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Ottobre, dicembre o 2016: quando si muoverà la Fed?

La Fed ha deciso di lasciare i tassi invariati a un livello vicino allo zero, lo stesso in cui versano da quasi sette anni. Subito dopo l’annuncio è iniziato il dibattito: quando avverrà, allora, il primo rialzo? I gestori del Gruppo BNY Mellon discutono la decisione del 17 settembre ed evidenziano cosa potrebbe accadere nei mesi a venire

di Redazione Soldionline 22 set 2015 ore 10:39

A cura dei gestori di BNY Mellon

I pareri dei mercati sono divisi circa le tempistiche del primo rialzo dei tassi da parte della Fed. C’è chi ritiene avverrà negli ultimi mesi del 2015, e chi invece prevede un rinvio al 2016.

“I membri della Federal Reserve hanno bisogno di ulteriori dati, soprattutto per quanto riguarda l’occupazione, prima di potersi dire rassicurati circa la crescita dell’economia USA”, commenta Sinead Colton, Head of Investment Strategy di Mellon Capital, società d’investimento del Gruppo BNY Mellon.

tassi_6“La volatilità in Cina, il rafforzamento del dollaro USA e la debolezza delle materie prime: sono queste le principali preoccupazioni che hanno indotto la Fed a mantenere i tassi vicini allo zero”, nota Raman Srivastava, Co-chief Investment Officer di Standish, società d’investimento del Gruppo BNY Mellon. “Il nostro scenario di base resta quello di una stretta monetaria nel 2015, a ottobre o a dicembre, anche se il mercato sembra aver perso fiducia in questa eventualità – il che si riflette nelle valutazioni dei titoli. L’annuncio della Fed sembra indicare che i membri della commissione si aspettino almeno un incremento dei tassi entro la fine dell’anno”.

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Anche secondo Colton è probabile un rialzo a dicembre. La manager di Mellon Capital commenta: “Il tasso di disoccupazione negli USA è migliorato, ma la crescita dei salari resta contenuta e la disoccupazione è ancora alta rispetto alle medie di lungo periodo. Questi ultimi due fattori sollevano dubbi circa l’effettiva ripresa del mercato del lavoro. L’ultima cosa che la Fed vuol fare è rialzare i tassi troppo presto, e cancellare così i progressi compiuti dall’economia nel corso degli ultimi sei anni. Inoltre, il rafforzamento del dollaro equivale de facto a una sorta di misura monetaria restrittiva, e ha già frenato in qualche misura la crescita statunitense. Nondimeno, gli Stati Uniti sono ancora la locomotiva dell’economia globale; qualsiasi indebolimento della valuta americana in seguito all’annuncio della Fed è destinato ad essere solo temporaneo”.

Todd Wakefield, Senior Managing Director presso The Boston Company Asset Management (società del Gruppo BNY Mellon), osserva come il rafforzamento del dollaro sia stato pari al 15% nel corso dell’ultimo anno, su base ponderata per gli scambi. “La Fed vorrebbe rialzare i tassi per avere qualche asso nella manica da giocare in una futura fase di recessione, ma riconosce che il dollaro forte potrebbe già avere gravato sull’andamento dell’economia”. Secondo Wakefield, “Gli investitori non amano l’incertezza: finché la Fed non inizierà a normalizzare i tassi, la volatilità potrebbe continuare ad aumentare”.

Peter Hensman, Global Strategist di Newton, società d’investimento del Gruppo BNY Mellon, ritiene che i tassi di interesse negli Stati Uniti resteranno a livelli bassi ancora per un lungo periodo.
“La Fed ha rimandato più e più volte la data del primo rialzo. Forse lo scenario globale è ancor più difficile di quanto la Federal Reserve stessa non sia disposta ad ammettere. Il rallentamento della crescita in Cina e il calo del prezzo del petrolio possono pesare sull’economia mondiale e prolungare le attuali pressioni deflattive”.

Cliff Corso, North America CEO di Insight Investment (società del Gruppo BNY Mellon) ritiene che, alla luce della recente volatilità, la decisione della Federal Reserve non sia sorprendente. “La Fed ha bisogno di margini di manovra. Sarebbe problematico se una recessione colpisse gli USA quando i tassi sono ancora a zero, e se la Banca Centrale fosse costretta sperimentare nuove misure monetarie non convenzionali. Altrettanto importante è far sì che la curva dei rendimenti si appiattisca prima della stretta monetaria. Ad oggi, infatti, il debito è orientato soprattutto verso scadenze intermedie e lunghe più che a breve termine. Mantenere sotto controllo la parte lunga della curva diviene quindi fondamentale in un ciclo di tassi al rialzo. Sinché i tassi saliranno per le ragioni giuste – ovvero grazie a una ripresa robusta dell’economia e un’inflazione sotto controllo – l’outlook per gli spread sul credito e per le azioni resterà positivo. In cinque dei sei cicli di politiche monetarie restrittive che si sono verificati dal 1988, le classi di attivo più esposte al rischio hanno ottenuto buoni risultati”.

Chris Barris, Managing Director e Global Head of High Yield di Alcentra (società d’investimento del Gruppo BNY Mellon) ritiene che un rialzo dei tassi nel 2015 sia ancora probabile. “La decisione della Fed e i termini in cui è stata espressa sono stati positivi, equilibrati e prudenti. Il credito sub-investment grade e i titoli high yield, storicamente, hanno sempre risposto bene ai primi rialzi dei tassi. Inoltre, anche se la Fed ha ridotto le sue stime per il Pil 2016 rispetto a quelle di giugno, crediamo che le nuove previsioni siano comunque positive per questa asset class”.

Srivastava osserva come la decisione della Fed abbia influenzato maggiormente la parte a breve termine della curva dei rendimenti, che ha registrato un calo. “I mercati sembrano aspettarsi solo due rialzi e mezzo entro la fine del 2016: un processo estremamente graduale. La stabilizzazione della Cina e dei prezzi delle materie prime, così come un indebolimento del dollaro, potrebbero aprire la porta a un inasprimento delle politiche monetarie già quest’anno, a patto però che il trend positivo dell’occupazione prosegua”. Srivastava si dice preoccupato circa le ricadute della decisione della Fed sulle politiche delle altre Banche Centrali. “La vittoria delle “colombe” all’interno della Fed potrebbe spingere la BCE e la Bank of Japan ad adottare politiche monetarie ancor più accomodanti. I due istituti dovranno decidere a breve se procedere lungo questa strada”.

Secondo Corso, la decisione di mantenere i tassi invariati rischia di creare uno scenario di costante incertezza e aumenta la possibilità che la Fed sia sempre più dipendente non solo dai dati macroeconomici degli Stati Uniti, ma da quelli del mondo intero. “Il recente annuncio suscita il timore che la Federal Reserve sia vincolata ai mercati internazionali e possa essere tenuta in ostaggio dall’andamento dei listini azionari. Sinché gli investitori cercheranno di predire le prossime mosse dell’autorità monetaria, la volatilità resterà molto probabilmente a livelli elevati. La Fed dovrà infine decidere se i rischi di lasciare invariati i tassi eccedano quelli legati a un loro rialzo. Crediamo che l’economia USA si stia rapidamente avvicinando al punto in cui i primi eccedono i secondi, sempre che non l’abbia già superato”.

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