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Lira e bond Turchia: chi ha vinto e chi ha perso

Non tutti hanno perso dopo il precipizio in cui sono cadute la valuta di Ankara e le relative obbligazioni. A patto di adottare una strategia attiva. Ecco quale

di LombardReport .com 14 ago 2018 ore 10:45

Di Lorenzo Raffo, LombardReport.com

 

La narrazione di questi giorni induce molti media a descrivere il crollo della lira turca come una vicenda irreversibile e dispensatrice solo di sconforto per (forse) decine di migliaia di investitori – descritti come speculatori – sui relativi bond. Una fotografia più distaccata della vicenda, che soltanto noi possiamo avere, presenta un’immagine in realtà differente, tale da costituire una specie di back test per chi opera con questi strumenti. Non tutti hanno perso dopo il precipizio in cui sono cadute la valuta di Ankara e le relative obbligazioni. Cominciamo però da chi ha indiscutibilmente bruciato capitale.

 

bandiera-turchiaI perdenti – Sono coloro che hanno scelto di entrare negli anni scorsi o in un recente passato senza alcun supporto dell’analisi tecnica. Dal 2000 circa la divisa di Ankara è soggetta a una pressione ribassista senza tregua, che già solo le semplici medie mobili lunghe (a 100 e 200 sedute) hanno segnalato in maniera chiara. Dal 2015 il fenomeno si è accentuato e qualsiasi speranza – perché tale era – di un’inversione non si basava su alcun ausilio tecnico. Certamente le cedole promesse risultavano iper attraenti ma solo sulla carta, poiché il continuo storno della lira sull’euro le ha decurtate, trasformandole in quasi rendimenti da Bce. Chi ha perso ha quindi sbagliato scommettendo in una direzione smentita totalmente dai grafici.

I vincenti – Potremmo definirli forse in maniera più prudenziale i “non perdenti”. Chi ha deciso di adottare una strategia molto mirata oggi non si lecca le ferite, il che vale anche per molte altre valute. In cosa è consistito?

  1. Nell’investire sulla moneta un importo di cui si era sicuri di non avere la necessità nel medio/lungo periodo, ovvero una quota parte del proprio capitale, con un importo minimo equivalente a 15.000/20.000 euro.
  2. Nell’apertura di un conto in valuta, che alcune banche e sim rendono disponibile. E’ una tappa imprescindibile. Taluni investitori vi si oppongono considerandola un’opzione accessoria e – se possibile – da evitare. Invece proprio il caso turco ha dimostrato il perché della sua insostituibile validità. Il capitale investito è rimasto infatti correlato al cambio inziale e a esso si riferiscono le cedole via via incassate.
  3. Nell’acquistare i bond in lire turche di emittenti sovranazionali prive di rischio di credito, con quotazioni più basse possibili, il che significa quasi sempre più lunghe possibili.
  4. Nel traslare, con il passare del tempo e in presenza di accentuata debolezza della valuta, che si traduce in adeguamenti di politica monetaria e quindi in cali delle quotazioni dei bond, in nuove emissioni dalle cedole più elevate o in quelle che abbiamo patito per ulteriori maggiori cali delle quotazioni.
  5. Nel reinvestire le cedole incassate adottando la stessa strategia del punto 4.

Il risultato? I prezzi medi di carico si sono nel tempo abbassati e in misura significativa, comportando al momento del rimborso plusvalenze di tutto rilievo, riferite continuativamente al cambio iniziale. Il tutto con cedole sempre maggiori: nel caso della lira turca si è passati in poco tempo dall’8-9% al 17-18%.


L’esperienza dimostra non solo che il capitale investito (in lire turche) è aumentato in percentuale rilevante ma soprattutto che l’incasso delle cedole non è stato ghigliottinato da un cambio crollato a rotta di collo.

 

Naturalmente i critici diranno: “e che me ne faccio di un capitale immobilizzato, sebbene in forte crescita, in lire turche? Non ci compro il pane!”. Certamente è così, L’abbiamo detto; quest’operazione vale solo per una minima quota parte di capitale da detenere nel lungo periodo. La lira turca un giorno o l’altro tornerà su valori più decenti e allora si potrà eventualmente convertire il tutto nella nostra divisa. Con una quasi certezza: i 15.000/20.000 euro inziali saranno cresciuti e di molto, certamente parecchio di più rispetto a quanto non avranno garantito i cadaverici tassi di interesse della Bce.

Il nostro è stato solo un esercizio teorico? Ognuno ha il diritto di pensarla come meglio crede, così come di essere convinto che i conti in valuta non servano a nulla. I numeri dicono esattamente l’opposto. Certo è che se la stessa strategia venisse adottata con il supporto anche delle medie mobili – di cui si diceva all’inizio – l’effetto sarebbe dirompente. Un esempio? Il dollaro Usa, che se gestito alla maniera descritta, potrebbe farvi salutare “con tanto rispetto” l’euro e i suoi micro rendimenti.

 

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