Tori spaventati e orsi terrorizzati
L'argomentazione dei tori, che incoraggia all'acquisto di asset rischiosi, soprattutto visti i recenti forti movimenti, si fonda sul premio al rischio relativo e sulla fiducia nel continuo impatto positivo delle politiche sui prezzi degli asse
di Redazione Soldionline 2 feb 2016 ore 10:54A cura di Salman Ahmed, Global Strategist di Lombard Odier Investment Managers e Jan Straatman, Global CIO di Lombard Odier Investment Managers
Entropia
La seconda legge della termodinamica implica che l'entropia, o caos, dell'universo sia in costante aumento. Ciò spiega perché il tempo continua ad avanzare e perché lo stato naturale dell'universo tende maggiormente al caos e non all'ordine. Le ultime settimane nei mercati globali degli asset rischiosi ci hanno ricordato questa legge fondamentale della natura che governa il funzionamento del mondo e dell'universo intero. Tuttavia, l'interazione "intelligente" degli esseri umani con la natura, sin dall'avvento della vita, è stata proprio la gestione di questo processo (la crescente entropia): le nostre azioni e gli strumenti che utilizziamo sono in grado di ritardare e manovrare a nostro vantaggio questo stato naturale delle cose. Nella situazione attuale, la capacità dei decisori politici di gestire la maggiore "entropia" degli asset rischiosi globali determinerà quale fazione, tra tori e orsi, si affermerà nei prossimi mesi e trimestri.
Orsi terrorizzati
Le argomentazioni a favore degli orsi sono chiare. L'enorme aumento della leva finanziaria nell'economia globale dalla crisi del 2008/9, soprattutto in Cina e nel settore dell'energia globale sta andando incontro alla sua fine inevitabile. Sta iniziando un'inversione necessaria nel ciclo di default per ripulire il sistema, oggi bloccato da un impiego del capitale non redditizio piuttosto consistente. L'uso diffuso di programmi di acquisto di asset sostenuti dall'emissione di nuova moneta, attuati da banche centrali fondamentali, ha indirettamente incentivato questo uso inefficiente del capitale, senza tener sufficientemente conto dei fondamentali sottostanti. Mentre era in corso questo impiego del capitale, i premi al rischio in diversi mercati rischiosi sono stati "artificialmente" soppressi per agevolare il processo. Questo ha portato a un temporaneo aumento della crescita (sebbene molto più limitato di quando inizialmente previsto o promesso), generando un ambiente "Goldilocks" per l'economia globale. La prima sfida a questo "nuovo ordine economico" è emersa nel 2011, quando le questioni politiche europee hanno puntato i riflettori sui fondamentali di debito sottostanti. La situazione è stata tuttavia salvata da Draghi che, tirando fuori un coniglio dal cappello delle politiche, ha promesso di fare "qualsiasi cosa serva" per difendere l'euro. La credibilità percepita di questa promessa è stata sufficiente per scioccare le aspettative e segnare un'inversione di tendenza, con la prospettiva di un "extra rendimento" che ha riportato il capitale in Europa. Se saltiamo rapidamente al 2016, l'attenzione ai fondamentali è diventata più acuta che mai, con il continuo rallentamento della Cina, associato ai rischi di tracollo (visti i sostenuti deflussi di capitali e la cattiva comunicazione delle politiche) che si riverberano in tutto il panorama macro globale. La situazione non è aiutata dall'inizio del ciclo di rialzo dei tassi da parte della Fed, che ha creato una spinta al rialzo per il dollaro (la valuta di riserva fondamentale a livello globale) almeno nell'ultimo anno e mezzo. Per riepilogare l'argomentazione ribassista: le carte sono ormai scoperte e le valutazioni generose (soprattutto per gli asset rischiosi statunitensi) sono completamente fuori sincrono con la realtà economica globale.Pertanto, il complesso degli asset rischiosi globali deve subire un forte shock di "beta", che sta appena iniziando a spingere al rialzo i premi al rischio. Ciò che davvero terrorizza gli orsi è la replica di un "trucco" di politica alla Draghi, che prometta o effettivamente travolga il mercato con ulteriore liquidità gratuita, sufficiente per intorpidire l'attenzione alle realtà sottostanti e che si faccia strada verso l'"ordine", spingendo gli investitori ad acquistare asset rischiosi mentre i rendimenti degli asset non rischiosi proseguono la discesa in territorio negativo.
