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Un accordo in Europa è ancora possibile

Probabilmente, un buon accordo, in cui tutti i paesi guadagnino, è ancora possibile se si riesce ad integrare diverse delle proposte oggi sul tavolo, tra vecchi e nuovi strumenti.

di Antonio Mansueto 20 apr 2020 ore 13:22

di Antonio Mansueto, socio AIAF

europa_13La discussione, sempre più calda, su come affrontare la crisi economica conseguente alla pandemia, è ormai in fase di ebollizione. L'Europa ha poco tempo per ritrovare l'efficacia dei tempi in cui questo  progetto veniva fondato con l'entusiasmo di aiutarsi gli uni con gli altri.

Molti percepiscono una situazione potenzialmente catastrofica per i paesi del sud Europa. Meno problematica appare la situazione per i paesi del nord Europa, che tuttavia sottovalutano il rischio che la stessa UE crolli e si spacchi, e con essa si generi una instabilità estremamente svantaggiosa per tutti.

Riequilibrare, dare forza alle imprese e ai paesi in difficoltà, sembra voler dire -per alcuni- dover pagare più di altri, restituire guadagni avuti dalle precedenti situazioni. Noi non crediamo affatto che sia così. Anzi, una soluzione giusta dei problemi attuali è un gioco win-win per tutti i paesi europei. L’unione vera fa la forza.

Come risolvere il dilemma politico ed economico?

E' sempre più chiaro che gli elementi di base e le opzioni di una soluzione, sono pochi:

  1. Affrontare la crisi attraverso strumenti mutualistici in parte finanziati sul mercato, già esistenti: come il MES che pone condizioni ai bilanci pubblici, o nuovi, come i Coronabond, non condizionali per i bilanci degli Stati, ma finalizzati alla ricostruzione;
  2. Potenziare il ruolo della BCE, sia rafforzando il QE che, possibilmente, consentendo di creare moneta come prestatore di ultima istanza. Leggiamo dal sito stesso della BCE: “La BCE si attiene rigorosamente al divieto di finanziamento monetario perché non effettua acquisti nel mercato primario.”
  3. Avere dimensioni di intervento senza precedenti in UE. L’accordo in Eurogruppo ha previsto tra MES, SURE e BEI, circa 500 miliardi di Euro. Il Recovery Plan -da chiarire- ne prevede almeno altri 500 miliardi, ma la BCE ha già segnalato che tale cifra dovrebbe arrivare almeno a 1500 miliardi di euro.
  4. Il risparmio privato deve avere un suo ruolo. La differenza delle finanze dei privati cittadini nei vari paesi può anche avere una sua rilevanza.
  5. Contenere il costo degli aiuti finanziari che giungeranno ad uno Stato (tassi e rischi di mercato), e avere una durata adeguata, se trattasi di finanziamenti.
  6. Lasciare gli stati a se stessi, a parte un moderato contributo mutualistico europeo, è una opzione che resta sullo sfondo.


Tra queste queste 6 opzioni, occorre che una proposta abbia profili di convenienza tali da soddisfare sia gli stati del nord Europa che quelli del sud.

  • Il PUNTO 6 va smontato da subito. Nell’attuale discussione è stato notato come la serietà dell’Italia sia dimostrata dal fatto che sin dal 1995 -secondo i dati dell’FMI- l’Italia è il paese al mondo con il più alto avanzo primario di bilancio. Questo contraddice la tesi di inaffidabilità dell’Italia. Agire secondo il punto 6 significa mandare l’Italia e i paesi del sud Europa a combattere coi mercati finanziari senza le armi: ovvero senza poter gestire la propria moneta, senza la fondamentale leva monetaria, di cui si sono privati per aderire all’Eurozona. La strategia 6 è un atto di irresponsabilità che causerebbe la catastrofe prima per questi stati e poi per tutta l’Europa. Essa causerebbe la fine della UE e la totale instabilità politica ed economica nel nostro continente. Un ritorno a terribili trascorsi storici.

 

  • Smarchiamo ora il PUNTO 4 per l’Italia. E’ vero che dalla Germania arrivano spesso input del tipo: i privati italiani devono finanziare lo Stato Italiano. Questo è giusto. Ed infatti in questi ultimi giorni in Italia si parla sempre di più di emissioni di lungo termine finalizzate alla ricostruzione da emettere sul mercato in Italia. Oppure di creare fondi di investimento destinati ai risparmiatori che possano acquisire patrimonio immobiliare pubblico a prezzo equo. Queste proposte rappresentano un primo passo dovuto e importante per convincere i paesi del nord che le intenzioni italiane sono serie. A ciò però va aggiunto un contributo importante di finanza dall’Europa, o dai mercati finanziari internazionali: non facile ma necessario.

 

  • PUNTO 5. E’ chiaro che avere fondi dall’Europa attraverso il MES (Mes (Meccanismo europeo di stabilità): cos'è, come funziona e perché crea tante polemiche ), lo SURE, la BEI, comporta costi inferiori per l’Italia rispetto al finanziarsi sul mercato. Per i paesi del nord Europa, però, questo discorso non vale. Ma ne siamo sicuri? Rispetto ad uno sfaldarsi del “vantaggio europeo” un paese come l’Olanda non avrebbe convenienza a ottenere mezzi finanziari dall’Europa per ridurre l’elevatissimo indebitamento dei privati in Olanda (ancora punto 4) senza appesantire la finanza pubblica?

 

  • Il PUNTO 3 parla da solo. Le dimensioni dell’intervento finanziario della UE devono essere senza precedenti rispetto al passato.

