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Le indicazioni di FED e BCE

I verbali della riunione del FOMC di dicembre rivelano fiducia nella solidità della ripresa americana, insieme a preoccupazione per la debolezza della congiuntura internazionale

di Redazione Soldionline 12 gen 2015 ore 12:30

A cura di Intesa Sanpaolo S.p.A.

Fed
- Un periodo di deflazione temporanea non sarà un deterrente per la svolta dei tassi. I verbali segnalano che se il mercato del lavoro continuerà a migliorare, il FOMC potrebbe alzare i tassi anche in una fase di inflazione headline lontana dall’obiettivo, purché l’inflazione core sia vicina ai livelli attuali e ci siano previsioni di ritorno dell’inflazione headline verso il 2%.

BCE - Il fatto che nelle elezioni greche uno dei partiti più importanti parli esplicitamente di ristrutturazione del debito, complica la definizione di nuove misure di stimolo.

fed_2I verbali della riunione del FOMC di dicembre rivelano fiducia nella solidità della ripresa americana, insieme a preoccupazione per la debolezza della congiuntura internazionale. I verbali sottolineano gli effetti negativi derivanti dall’economia globale, che è la principale fonte di rischi verso il basso per gli USA. La valutazione dello scenario domestico è chiaramente positiva, con una crescita prevista al di sopra del potenziale fino almeno al 2017. “I partecipanti” (con un diffuso consenso) prevedono che la riduzione delle risorse inutilizzate nel mercato del lavoro prosegua a un ritmo moderato. Per quanto riguarda l’inflazione, la dinamica dei prezzi al di sotto dell’obiettivo non preoccupa il FOMC, che considera il fenomeno temporaneo e lo attribuisce al calo dei prezzi energetici e di quelli all’import, e mantiene la previsione di ritorno graduale dell’inflazione verso il 2%. Vi è ampio consenso sul fatto che il calo del prezzo del petrolio sia un elemento positivo per crescita e occupazione. Una novità importante riguarda il nuovo focus sull’inflazione core. Il FOMC rileva infatti che l'inflazione potrebbe temporaneamente passare in territorio negativo, ma segnala che la svolta sui tassi potrebbe avvenire con livelli di inflazione core vicini a quelli attuali, purché in presenza di aspettative di un successivo ritorno dell'inflazione verso il 2%. Il riferimento all'inflazione core come misura di prezzi rilevante per valutare l'opportunità di attuare la svolta sui tassi è un importante "paletto" per lo scenario di policy, alla vigilia del molto probabile passaggio dell'inflazione headline in territorio negativo nel corso del 1° trimestre. I verbali riportano che il rialzo dei tassi probabilmente non avverrà prima di almeno un paio di riunioni, come aveva anche affermato Yellen nella conferenza stampa, ma ribadiscono ancora che la tempistica del primo rialzo rimane determinata dall'evoluzione dei dati. In conclusione, i verbali indicano che un periodo transitorio di deflazione non sarà un deterrente per la svolta sui tassi se i dati confermeranno il proseguimento della ripresa a ritmi moderati. Pertanto, viene rafforzata l'aspettativa di un primo rialzo intorno a metà anno: manteniamo la previsione che la svolta dei tassi avvenga entro metà 2015.

Nell’Eurozona, le interviste di Praet e Draghi hanno rafforzato le aspettative che il Consiglio possa annunciare novità importanti già alla riunione del 22 gennaio, per quanto l’intervista di Praet abbia segnalato l’esistenza di molte questioni ancora irrisolte. A tale riguardo, sarà interessante verificare nei prossimi giorni se il tono delle dichiarazioni successive alla riunione di giovedì 8 è mutato. Certo è che la crisi politica in Grecia non agevola il compito della BCE. Da una parte, infatti, si potrebbe argomentare che la turbolenza finanziaria causata dalle elezioni anticipate rende ancora più utile l’avvio di un programma di acquisto di titoli di Stato nell’Eurozona: la sola possibilità di acquisti, ritenuta molto elevata dai mercati, ha contribuito a smorzare la reazione dei mercati obbligazionari a fronte di una crisi politica potenzialmente molto pericolosa. D’altro canto, però, la prospettiva che le elezioni siano vinte da un partito che propugna la ristrutturazione del debito complica la definizione degli aspetti operativi. Da una parte, la BCE potrebbe ritrovarsi in bilancio debito pubblico non più riconosciuto dall’emittente. Dall’altra, il mancato raggiungimento di un accordo sulla gestione finanziaria post-programma obbligherebbe l’Eurosistema a riconsiderare l’accesso delle banche greche al rifinanziamento presso la Banca centrale, che a novembre contava per il 13,8% delle passività totali, e potrebbe perciò rendere inevitabile per la Grecia l’uscita dall’Unione monetaria. Questa eventualità dovrà essere considerata nel disegno del programma, o escludendo la Grecia dagli acquisti, o includendo dei correttivi che limitino il rischio per le altre banche centrali nazionali.

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