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Trump barcolla, ma Wall Street resiste

È pericoloso azzardare previsioni sui possibili movimenti dei mercati: dal punto di vista dell’analisi tecnica il rialzo americano potrebbe continuare, ma da quello dei ratios fondamentali forse no.

di Mario Elia 24 lug 2017 ore 11:00

Smacco per il presidente Usa con la bocciatura tombale del progetto di riforma dell’Obamacare. E non passa giorno che il Russiagate non procuri nuovi grattacapi a lui e alla sua famiglia, tanto che da un paio di settimane si inizia a parlare di un possibile “impeachment”. Il che non è da escludere, visti i malumori degli stessi Repubblicani e la determinazione avversa dei Democratici, che non gli hanno perdonato la vittoria elettorale.

L’economista Paul Krugman (Nobel 2008), neokeynesiano e da sempre ostile al Gop (Grand Old Party), nell’ultimo intervento sul New York Times ha riacceso la disputa: “… Il disegno di legge della sanità repubblicana è una crudele aggressione alla salute e alla sicurezza finanziaria di decine di milioni di americani…” “…Una campagna di bugie senza precedenti nella politica degli Stati Uniti…” “… Come ha fatto un intero partito a soccombere a tale marciume morale?...” “…Chi ha prestato la minima attenzione ai problemi sanitari sapeva che l’ACA aveva drammaticamente ridotto il numero di non assicurati; la riconversione avrebbe avuto effetti devastanti su molte persone, inclusi parecchi lavoratori bianchi. Ma non importa la moralità: doveva essere ovvio che il costo politico di abrogazione sarebbe stato molto alto…”.

Tuttavia, la borsa americana, che aveva preso grande slancio dopo le elezioni, non è caduta quanto il gradimento di Trump (l’ultimo sondaggio lo vede al 36% dei consensi). Wall Street sembra solo rifiatare per l’ultima lunga corsa.

 

PIAZZA AFFARI SENZA DIREZIONI

Non così, come al solito, a Piazza Affari:

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Venerdì scorso, l’indice Ftse Mib ha lasciato sul terreno l’1,10% e peggio hanno fatto il Dax tedesco (- 1,66%) e il Cac francese (- 1,57%). Quindi, la spiegazione era data per scontata: l’apprezzamento dell’euro sul dollaro (1,1664, il massimo degli ultimi due anni) non poteva che penalizzare i Paesi esportatori. Ma allora, perché se l’euro forte ha punito le borse europee, il dollaro debole non ha esaltato Wall Street? E qui potremmo avvitarci in una spirale di ipotesi che è meglio evitare.

 

MA QUALCOSA DI BUONO SPUNTA ANCHE SUI NOSTRI LISTINI

Osserviamo l’andamento di De’Longhi negli ultimi sei

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L’azienda, fondata nel 1902, è passata dalla produzione di stufe a legna a quella di macchine da caffè, aspirapolvere, ferri da stiro, climatizzatori e altri prodotti per la casa. Quotata nel segmento milanese Mid Cap, nell’ultimo semestre è salita da, fra alti e bassi, da 23 a 28,31 euro.

Dati Fondamentali

  • Market Cap: 4.210.487.625
  • P/E [2016]: 25,151
  • Dividendo: 0,80
  • Dividend Yield: 2,83%
  • EPS [2016]: 1,12
  • Settore:SERV: distribuzione
  • Min - Max 52 set: 22,250 - 30,000
  • Performance annua: 30,76%

Va fatto presente che il ratio P/E, pari a 25,151, è un po’ elevato: in genere il prezzo non dovrebbe andare oltre le 15 volte il profitto e il raffronto con i tassi delle obbligazioni può essere importante. Resta tuttavia un titolo interessante che occorre seguire con attenzione in questa fase evolutiva.

 

BUONE SODDISFAZIONI DAGLI EMERGENTI

I Brics (Brasile, Russia, India, Cina e Sudafsui quali si dovrebbe puntare a mezzo Adr o Etfrica) formano il gruppo dei Paesi emergenti. Nel precedente incontro, abbiamo proposto un sommario riassunto dell’economia cinese. Ora è tempo di volgerci all’India, dodicesima potenza economica al mondo e, quanto a ritmi di crescita, preceduta solo dalla Pechino. Ciò malgrado, in una società ancora divisa per caste, permangono preoccupanti strati di povertà e analfabetismo.

Maggior privatizzazione, riduzione del deficit di bilancio e Pil ormai in decima posizione nel mondo hanno portato l’economia complessiva a un livello più che rispettabile. Pullulano infatti grandi industrie nell’automobilismo, nelle costruzioni, nell’elettronica e nell’informatica. Ormai popolosa quanto la Cina, dispone di miniere, acciaierie, prodotti farmaceutici e industrie tessili.

