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Italia, la ripresa si fa più “tangibile”

La nostra stima per la crescita media del PIL italiano nel 2015 passa a 0,8% da 0,6%, per effetto della revisione Istat sui dati del primo semestre. Manteniamo per il momento una previsione relativamente prudente, 1,2%, per il 2016.

di Redazione Soldionline 9 set 2015 ore 10:07

A cura di Intesa Sanpaolo S.p.A.

- La nostra stima per la crescita media del PIL italiano nel 2015 passa a 0,8% da 0,6%, per effetto della revisione Istat sui dati del primo semestre. Manteniamo per il momento una previsione relativamente prudente, 1,2%, per il 2016.

- La buona notizia è che la ripresa, partita sulla spinta dei fattori “esogeni” che da quasi un anno soffiano in direzione favorevole (petrolio, cambio, effetti del QE), viene ora dalla domanda interna e sembra in grado di autosostenersi, tanto più se continueranno i progressi sul fronte occupazionale.

- Confermiamo l’idea che l’economia italiana possa mantenere la velocità di crociera vista nel trimestre primaverile (0,3% t/t) per l’orizzonte prevedibile. Infatti, se non vediamo motivi per una significativa accelerazione, d’altro canto i rischi ancora gravanti sullo scenario (soprattutto dal rallentamento dei Paesi emergenti) non ci sembrano in grado di far deragliare la ripresa in corso.

italy8La recente revisione dei dati di contabilità nazionale comunicata dall’Istat alza la nostra stima sul PIL medio annuo 2015 di due decimi.
Infatti, la crescita “acquisita” per l’anno in corso (ipotizzando cioè, assai pessimisticamente, una stagnazione nel 2° semestre) sale a 0,6% (da 0,4% precedente). Assumendo (come nel nostro scenario centrale) uno 0,3% t/t nei restanti trimestri dell’anno, si ottiene una previsione di 0,8% (da una precedente stima di 0,6%). La nuova previsione è superiore a quella inserita dal Governo nel DEF e alla stima di consenso di agosto (entrambe a 0,7%). Per l’anno prossimo, manteniamo per il momento una previsione relativamente prudente di 1,2%, in linea con il consenso ma al di sotto dell’obiettivo governativo, a 1,4%.

In effetti, la seconda lettura dei dati di contabilità nazionale ha rivisto al rialzo la stima preliminare sul PIL, a 0,3% da 0,2% t/t nel 2° trimestre 2015 e a 0,4% da 0,3% t/t nel 1° trimestre (dopo la stagnazione di fine 2014). Di conseguenza, la variazione annua è stata rivista verso l’alto a +0,7% da +0,5% della prima stima (e da +0,2% a/a di inizio anno): si tratta del massimo da 4 anni.

Il dettaglio delle componenti non è risultato particolarmente sorprendente:

1) i consumi delle famiglie sono cresciuti di +0,4% t/t (dopo essere calati a sorpresa a inizio anno): si tratta di un record da quasi 5 anni, spiegato soprattutto dai consumi di beni durevoli (+3,3% t/t, un massimo dal 2009), la componente che maggiormente può beneficiare del basso livello dei tassi di interesse;

2) gli investimenti totali sono calati di -0,3% t/t (dopo il balzo di +1,2% t/t precedente), per via della prevedibile correzione delle costruzioni (-0,8% t/t, in linea con i dati sulla produzione nel settore, dopo il +0,3% precedente, primo aumento in 5 anni) e degli investimenti in mezzi di trasporto (-2,7% t/t, dopo il balzo anomalo di +25,3% visto nel 1° trimestre; peraltro, si tratta di una componente molto volatile e dal peso ridotto, pari a circa il 5% degli investimenti totali e meno dell’1% del PIL); al contrario, la spesa delle aziende in macchinari e attrezzature (anche in questo caso non sorprendentemente) è rimbalzata di +0,6% t/t dopo il calo a sorpresa di -0,9% visto a inizio 2015;

3) la spesa pubblica è scesa (per la prima volta da un anno), di -0,2% t/t (da +0,1% precedente);

4) gli scambi con l’estero hanno dato per il secondo trimestre consecutivo un contributo negativo al PIL (-0,2% t/t, dopo il -0,3% d’inizio anno); confortante comunque che siano cresciuti entrambi i flussi commerciali (l’import è aumentato di 2,2% t/t, contro l’1,2% dell’export);

5) speculare al contributo del commercio estero è quello delle scorte, che per il secondo trimestre consecutivo è risultato molto positivo (+0,4%, dopo il +0,5% d’inizio anno); in pratica, al netto del contributo dei magazzini il PIL sarebbe risultato negativo; tuttavia, in questa fase il contributo delle scorte appare speculare a quello delle esportazioni nette, pertanto le due componenti si compensano quanto agli effetti sull’attività economica generale (con un saldo netto lievemente positivo).

Peraltro, il dettaglio delle componenti del PIL non è interamente rassicurante, in quanto mostra che:

1)
il contributo dalle scorte (che sono una componente residuale) è risultato decisivo per il secondo trimestre consecutivo. D’altra parte, come detto, esso è speculare a quello degli scambi con l’estero, dunque nei prossimi trimestri ci aspettiamo una crescita stabile a 0,3% t/t ma con una diversa composizione (contributo positivo dal commercio estero e negativo dalle scorte);

2) lo stesso export, pur in accelerazione da inizio anno, sta mostrando un’elasticità allo shock favorevole sul tasso di cambio inferiore a quella che ci si sarebbe potuti attendere sulla base dei modelli econometrici;

3) la domanda domestica finale è cresciuta a un ritmo di appena 0,1% t/t nell’ultimo anno; se il rimbalzo dei consumi è coerente con la ripresa in corso del reddito disponibile delle famiglie (e l’incipiente schiarita sul mercato del lavoro), la dinamica degli investimenti delle aziende appare ancora relativamente debole rispetto a quella che nell’ultimo anno è stata l’entità degli shock positivi sull’economia (da tasso di cambio, prezzo del petrolio, effetti del QE).

