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La politica è la più grande incognita sulla via della ripresa della Zona Euro

L’acronimo “PIIGS”, spesso utilizzato dopo lo scoppio della crisi del debito europeo per designare i paesi a rischio Portogallo, Italia, Irlanda, Grecia e Spagna, non è più appropriato

di Redazione Soldionline 3 giu 2015 ore 11:48

A cura di Christophe Bernard, Chief Strategist di Vontobel

L’acronimo “PIIGS”, spesso utilizzato dopo lo scoppio della crisi del debito europeo per designare i paesi a rischio Portogallo, Italia, Irlanda, Grecia e Spagna, non è più appropriato: questi paesi (ad eccezione della Grecia) sono riusciti a invertire la rotta grazie a solide politiche economiche e di bilancio e con l’aiuto della Banca centrale europea (BCE). Il raggio d’azione di “Francoforte” ha però dei limiti: in ultima istanza tutto dipende dalla politica.

Quasi tre anni fa, Mario Draghi tenne il suo famoso discorso in cui si dichiarò disposto a “fare tutto il necessario” per sostenere la moneta unica. Le parole del presidente della BCE riuscirono a calmare i mercati finanziari e segnarono l’inizio di un’inarrestabile tendenza al ribasso dei rendimenti dei titoli di Stato e di un restringimento degli spread tra le obbligazioni dei paesi cosiddetti “periferici” dell’eurozona e i paesi “core” come la Germania. Le recenti manovre della BCE a sostegno dell’economia europea hanno prodotto gli stessi effetti. Il suo programma di acquisto di obbligazioni per 60 miliardi di euro al mese, a partire dal marzo 2015 fino almeno al settembre 2016, ha spinto addirittura alcuni rendimenti obbligazionari in territorio negativo (vedi grafico 1).

Grafico 1: Chiara tendenza al ribasso dei rendimenti obbligazionari nell’eurozona (in percentuale)
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I costi di rifinanziamento estremamente bassi contribuiscono ovviamente alla ripresa dell’economia dell’eurozona o, quantomeno, lasciano più tempo ai paesi per affrontare le due variabili che influenzano le finanze pubbliche, ovvero il saldo primario e il prodotto interno lordo (PIL). Il saldo primario – il surplus di bilancio prima del pagamento degli interessi sul debito pubblico – è un fattore importante per abbassare il rapporto debito-PIL al livello del 60 percento. Questo tetto massimo è stato fissato nel 1992 dai paesi dell’Unione Europea nel Trattato di Maastricht. Nel 2012 il Patto fiscale ha precisato che questo obiettivo dovrà essere raggiunto entro i prossimi 20 anni. Tra i paesi con un livello debito-PIL superiore al 70 percento, solo la Germania e l’Irlanda sono sulla strada giusta per raggiungerlo.

Successo della Spagna là dove la Francia ha fallito
Dal punto di vista politico, generare un ampio saldo primario è tuttavia un’impresa ardua, perché richiede un freno della spesa pubblica e/o un aumento delle imposte. La variabile preferibile in questa equazione è una crescita tendenziale elevata. Per conseguire un successo su questo fronte, i politici devono avere però il coraggio di attuare riforme strutturali e ledere interessi particolari, il che mette in pericolo la propria rielezione. Per questo motivo, molti governi sono riluttanti a guardare al di là del calendario elettorale e ad affrontare i problemi attuali. La Francia, per esempio, ha scelto la via più comoda per uscire dal dilemma: per arginare il deficit di bilancio il governo preferisce alzare pesantemente le tasse piuttosto che premere sulle riforme del mercato del lavoro o dei prodotti. I problemi strutturali del paese rimangono così irrisolti, anche se la combinazione di euro debole, interessi ai minimi storici e prezzi del petrolio depressi favoriranno a breve termine un aumento del PIL francese.

Ben diversa è la situazione in Irlanda, Portogallo e Spagna. I governi di questi paesi non hanno avuto altra scelta che realizzare dei programmi di austerity e riforme, che hanno permesso di riequilibrare la bilancia delle partite correnti e i deficit di bilancio, promuovendo al contempo la competitività della propria economia. Finora il risultato è positivo. L’economia spagnola, per esempio, dovrebbe crescere di quasi il 3 percento nel corso di quest’anno, mentre negli ultimi 18 mesi sono stati creati quasi mezzo milione di nuovi posti di lavoro. L’Italia, rimasta a lungo nella morsa della sovra-regolamentazione e della paralisi politica, ha compiuto dei progressi sul piano della liberalizzazione del mercato del lavoro. Inoltre ha avviato una riforma cruciale della legge elettorale, che consentirà maggioranze di governo più stabili.

La Grecia, ottimo esempio di rischi politici
La Grecia è giunta a un importante bivio, non avendo più fondi sufficienti per rimborsare il suo prestito al Fondo monetario internazionale in giugno. La dottrina del partito di governo Syriza in materia di spesa pubblica e riforme del lavoro e delle pensioni è in contraddizione con la sostenibilità a medio termine delle sue finanze pubbliche, almeno agli occhi dei suoi creditori. L’incertezza sul destino della Grecia all’interno dell’eurozona mostra che la politica rimane il maggiore rischio per l’Unione monetaria europea. L’impegno della BCE “a fare tutto il necessario” per preservare la moneta europea potrà essere efficace solo finché il paese in questione decida di restare nell’eurozona. In questo senso, le elezioni generali spagnole del novembre 2015 fungeranno da spartiacque: se il Partito popolare del primo ministro Mariano Rajoy, che ha al suo attivo notevoli successi economici, uscirà o meno vincitore è tuttora un’incognita. Il sostegno popolare ottenuto alle recenti elezioni regionali e comunali da Podemos e Ciudadanos, due partiti di protesta che non esistevano fino a qualche anno fa, mostra che il paesaggio politico spagnolo sta diventando sempre più frammentato. I giorni del bipolarismo, che ha garantito la stabilità politica in Spagna negli ultimi 35 anni, potrebbero essere contati (vedi grafico 2).

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Maggiore esposizione nelle azioni

In generale, i mercati finanziari mondiali continuano a godere di un clima favorevole: l’economia statunitense ha perso un po’ di velocità a causa della forza del dollaro e del collasso degli investimenti legati all’energia – una debolezza che potrebbe protrarsi anche nel secondo trimestre. Ciò permetterebbe alla Federal Reserve americana di prendersi tutto il tempo necessario prima di stringere le redini monetarie. Allo stesso tempo, la Bank of Japan, la BCE e la People’s Bank of China proseguono le loro politiche accomodanti, continuando a iniettare liquidità su scala mondiale. Noi abbiamo sfruttato il recente consolidamento per aumentare la nostra esposizione sui mercati azionari, soprattutto in America. Dall’inizio dell’anno, le azioni USA sono rimaste indietro rispetto alle controparti, nonostante utili societari migliori del previsto. Manteniamo invece il nostro sottopeso nei titoli di Stato “sicuri”: malgrado il recente rialzo dei rendimenti non individuiamo infatti un grande valore nelle obbligazioni governative.

Grafico 2: successo dei partiti di protesta spagnoli Podemos e Ciudadanos alle elezioni regionali (percentuale dei voti)

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