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Nouriel Roubini e l’eurozona: per una vera ripresa servono riforme vere

Complice il quantitative easing dalla BCE, l’eurozona vive una (seppur tenue) ripresa economica. Secondo Nouriel Roubini serviranno vere riforme strutturali per renderla robusta

di Marco Delugan 14 apr 2015 ore 12:39

Per una vera ripresa economica dell’eurozona servono riforme vere. Lo sostiene Nouriel Roubini in un articolo dal titolo Has the Eurozone turned the corner? apparso sul sito AGENDA del World Economic Forum. Molti indicatori economici, sostiene Roubini, suggeriscono che la ripresa dell’area euro sia ormai prossima. Diversi fattori hanno contribuito ad avviarla, come il quantitative easing avviato nei mesi scorsi dalla Banca Centrale Europea, ma perché questi primi vagiti di ritrovata vitalità possano davvero irrobustirsi sono necessarie quelle riforme strutturali di cui tanto si parla ma che, secondo l’economista statunitense stanno procedendo con troppa lentezza.

nouriel roubiniGli ultimi dati suggeriscono che la ripresa economica dell’eurozona sia ormai prossima. Cosa sta guidando la crescita? Cosa la ostacola? E cosa può essere fatto per sostenerla?

Le cause immediate della ripresa non sono difficili da individuare. Lo scorso anno l’eurozona è stata vicino a una double dip recession (una recessione a doppia W, dove la W rappresenta l’andamento grafico del prodotto interno lordo, si tratta in sintesi di due recessioni che si susseguono in un breve arco di tempo, ndr).

Quando l’eurozona è entrata in deflazione, la Banca Centrale Europea ha dato avvio ad un piano di stimolo combinando quantitative easing (che comprende anche l’acquisto di titoli del debito sovrano) e di tassi di interesse negativi.

L’impatto finanziario è stato immediato: in previsione del piano e dopo la sua attuazione l’euro ha perso velocemente valore, i rendimenti delle obbligazioni sono scesi a livelli molto bassi sia nella parte centrale dell’eurozona che nella sua periferia e i mercati azionari sono cresciuti molto. Tutto questo, assieme alla flessione del prezzo del petrolio, ha sostenuto la crescita economica.

Anche altri fattori stanno aiutando la ripresa europea. Il QE sta effettivamente sostenendo i prestiti bancari. Il drenaggio fiscale dovuto alle politiche di austerità quest’anno sarà minore, perché la commissione europea sarà più indulgente. Anche l’avvio dell’unione bancaria aiuta; stando agli ultimi stress test e alle ultime analisi patrimoniali, le banche hanno più liquidità e più capitali da prestare al settore privato.

Come risultato di questo insieme di fattori, la crescita economica è tornata e i mercati azionari europei hanno performato meglio di quelli degli Stati Uniti d’America. La debolezza dell’euro e le misure adottate dalla Banaca Centrale Europea potrebbero anche ridurre la pressione deflativa nella parte finale di quest’anno.

Ma una ripresa più forte e sostenuta dovrà far fronte a molte sfide. Per chi si avvia alla ripresa economica ci sono rischi politici che potrebbero far deragliare il processo. La Grecia, si spera, resterà nell’eurozona. Ma il difficile negoziato tra il governo guidato da Syriza e la Troika (la BCE, la Commissione Europea, e il fondo Monetario Internazionale) potrebbero causare un incidente non voluto – chiamiamola “Grexident” – se un accordo sul finanziamento del paese ellenico non fosse raggiunto nelle prossime settimane.

Inoltre, Podemos, un partito di sinistra sul modello di Syriza, potrebbe arrivare al potere in Spagna. I partiti populisti anti-euro di destra e di sinistra stanno sfidando il primo ministro Matteo Renzi. E Marine Le Pen, del partito di destra National Front, gode di ottimi sondaggi in vista delle elezioni presidenziali francesi del 2017.