In sintesi, il dato, se da un lato implica una revisione al rialzo della stima sulla crescita media annua del PIL, d’altro canto conferma che la ripresa è ancora modesta e fragile. Manteniamo l’idea che il PIL possa crescere di 0,3% t/t nell’orizzonte prevedibile: se non vediamo motivi significativi per una apprezzabile accelerazione dell’attività economica, d’altra parte le incognite soprattutto sul quadro internazionale non sono a nostro avviso almeno per il momento sufficienti per innescare un significativo rallentamento (l’export verso la Cina vale il 2,5% del totale e meno dell’1% del PIL; è pur vero che le esportazioni “indirette” verso Pechino sono più alte perché “passano attraverso” altri nostri partner commerciali come la Germania, che dirige il 5,8% del suo export verso il colosso asiatico). Anche sulla base dei rischi ancora gravanti sullo scenario, manteniamo per il momento una previsione di 1,2% sul PIL 2016, in attesa di maggiori dettagli sull’evoluzione della politica fiscale l’anno prossimo.

Un tassello importante affinché la ripresa sia in grado di autosostenersi è il fatto che inneschi un diffuso miglioramento sul mercato del lavoro. Anche in tal senso, i segnali recenti sono incoraggianti: in base ai dati provvisori mensili, il tasso di disoccupazione è sceso assai più del previsto a luglio, al 12% dal 12,5% di giugno (rivisto al ribasso da 12,7% della stima preliminare). Per trovare un livello più basso occorre risalire al marzo 2013. La nostra stima era per un calo della disoccupazione (mentre le aspettative di consenso erano per una stabilità), ma la discesa è stata decisamente più marcata del previsto.

Il calo del tasso dei senza-lavoro è dovuto non solo all’aumento degli occupati (+44 mila ovvero +0,2% m/m), in particolare di genere maschile, ma anche alla contrazione delle forze di lavoro (-99 mila ovvero -0,4% m/m). Infatti, dopo il trend al ribasso che aveva caratterizzato i mesi precedenti, sono tornati a crescere gli inattivi (+99 mila unità, +0,7% m/m), in particolare tra le donne.

Confortante anche il calo della disoccupazione giovanile, al 40,5% dal 43,1% precedente (si trattava di un record storico). Resta un valore elevatissimo (inferiore, nell’Eurozona, solo a quelli di Grecia e Spagna), ma si tratta di un minimo degli ultimi due anni.

L’indagine sulle forze di lavoro ha mostrato che nel 2° trimestre 2015 il tasso di disoccupazione (in termini destagionalizzati) è salito lievemente, al 12,4% dal 12,3% di inizio anno (rivisto al ribasso dal 12,4% della stima precedente). Gli occupati risultano in crescita di +0,8% su base annua (in accelerazione da +0,6% del 1° trimestre), anche se ancora una volta la ripresa è trainata dai lavoratori più anziani (+5,8% per gli ultra 50enni) a fronte di un’ulteriore flessione per quelli più giovani (-2,2% fino a 34 anni e -1,1% nella fascia d’età 35-49 anni).
La tendenza annua è stabile nell’industria e positiva per i servizi (+0,8% a/a); particolarmente incoraggiante il recupero nelle costruzioni (+2,3% a/a), il primo dopo 19 trimestri consecutivi di calo.

Nel 2° trimestre, se continua la crescita del part-time (in oltre il 70% dei casi, involontario) e dei dipendenti a termine, aumenta per il secondo trimestre consecutivo anche il numero di lavoratori a tempo pieno (+0,8% a/a ovvero +139 mila unità) e a tempo indeterminato (+0,7% a/a ovvero +106 mila unità).
Incoraggiante che la ripresa dell’occupazione sia trainata dal Mezzogiorno (+2,1% a/a). Un altro segnale positivo viene dall’attenuazione, per la prima volta negli ultimi 4 anni, dell’effetto-scoraggiamento (-5,8% a/a ovvero -114 mila unità), in particolare nel Sud e tra i giovani (ma il dato di segno opposto sugli inattivi a luglio potrebbe evidenziare una ripresa dello scoraggiamento nel primo mese del 3° trimestre). In sintesi, il dato di luglio è confortante circa il fatto che l’incipiente ripresa del ciclo economico (sia pur modesta) stia, accanto agli effetti delle misure governative, cominciando ad avere un impatto tangibile sulla disoccupazione.

D’altra parte, il dato di luglio non va troppo enfatizzato, in quanto:
1) la volatilità su base mensile dei dati sul mercato del lavoro è elevata;
2) il calo della disoccupazione nel mese è dovuto più alla crescita degli inattivi che non all’aumento degli occupati. In ogni caso, il dettaglio dell’indagine sulle forze di lavoro relativo al 2° trimestre conferma che è in atto un miglioramento non solo della quantità ma anche della qualità dell’occupazione (la ripresa riguarda non più solo contratti temporanei e part-time ma anche occupati permanenti e a tempo pieno, e tocca anche le fasce più deboli come il Mezzogiorno, i giovani, il settore delle costruzioni).

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