto dal sito Backend Benchmarking (BEB, Società basata nel New Jersey, Stati Uniti: potete documentarvi sul web, se interessati ad approfondire)  che si occupa proprio di analisi sui rendimenti, ed è stato presentato dalle parole che avete letto sopra. Il brano scelto per voi dice due cose: prima di tutto, spiega che la caduta dei mercati tra febbraio e marzo costituisce un valido test dell’efficacia degli algoritmi e dei robot; e in aggiunta anticipa che, almeno in questo caso, la sfida è stata persa dai robot. Vediamo come, è stata persa, attraverso i numeri.

BEB ha condotto un confronto tra i risultati di 60 robo-advisers operanti negli Stati Uniti (dove il fenomeno si è inizialmente sviluppato) ed un tradizionale portafoglio bilanciato, fatto di ETF e composto secondo la classica suddivisione, 60/40, dove il 60 è la quota di azionario ed il 40 è la quota di obbligazionario. BEB poi ha detratto 30 punti base, su base annuale, dal portafoglio 60/40, per livellare il confronto con i costi pretesi dai robo-advisors. E i risultati sono i seguenti:

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Lo studio ci dice che su un arco di 5 anni, al confronto con un normale, e statico, portafoglio bilanciato di tipo “asset allocation” (proprio quello che ognuno dei nostri lettori si è sentito proporre molte volte e da numerosi promotori finanziari oppure private bankers) in media i portafogli dei robo-advisors hanno perso un 1% per ognuno dei quattro anni presi in esame (ovvero 100 punti base l’anno, e 400 in totale) più ovviamente i costi. Ovviamente, ricordiamo che una media è una media: ci sarà il robo che ha fatto meglio, e quello che ha fatto peggio. D’accordo. Ma se vediamo questi dati nella prospettiva che ci è stata imposta dagli uffici di marketing, secondo la quale i robot farebbero meglio degli umani, qui la prova non c’è.

A che cosa serve dunque, spingere così tanto il robot al cliente, se poi il cliente stesso ha poche, pochissimi probabilità di ottenere qualche cosa di più, rispetto ai prodotti tradizionali? GPM, GPF e Fondi Comuni di Investimento hanno fatto malissimo, negli ultimi 5, 12, e 15 anni, e questo è documentato ed ampiamente conosciuto da tutti: ma la soluzione del problema, almeno se stiamo ai risultati di questa ed altre analisi, non sembrano essere i robot.

La macchina non si è quindi dimostrata superiore all’uomo. Non in questi ultimi cinque anni, questo è certo. E neppure in un periodo più lungo. Sono i risultati, disastrosi, della asset allocation di tipo tradizionale: e non a caso, chiude il nostro pezzo di oggi un brano (più sotto) che tocca il tema della asset allocation rischio/rendimento (meglio media/varianza): e Recce’d lo tratterà per voi lettori la settimana prossima.

In fairness, the robos claim to provide value beyond pure investment performance. Part of their purported value is to decide the appropriate asset allocation for an investor. This aspect of the robo’s value is not measured by BEB and is not captured in the above table. But the question users of the robo platforms should ask is whether they are willing to sacrifice investment performance in order to get the robo’s asset allocation recommendation. That also raises the question of whether robos are better at determining asset allocation than they are at investment performance. Hopefully, BEB or other researchers will answer that question.

 

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