Liquidità che svanisce
L’accumulo di riserve delle banche centrali, dovuto al tentativo di contrastare la debolezza del dollaro, negli anni 2010-2014, ha svolto una funzione fondamentale nel tenere elevate la liquidità globale e nell’assicurare domesticamente ampia disponibilità di dollari
di Redazione Soldionline 29 set 2015 ore 14:09A cura di Alessandro Balsotti, Senior portfolio manager di JCI Capital Limited
Il Quantitative Easing della Fed non è facilmente rimpiazzabile da quello di altre banche centrali (indipendentemente dalle quantità). Spesso si è sentito dire che la fine del programma di acquisti della Federal Reserve sarebbe stata indolore perché in qualche modo rimpiazzata dal potenziamento degli acquisti da parte della BOJ e dal nascente QE dell’ECB. Questa sostituzione ha però inevitabili effetti collaterali che rendono il mondo meno ‘liquido’. La sostanziale forza dollaro derivata da queste dinamiche (di cui abbiamo avuto un’anticipazione contro yen già nel 2014) ha indubbiamente un effetto di tightening sulla liquidità globale, in un mondo dove i livelli di debito in dollari sono aumentati negli anni post crisi. Come ulteriore corollario c’è l’effetto deflattivo che la forza del dollaro ha nel comparto materie prime dove la discesa dei prezzi sta avendo un effetto di amplificatore in queste forze strutturali che sottraggono liquidità al sistema (crisi delle economie emergenti, stallo nella crescita del commercio mondiale, improduttività degli investimenti nel settore minerario ed energetico).
Le difficoltà dei paesi emergenti e la forza del dollaro sono poi all’origine di un’altra secolare inversione di trend. L’accumulo di riserve delle banche centrali, dovuto al tentativo di contrastare la debolezza del dollaro, negli anni 2010-2014, ha svolto una funzione fondamentale nel tenere elevate la liquidità globale e nell’assicurare domesticamente ampia disponibilità di dollari. Da qualche mese questo accumulo si è trasformato in riduzione. Servono dollari per limitare il panico (e fughe di capitali incontrollate) di fronte al violento indebolimento delle proprie valute. Ai paesi produttori di petrolio che vogliono mantenere gli elevati livelli di spesa fiscale (o finanziare guerre, vedi i sauditi in Yemen) serve monetizzare le riserve. Che si tratti della Cina che deve vendere Treasuries o dei paesi del Golfo che liquidano le loro quote nei grandi fondi di investimenti (notizia del w/e che l’Arabia Saudita abbia disinvestito 70 miliardi di dollari negli ultimi mesi dai grandi nomi dell’asset management anglosassone) l’effetto appartiene alla stessa famiglia: liquidità globale in diminuzione (“Quantitative Tightening” come è stato brillantemente battezzato dagli strategist di Deutsche Bank).
In questo scenario il fatto che il mercato sia tornato a reagire in maniera diretta ai dati economici (i.e. dato buono, positivo per i mercati) dopo tanti anni di ‘tanto peggio, tanto meglio’ (i.e. dato negativo supporta I mercati perché rende più proattive le banche centrali) è assolutamente coerente. Coerentemente inoltre, dovremo continuare a guardare a come evolve la crescita mondiale e, presumibilmente, l’azione fiscale tornerà ad essere più importante di quella monetaria che sembra arrivata ai limiti della sua efficacia.
Un'altra riflessione riguarda il mondo delle obbligazioni corporate. Proprio grazie all’abbondante liquidità e alle percentuali risibili di default aziendali (due fatti evidentemente correlati) questo comparto e’ rimasto inossidabile nel corso dei trimestri anche quando gli indici azionari subivano correzioni violente, con l’eccezione di segmenti limitati come l’High Yield US (concentrato nel mondo dello shale oil) o qualche situazione circoscritta nei mercati emergenti. Ora, con i portafogli spesso carichi di questa asset class così resistente e l’incapacità dei market-maker di assorbire eventuali vendite ai minimi storici per motivi regolamentari, il contagio sembra possibile.