 

  • PUNTO 1. Il MES e i Coronabond hanno la stessa origine, secondo molte voci eminenti. Sono strumenti basati su un fondo mutualistico creato dagli stati europei, al quale si aggiunge un indebitamento comune ottenibile sui mercati (come sarà la recettività dei mercati finanziari nei prossimi tempi?). Il MES ha una dimensione piccola e insufficiente. Inoltre si è reso odioso dopo il suo uso in Grecia. Da qui nasce - ad esempio - la recente proposta di destinare i fondi del MES alla BEI che poi finanzierebbe i vari progetti nazionali.
    E i Coronabond? E’ qui che si crea il problema del timore che alcuni stati possano dilapidare queste ingenti somme, ovvero che si finisca per accollarsi il debito pregresso di taluni stati. O, infine, il problema già detto: chi può emettere i Bund non ha problemi di reperire mezzi finanziari a basso costo.

 

  • E veniamo al PUNTO 2. Molti economisti di varie “fazioni” (incluso Mario Draghi) ormai insistono a dire che in una crisi come la presente occorre creare moneta, usare la banca centrale come prestatore di ultima istanza. Sono convinti che ciò non causerà “iperinflazione” nello stato attuale di una economia ove l’abbondanza di offerta è (ad oggi) un dato di fatto. Perché usare questa leva? Forse perché questo consentirebbe di immettere nell’economia europea senza problemi le ingenti risorse necessarie (quegli ulteriori 1500 miliardi o anche più)?
    Forse perché questo consentirebbe:
  • agli stati con un elevato debito pubblico di ridurre il peso e il costo sui mercati, 
  • agli stati che hanno un settore privato indebitato di aiutarlo senza intaccare la sanità della finanza pubblica, 
  • agli stati che mancano di crescita di stimolare l’economia senza sottostare agli alti e bassi dei mercati finanziari. 


    Non è per caso che proprio l’opzione 2 di cui in UE non si parla, sia quella che potrebbe convenire a tutti i paesi europei? Che cosa ci ferma? Un timore ancestrale? Una teoria economica che non combacia con la realtà? O l’idea tremenda che presto l’Unione Europea non esisterà più?

La realizzazione della UE è rimasta incompleta e si disse che l’Euro sarebbe stato un passo importante seguito da altri. Così non è stato. Le colpe non sono dell’euro, ma di ciò che non si è fatto dopo, dormendo sugli allori dell’euro.

 

Dopo la crisi del 2008, la debolezza del progetto unitario europeo è stata chiara ai mercati, e gli spread sui tassi dei paesi più deboli si sono di nuovo impennati come prima dell’euro. Questo è il fatto. Al tempo stesso la crisi di fiducia nella UE mette in crisi gli stati più deboli e prepara la strada per la fine della UE. E’ davvero questo che vogliono gli stati europei?

Molte le proposte per consentire un ruolo più importante della BCE. Tra queste la possibilità che le banche, con le garanzie attuali diminuite, prendano prestiti da BCE e prestino a tasso agevolato allo Stato (proposta pubblicata sul Sole 24 Ore).

La proposta del sottoscritto insieme a Paolo Sassetti, inerente i “Proportional Bond” nazionali acquisiti direttamente dalla BCE, andava in questa direzione. Essa prevedeva che la BCE acquistasse bond nazionali sul mercato primario, a tassi convenienti. Lo può fare tramite la BEI? D’accordo. La BEI può garantire con la sua expertise che i fondi siano destinati a progetti di ricostruzione e crescita economica, onde evitare una dannosa dispersione di queste risorse finanziarie tipicamente create dal nulla. Risorse non disperse ma atte a rilanciare la crescita in tutta la UE.

Ribadiamo quindi la nostra proposta pubblicata il 6 aprile, che avevamo chiamato European Reconstruction Proportional Bond.

Gli ERPB sono bond di lunga durata che i paesi europei possono emettere ciascuno in proporzione alla propria quota di GDP nella UE. Gli ERPB non vengono emessi sul mercato ma vengono interamente sottoscritti dalla BCE. Essi vengono emessi da tutti i paesi alle stesse condizioni di tasso fisso agevolato e sono strettamente finalizzati al rilancio dell’economia reale.

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Questi bonds dovranno avere le medesime condizioni di tasso agevolato e prossimo allo zero per tutti i paesi dell’unione, e una durata molto lunga, per consentire di superare una fase di sostegno lungo all’economia e di coglierne i risultati.
Tale debito verso la BCE non dovrà essere incluso nel calcolo del patto di stabilità dei vari paesi. E’, peraltro, un debito con la BCE che in futuro potrà essere ridefinito.
Un siffatto strumento, da un lato non consentirà il peggioramento del profilo di rischio creditizio dei paesi, e quindi non modificherà i loro spread sul mercato (anzi ne dovrebbe beneficiare).
Questo debito non è mutualistico, ma paritario, e consentirà a tutta l’economia europea di riequilibrarsi e rilanciarsi, e non richiede al momento una revisione del patto di stabilità.

Occorre però agire sul ruolo della BCE, che peraltro sta mostrando in tutti i modi l’importanza fondamentale del suo intervento. Forse unica istituzione europea oggi in grado di avere un ruolo all’altezza di una Unione, purché alla BCE sia concessa una operatività completa, nella gestione della politica monetaria, e non “mutilata” .

Probabilmente, un buon accordo è ancora possibile se si riesce ad integrare diverse delle proposte oggi sul tavolo, tra vecchi e nuovi strumenti.

 

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