Perché il petrolio (molto) basso fa male alle Borse
Ma il prezzo del petrolio basso non dovrebbe favorire i conti economici delle società grazie alle bollette più leggere? Non è (sempre) così. Ecco perché il crollo del petrolio pesa sulle borse
di Mauro Introzzi 19 feb 2016 ore 16:05Da qualche settimana molti osservatori giustificano giornate particolarmente negative delle borse e molta della loro volatilità citando (spesso insieme ad altri fattori, ma molte volte no) il prezzo del petrolio particolarmente basso. Pensare che i corsi di una materia prima come il greggio possano deprimere il comparto azionario potrebbe però essere controintuitivo. Una bolletta energetica meno pesante non dovrebbe – visti i minori costi – favorire i conti economici delle società? Tendenzialmente sì ma in queste settimane il prezzo del petrolio è così basso che sulle borse vincono altri ragionamenti. Capiamo perché una volta per tutte.
CROLLO DEL PETROLIO, DI SOLITO È POSITIVO
Una riduzione dei prezzi del petrolio è spesso accompagnata da un apprezzamento di molti società (ad esclusione, naturalmente, di quelle petrolifere):
- causa meno costi alle aziende, con positivi riscontri sugli utili,
- sostiene i consumi dei privati, che vanno a risparmiare sul carburante per le proprie autovetture e – in alcuni casi - sui costi di riscaldamento,
- a livello più macroeconomico è favorevole ai paesi “energivori”, ossia che consumano materie prime,
- sempre a livello macroeconomico tiene sotto controllo l’incremento dei prezzi al consumo (ossia dell’inflazione), favorendo anche alcune tipologie di interventi di politica monetaria.
CROLLO DEL PETROLIO, PERCHÉ SPAVENTA LE BORSE
L’attuale crollo del petrolio è invece negativo perché di un’entità tale che più che compensa i benefici effetti di una contrazione meno marcata. I corsi particolarmente depressi:
- hanno colpito in modo rilevante le società energetiche, specie quelle americane e soprattutto quelle attive nell’estrazione dello shale oil (il petrolio di scisto, ossia quello prodotto dai frammenti di rocce di scisto bituminoso). Un’attività che per essere vantaggiosa deve essere giustificata da un prezzo del petrolio di un certo livello. La crisi di questo settore ha messo a rischio default molte di queste società,
- hanno – anche se indirettamente - penalizzato anche il comparto bancario, specie per quanto riguarda gli istituti più esposti verso le società energetiche,
- hanno fatto emergere un rischio paese per alcune nazioni che sul petrolio basano buona parte della loro economia, come Venezuela, Nigeria o Azerbaigian. E messo comunque un difficoltà altre Paesi, come Arabia Saudita, Russia o Canada,
- hanno inciso sulle riserve di alcuni fondi sovrani dei paesi produttori,
- hanno compromesso molte misure di politica monetaria delle banche centrali facendo crollare l’indice dei prezzi al consumo (ossia l’inflazione). Un discorso che vale soprattutto per la Banca Centrale Europea, che ha come primo target quello del mantenimento di questo tasso vicino al 2%.
CROLLO DEL PETROLIO, COME SE NE ESCE
I motivi per cui il petrolio è sceso sono fondamentalmente 2, in stretta correlazione tra loro: il rallentamento della crescita mondiale e la non volontà dei paesi dell’OPEC di tagliare un po’ la produzione. Una mossa che molti vedono come finalizzata a far fallire gli shale oil americani.
Secondo i principali studi internazionali una buona percentuale dei ribassi del petrolio (tra il 65% e il 70%) è da attribuirsi all’offerta. Quindi finché ci sarà sovraproduzione il problema continuerà ad agitare i mercati.