 

INVESTITORI ITALIANI DOPO LA CRISI DEL 2008

Andrea Curti (Private Banker) e Fabio Donalisio (Market Analyst), esperti del settore, ci spiegano come abbia sbagliato buona parte degli italiani dopo la bolla del 2000 e la crisi del 2008.

L'italiano medio, e per medio intendiamo quindi una persona senza una forte cultura finanziaria, soffre molto di Home Bias, ossia il comprare e vendere sempre e solo azioni italiane senza guardare a tutto il resto del mondo.

Generalmente (ma non sempre) gli investimenti non sono buoni o cattivi in senso assoluto ma possono essere ottimi o pessimi in base al momento (timing) in cui vengono effettuati; dopo i forti storni del mercato azionario verificatisi a seguito della bolla del 2000 e la crisi del 2007/2008 sicuramente si aprivano porte di ottime possibilità di investimento a sconto, ma ci voleva molto carattere in un clima così incerto: tuttavia, a livello mondiale, la crescita continuava ad essere sostenuta!

Certamente in questo contesto rientrava anche il discorso della finanza comportamentale ma, sicuramente, nel mondo si presentavano ottime opportunità di acquisto e poteva essere anche l'occasione, per molti italiani, si spostare parte del portafoglio su mercato azionario andando a diminuire un pochino l'esposizione obbligazionaria ... in modo che, forse per una volta, anche agli italiani sarebbe piaciuto di più detenere in portafoglio il patrimonio delle aziende piuttosto che comprarsi i loro debiti!

 

LA DONCHIAN STRATEGY RESTA RIALZISTA

I tenui cali di giovedì 20 e venerdì 21 non hanno impressionato il Maestro di Hartford, che ha chiuso la settimana in persistente senso rialzista, come evidenzia il seguente grafico.

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Per ora, è lampante che il trend, sebbene ancor breve, è stato intercettato. È essenziale averlo seguito nelle ultime 7 sedute con uno stop più che accorto. Solo oggi sapremo se l’indice americano, dopo una pausa, intenderà riprendere a macinare massimi su massimi. Nessuno è in grado di prevederlo.

 

LE SFERE DI CRISTALLO

Ma alcune indicazioni possono fare la differenza: una di queste è il factor fear espresso dall’andamento delle opzioni.

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Sembrerà strano, ma la sinusoide non è mai stata così incoraggiante, essendo passata, in un’ottava, da 9,51 a 9,36 punti.

Non muta il discorso nemmeno per le sensazioni di chi opera sui futures relativi all’S&P500 e messe a disposizione dal Cme di Chicago.

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Nelle ultime 5 settimane il grafico ha offerto linee via via più ottimistiche e l’ultima rilevazione (linea azzurra, la prima dall’alto) conferma la tendenza. Ovviamente, possono essere molte le forze che influenzano questa pioggia di dati, ma non è bene propendere fin da subito a dietrologie non dimostrabili. Quindi, o stiamo ai ratios fondamentali o all’analisi tecnica, ma sempre passo a passo.

 

GRANDI ECONOMISTI CONTRO GRANDI ECONOMISTI

È sempre interessante esporre quali e quante divergenze esistano e siano esistite nell’economia politica.

Paul Samuelson è stato un notissimo economista statunitense, vincitore del premio Nobel per l'economia nel 1970.

Secondo Vittorio Mathieu (1923 – viv.), che non era un economista puro ma un filosofo di cultura oceanica (punto di riferimento nell’interpretazione di Immanuel Kant), disse: “Il più fortunato manuale di tutti i tempi e forse di tutte le discipline, il celebre Economics, premette l’esposizione della macroeconomia a quella della microeconomia”.

Samuelson, che con l’economista-marxista Paul Sweezy fu allievo di Schumpeter (che lo soprannominò “Il Mago Merlino”, è stato il caposcuola della corrente neokeynesiana e si è attivamente occupato di scienza delle finanze e di economia internazionale. Nel primo caso si è posto il problema di come ottimizzare l’utilizzo dei beni pubblici e nel secondo ha aperto la strada a una corretta teoria del commercio (poi elaborata da Paul Krugman).

Ma nemmeno Samuelson poteva sfuggire agli strali dell’agguerrita studiosa americana Joan Robinson (1903 – 1983), che di lui disse: “…Di recente Samuelson ha ammesso candidamente che la base del suo sistema non tiene, ma i teoremi continuano a valere lo stesso.” E poi, “…Nella disputa con gli sraffiani (gruppo riferito a Piero Sraffa), Samuelson ammise con molta franchezza di essersi sbagliato. Ma si sbagliò su quale fosse lo sbaglio.” E poi ancora: “La sua famosa sintesi tra Keynes e i neoclassici non è una sintesi, sono due scatole diverse messe insieme.”

Questi e altri commenti figurano nel volumetto “Maledetti Economisti!”, del compianto Sergio Ricossa.

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