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Robot contro umani: dove sta la differenza?

I fatti che vedete in Borsa proprio durante questi giorni mettono in evidenza lo scostamento tra l’andamento dei titoli azionari di tipo “value” rispetto all’andamento dei titoli azionari di tipo “growth”

di Valter Buffo 11 ago 2020 ore 09:54

Commento di recce-d.com

 

mercato-azionario_2L’attualità continua a proporci conferme ripetute, e sempre più evidenti, della rilevanza del tema che Recce’d ha scelto nel mese di febbraio (prima della crisi COVID-19) per i lettori. Anche i fatti che vedete in Borsa proprio durante questi giorni mettono in evidenza lo scostamento tra l’andamento dei titoli azionari di tipo  “value” rispetto all’andamento dei titoli azionari di tipo “growth”, come vengno chiamati ad esempio i titoli quotati al mercato NASDAQ. Come noi abbiamo già scritto, questo scostamento era già evidente un anno fa, e fece scrivere, alla fine del 2019, a grandi case di investimento globali (tra tutte ricordiamo oggi Morgan Stanley) che una delle più grandi opportunità del 2020 sarebbe stato il recupero dei titioli azionari “value” rispetto ai “growth”. La tabella appena sotto vi aggiorna le performances a fine luglio 2020 dei maggiori indici di mercato (in dollari USA, fonte Bespoke) e proprio nella tabella trovate evidenziato l’andamento dei titoli “value” e dei titoli “growth” nei primi sette mesi dell’anno alla Borsa di New York.

le-performances-a-fine-luglio-2020-dei-maggiori-indici-di-mercato

Sulle altre Borse, si sono registrati scostamenti del tutto simili. Come potete vedere attraverso questi numeri, chi ha investito seguendo le indicazioni di chi diceva di puntare sui titoli “value” a fine 2019 ha accumulato una perdita relativa del 25% circa. In sette mesi! Ma, come vi abbiamo già messo in evidenza, c’è un secondo aspetto di questa vicenda (molto dibattuta a tutto oggi sui mercati finanziari) che è di interesse ancora più generale: questa divergenza crescente mette in crisi uno dei modelli più diffusi, e più conosciuti, sui quali sono basati gli algoritmi che affidano alle macchine (ovvero ai robot) la gestione dei vostri soldi. Ecco quindi venire di stretta attualità il secondo tema trattato da Recce’d: l'affidabilità dei modelli matematici sui quali si fondano gli algoritmi ed i robot dei robo-advisors. I dati mettono in crisi non soltanto del modello “growth vs. value” di Fama-French, ma pure il modello di asset allocation di Black-Litterman (modificato e non), i modelli di selezione tra le performances dei fondi comuni di investimento, ed ogni altro modello al quale i gestori di GPM, GPF e fondi comuni hanno affidato i soldi dei loro clienti, convincendoli del fatto che è preferibile affidare le scelte ad una “strategia sistematica” allo scopo di evitare le “dannose interferenze della emotività”. Affermazione in linea di principio condivisibile, ma i problemi che portano con sé questi modelli matematici non saranno poi di maggiori dimnensioni, rispetto a qualisiai effetto negtativo portato dalla emotività e dalle scelte discrezionali di portafoglio?

Allo scopo di rispondere a queste domande in modo concreto, ed attendibile, da qualeche settimana Recce’d vi propone di leggere dei dati, dati ricavati da seri studi statistici di Società come BEB e Morningstar, le cui credenziali voi lettori potete facilmente verificare sul web. Oggi insieme a voi esaminiamo alcuni risultati pubblicati di recente da Morningstar. Come leggete nella prima tabella che pubblichiamo di seguito, Morningstar ha rifatto i calcoli, per verificare i risultati della società BEB relativi alla performance dei robo-advisors negli Stati Uniti (dove erano partiti già molti anni prima , rispetto a quelli italiani). Come leggete sotto, i risultati sono nella sostanza identici, tra BEB e Mornigstar: a 4 anni soltanto un sesto dei portafogli gestiti dai robo-advisors è riuscito a superare il proprio benchmark.

 

risultati-della-societa-beb

 

Morningstar non si è fermata a questo risultato: ha condotto un ulteriore approfondimento, comparando i risultati ottenuti dai robo-advisors anche ad altri riferimenti di mercato. Questo lavoro, che vedremo sotto, secondo Morniongstar ha in parte corretto la conclusione di BEB: ovvero che i robo-advisors avessero fino ad oggi “fallito” nella propria missione. Vediamo insieme i risultati ottenuti da Morningstar. In una seconda tabella, che vi abbiamo già sottoposto la settimana scorsa e che oggi ripresentiamo più sotto, viene esposto il confronto condotto da Morningstar tra i risultati dei robo-advisors, i risultati dei fondi comuni di investimento, e i risultati dei modelli. Questi dati statistici hanno portato Morningstar a concludere come segue:

The overall performance of the robos is similar to mutual funds and models and none of the differences are statistically or economically significant. In other words, when the bogey is changed from the BEB hypothetical benchmark to an actual alternative portfolio, robos no longer appear to “fail” at all; rather they are performing in-line with their peers.

 

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Il nostro lavoro vuole mettere all'attenzione dei lettori il fatto che è possibile leggere i dati di Morningstar da una angolazione leggermente (ma sostanzialmente) diversa: al di là degli slogan commerciali degli uffici marketing, fino ad oggi i dati di performance non supportano la tesi che attraverso i robot, gli algoritmi, e le gestioni sistematiche, l’investitore possa ottenere risultati migliori, rispetto ad una tradizionale GPM e GPF gestita da un umano, oppure attraverso i fondi comuni di investimento. Il giudizio ovviamente non è definitivo, dato che il periodo di osservazione è limitato a soli cinque anni, ma al tempo stesso è già possibile affermare che i miglioramenti non sono immediati, almeno in termini di performance. Se poi spostiamo la nostra attenzione al tema del rischio, il giudizio già oggi può essere espresso in modo definitivo: vi sarà semplice, indagando sul web, verificare che i clienti dei robot in poco più di un mese (nel marzo 2020) si sono visti spazzare via i guadagni di tre anni. Il ribasso dei mercati se lo sono visti accollare per intero al valore del proprio portafogli in titoli, oppure ETF, oppure fondi comuni. Non c’è quindi alcuna protezione dai rischi di mercato, per chi sceglie di affidarsi alle cosiddette “gestioni sistematiche” che affidano  ai robot ed agli algoritmi le scelte di acquisto e di vendita. E questo può essere per i lettori uno spunto di riflessione interessante, visto ciò che ci attende nei prossimi mesi.

 

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