La FED rimanda i mercati a settembre
Secondo UBI Pramerica SGR un rialzo dei tassi appare più probabile a settembre che fra giugno e luglio; se comunque dovesse verificarsi, questo sarebbe un segnale di fiducia circa la solidità del ciclo
di Redazione Soldionline 30 mag 2016 ore 11:15A cura di Emilio Franco, CFA, Vice Direttore Generale e Responsabile Investimenti UBI Pramerica SGR
La crescita appare tendenzialmente in linea con i trend potenziali che sono più bassi di quelli storici, perché riflettono gli andamenti demografici negativi e la bassa crescita della produttività. Negli USA, a differenza del 2014-2015, la debolezza della prima parte dell’anno non è da imputare ad eventi esogeni, come le condizioni climatiche, ma va ricondotta a una dinamica dei consumi più contenuta, meno finanziata dal debito.
Per quanto riguarda l’inflazione, negli USA la dinamica si sta gradualmente muovendo verso l’obiettivo del 2% grazie a:
· Maturità del ciclo e significativo riassorbimento dell’output gap.
· Effetto base derivante dal rialzo delle commodity dai minimi degli ultimi trimestri.
Sul fronte della politica monetaria, secondo le nostre valutazioni, un rialzo dei tassi appare più probabile a settembre che fra giugno e luglio; se comunque dovesse verificarsi, questo sarebbe un segnale di fiducia circa la solidità del ciclo e la prova che i rischi di un restringimento delle condizioni finanziarie a livello globale sono più contenuti.
Nell’Eurozona la crescita dovrebbe continuare su una traiettoria fra l’1,5-2%. Il driver principale della crescita è la domanda interna, anche in Paesi come la Germania, e l’attività creditizia delle banche mostra una positiva ripartenza.
In Cina la crescita attuale è intorno all’obiettivo ufficiale del 6,5-7%. La ri-accelerazione è da ricondurre alla politica economica; qualità e sostenibilità di tale accelerazione non appaiono ottimali, ma per i prossimi 2/3 trimestri non dovrebbero esserci sorprese negative.
La stagionalità e i rischi di breve e di lungo termine portano gli investitori a un posizionamento cauto; il livello della liquidità in portafoglio è elevato, nonostante il rendimento quasi nullo di questa asset class.
I maggiori rischi di breve termine sono:
* Il referendum sulla Brexit;
* Il riprezzamento delle azioni della FED;
* La governance dell’area Euro;
I maggiori rischi di lungo termine sono:
* La bassa velocità di crociera dell’economia globale, vulnerabile a eventuali shock negativi;
* Le politiche monetarie già ampiamente sviluppate e la cui efficacia è messa in dubbio dagli investitori;
* La maturità avanzata del ciclo economico americano, nonostante non siano visibili eccessi capaci di provocarne la fine.
Considerato che i rischi sopra esposti sono ben prezzati dal mercato, qualora la Brexit non dovesse verificarsi, potremmo assistere a un riposizionamento anche importante degli investitori sugli asset maggiormente rischiosi.
Rimaniamo favorevoli agli investimenti a rischio e quindi a quelli nei mercati azionari e, a favore di questi ultimi, nel prossimo futuro potrebbero intervenire revisioni al rialzo degli utili aziendali, verosimilmente sostenuti dalla stabilizzazione del prezzo del petrolio, cioè da quella variabile che negli ultimi 18 mesi li aveva, invece, penalizzati. Tra le aree geografiche, restiamo favorevoli a quelle che hanno sottoperformato e dove le Banche Centrali rimangono di sostegno, come l’area Euro e il Giappone. Per l’obbligazionario il contesto continua a suggerire un posizionamento corto di duration sui mercati governativi core, mentre l’azione della BCE continua a sostenere i mercati periferici. Il quadro è molto favorevole al mercato corporate e in area Euro l’effetto positivo degli acquisti della BCE, anche se concentrati sulla parte Investment Grade, sarà positivo anche sulla parte High Yield. Per quanto riguarda la parte valutaria la dinamica di lungo termine del Dollaro dovrebbe essere di apprezzamento, superata la fase attuale di stabilità necessaria per l’equilibrio dei mercati.