Tori spaventati
L'argomentazione dei tori, che incoraggia all'acquisto di asset rischiosi, soprattutto visti i recenti forti movimenti, si fonda sul premio al rischio relativo (rispetto alle obbligazioni governative) e sulla fiducia nel continuo impatto positivo delle politiche sui prezzi degli asset, se non sugli esiti economici, sia nelle economie avanzate che in Cina. Nel caso della Cina, l'aumento repentino della leva finanziaria in diversi settori nazionali (soprattutto nel governo locale, nell'immobiliare e nelle infrastrutture) è evidentemente un problema enorme. Tuttavia, per contrastare questa dura realtà è importante riconoscere che la Cina ha una struttura di comando politica ed economica, con oltre 3 trilioni di dollari in riserve largamente liquide. Inoltre, il paese ha già visto deflussi pari a circa 1 trilione di dollari negli ultimi tre anni (secondo i dati IIF), il che implica che i rischi di esposizione globale alla Cina si sono ridotti drasticamente. Il paese ha anche protezioni credibili disponibili, finché la disponibilità del governo resta intatta. L'economia politica della Cina (stabilità economica come caposaldo del contratto sociale) e gli strumenti politici disponibili (che vanno oltre le semplici opzioni finanziarie ed amministrative ortodosse) sono la ragione essenziale dietro l'idea che la situazione può essere trasformata in una questione continuativa (come in Europa) invece che sfociare in un tracollo rapido e drastico, come abbiamo visto nel 1997 o nel 2008. Oltre alle sfide che riguardano la Cina, l'argomentazione dei tori è rafforzata ulteriormente da un ambiente di disinflazione globale (persino negli USA): questo significa che altre banche centrali fondamentali come la BCE e la BoJ dovranno attuare ulteriori misure di easing monetario, riattivando così il canale di riequilibrio dei portafogli, e gli investitori saranno obbligati a cogliere il premio al rischio extra offerto per raggiungere i propri obiettivi di rendimento. Questo scenario è più evidente nello spazio azionario europeo, dove la continua ripresa economica graduale, condizioni di credito meno rigide, la deflazione che obbliga la banca centrale ad attuare maggiori misure di easing e valutazioni meno stringenti creano una buona argomentazione per una ripresa dei prezzi degli asset. Tuttavia, dopo sette anni di ripresa economica globale relativamente contenuta a seguito della grande crisi finanziaria del 2008/9 e dubbi crescenti sull'efficacia della politica monetaria basata sul QE (in termini di impatto sui reali risultati economici), ci sono buone ragioni per nutrire preoccupazioni e paure reali in merito a uno scenario rialzista sostenuto dalle politiche. Non mancano infatti timori sui fondamentali.
Dove ci troviamo?
Veniamo ora alla nostra visione: pensiamo che, sebbene la politica monetaria non abbia avuto grande successo in termini di impatto sui reali risultati economici, la sua forte influenza sugli asset rischiosi è innegabile. Riteniamo inoltre che, nel contesto attuale, la sensibilità delle banche centrali alle condizioni finanziarie sottostanti sia piuttosto elevata, vista la bassa crescita di produttività e la bassa inflazione, che continua a segnalare un'eccessiva lentezza dell'economia globale. Con la politica fiscale ancora non disponibile, la politica monetaria resta il baluardo fondamentale contro un'inversione del ciclo economico (soprattutto nelle economie avanzate), che sembra essere diventato un obiettivo chiave per i decisori politici in questa fase. Stiamo già vedendo alcuni segnali di questa aumentata sensibilità alle condizioni economiche, con la BCE che ha indicato un ulteriore easing, mentre la Fed la scorsa settimana ha consolidato il proprio atteggiamento dovish, nonostante l'avvio, lo scorso dicembre, del primo ciclo di rialzo dei tassi dal 2006. Tuttavia, in quanto investitori orientati ai fondamentali, restiamo negativi sul rischio di esposizione alla Cina, visto l'adeguamento dell'economia ancora in corso. Pensiamo però che la promessa o la reale iniezione di ulteriore liquidità ridurrà il rischio di un importante shock del "beta", consentendo un'azione dei prezzi più differenziata, sebbene turbolenta, nelle dinamiche degli asset rischiosi. La nostra filosofia d'investimento, incentrata su un investimento consapevole del rischio, sui fondamentali sottostanti e la comprovata abilità dei gestori a costruire portafogli, implica una forte attenzione ai rischi di coda strutturali nel sistema, che nascono da una leva finanziaria molto elevata e da condizioni di liquidità frammentate.
Aggiornamento del nostro contesto macro
Visti gli sviluppi delle ultime settimane e le recenti notizie, è forse il momento giusto per aggiornare il nostro contesto macro sottostante, comunicato all'inizio dello scorso anno e rivisto nell'outlook 2016. Crediamo che la probabilità del nostro scenario di base di "nipponizzazione" nella disinflazione europea/globale sia ulteriormente cresciuta, considerato il crollo dei prezzi dell'olio e l'ulteriore pressione al ribasso sul settore manifatturiero globale. Ecco perché abbiamo rivisto la probabilità dello scenario di base al 70%, rispetto al precedente 60%. Allo stesso tempo, riconosciamo i rischi di coda sistemici posti dalla Cina e pertanto aumentiamo la probabilità di rischio di coda al 15% dal precedente 10%. Viste però sia la disponibilità che la capacità delle autorità cinesi, e gli ampi deflussi di capitale degli ultimi due anni (che implicano una minore esposizione globale ai rischi cinesi), pensiamo che il rischio di un tracollo finanziario trainato dalla Cina resti saldamente al di sotto del 50%.