La creazione di posti di lavoro ancora lenta e una modesta crescita dei redditi potrà continuare a dar forza all’opposizione dei partiti populisti alle politiche di austerità e alle riforme. Anche la Banca Centrale Europea stima che il tasso di disoccupazione dell’eurozona rimanga al 9,9% fino al 2017 compreso, molto oltre il 7,2% medio prima della crisi finanziaria di sette anni fa. E l’affaticamento da austerità e riforme provato nella periferia della zona euro ha fatto il paio con l’affaticamento da salvataggio al centro, gonfiando il supporto per un insieme di partiti anti euro in Germania, Olanda e Finlandia.

Un secondo ostacolo a una ripresa sostenuta sono i vicini dell’eurozona. La Russia sta diventando più decisa e aggressiva in Ucraina, nel baltico e nei balcani (mentre le sanzioni contro la Russia stessa hanno colpito anche molte economie europee). E il Medio Oriente sta bruciando proprio lì accanto: i recenti attacchi terroristici a Parigi e Copenhagen, e contro i turisti stranieri in Tunisia, ricordano all’Europa che centinaia di jihadisti cresciuti in casa possono tornare dalla Siria, dall’Iraq o da altri paesi e lanciare nuovi attacchi.

Terzo, mentre le politiche della BCE spingono verso il basso il costo del credito, il debito pubblico e privato nei paesi periferici, come quota del prodotto interno lordo, è alta e ancora in crescita, perché il denominatore del rapporto debito/PIL – il PIL nominale, appunto – sta a mala pena crescendo. Per questo, la sostenibilità del debito rimarrà una questione spinosa per questi paesi nel medio termine.

Quarto, la politica fiscale rimane recessiva, perché la Germania continua a rifiutare un coro crescente di opinioni che sostengono l’attuazione di stimoli di breve periodo. Per questo, una maggiore spesa tedesca non compenserà l’impatto di ulteriori politiche di austerità alla periferia o la significativa flessione attesa per il piano di investimento triennale da 300 miliardi di euro svelata dal Presidente della commissione europea Jean-Claude Junker.

Quinto, le riforme strutturali stanno procedendo a passo di lumaca frenando la crescita economica. E, mentre sono necessarie riforme strutturali, alcune misure – come ad esempio la liberalizzazione del mercato del lavoro e la revisione del sistema pensionistico – possono spingere verso l’alto il tasso di risparmio e quindi indebolire ulteriormente la domanda aggregata (come è accaduto in Germania dopo la realizzazione di riforme strutturali una decade fa).

E per concludere, l’unità monetaria europea rimane incompleta. La sua sopravvivenza nel lungo periodo richiede lo sviluppo di una piena unione bancaria, di un’unione fiscale, di un’unione economica e alla fine di un’unione politica. Ma il processo per una maggiore unione europea è in fase di stallo.

Nell’eurozona, il tasso di disoccupazione resterà alto fino alla fine del 2016, l’inflazione annuale è ancora molto al di sotto dell’obbiettivo della BCE (+2,0%), e le politiche fiscali e le riforme strutturali hanno un effetto negativo di breve periodo sulla crescita economica, così che l’unica possibilità rimane il quantitative easing. Ma la perdurante debolezza dell’euro – alimentata da queste politiche – sta alimentando la crescita del surplus delle partite correnti dell’eurozona.

In realtà, mentre l’euro si indebolisce, la bilancia commerciale dei paesi periferici è passata dal deficit all’equilibrio e, un po’ alla volta, è passata in attivo. La Germania e gli altri paesi centrali avevano già da tempo una bilancia commerciale in ampio attivo; in assenza di politiche di crescita per la domanda interna, questi attivi sono semplicemente cresciuti ancora. Per questo, la politica monetaria della BCE sarà sempre più “beggar-thy-neighbor” (favorevole al solo Paese che la adotta, ndr), portando a tensioni commerciali e valutarie con gli Stati Uniti e altri partner commerciali.

Per evitare questa conclusione, la Germania ha bisogno di adottare politiche – stimolo fiscale, maggiori spese in infrastrutture e investimenti pubblici, e una più rapida crescita degli stipendi – che dovrebbero spingere la spesa domestica e ridurre il surplus verso l’estero. A meno che, e fino a quando, la Germania non si muoverà in questa direzione, nessuno dovrebbe scommettere tutto su una più robusta e sostenuta ripresa economica dell’eurozona.

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