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“Proteggersi, per garantirsi i progetti di vita”. Intervista a Alessandro Marchesi (Banca Mediolanum)

Ecco perché è importante proteggersi e assicurarsi dagli eventi che potrebbero avere conseguenze sulla nostra vita. Perché se con un risparmio gestito bene si vince sempre, con l’imprevisto non protetto si perde nella totalità dei casi

di Mauro Introzzi 12 dic 2022 ore 16:04

SoldiOnline per Banca Mediolanum


assicurazione_5“Se dipendesse da me, scriverei la parola assicurare sulla porta di ogni casa” diceva Sir. Winston Churchill, qualche annetto fa. Gli italiani sembrano invece avere un diverso approccio alla protezione rispetto al popolo britannico, da sempre più sensibile. Ma qualcosa forse sta cambiando. Ne abbiamo parlato con Alessandro Marchesi, responsabile sviluppo area Credito&Protezione di Banca Mediolanum. Il manager ci ha raccontato perché è importante proteggersi, per assicurarsi dagli eventi di tutti i giorni che potrebbero avere conseguenze sulla nostra vita. Perché se con un risparmio gestito bene si vince sempre, con l’imprevisto non protetto si perde nella totalità dei casi.

Ecco cosa è emerso dalla nostra chiacchierata.

 

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Il nostro è un popolo storicamente dedito al risparmio, lo si capisce analizzando i dati in confronto alle popolazioni straniere. Ma come ci poniamo rispetto alla copertura dei rischi? Sotto questo punto di vista siamo un popolo accorto?

Risposta semplice, ma devo fare delle premesse. Le spiego il quadro senza passare dal solito confronto con i giapponesi, che insieme agli italiani guidano da sempre le classifiche dei popoli maggiormente dediti al risparmio, ma parlando di rendimenti e facendo un parallelo con gli Stati Uniti. Se prendiamo un medesimo periodo di tempo, di 10 anni, vediamo che il capitale risparmiato di un italiano rende il 32% mentre quello di un americano il 118%.

Questo perché gli italiani tendono a lasciare il denaro sul conto corrente (che negli ultimi anni ha reso percentuali molto vicine allo 0%) senza cercare rendimenti da altri prodotti finanziari, come ad esempio i fondi comuni di investimento. Negli Usa succede invece tutto l’inverso. Possono permettersi di investire massicciamente in prodotti finanziari alla ricerca dei rendimenti.

E sa perché?


Perché?

Perché solo l’8,9% degli americani non è protetto da eventi avversi. Il loro approccio è quello di mettere a rendita il proprio denaro, tanto - pensano - “se succede qualcosa son coperto”.

Gli italiani invece allocano in modo poco efficiente i propri soldi - le ricordo che ci sono 2.000 miliardi di euro sui conti correnti - senza andare su altri mercati. Quel denaro parcheggiato ha un titolo: “perché non si sa mai”, in un approccio al risparmio che ci portiamo in eredità dai nostri nonni e non è mai cambiato negli anni.
Ma i tempi invece son cambiati e qui entra in gioco anche la pandemia e il ruolo che quest’ultima ha avuto sul cambiare la percezione degli italiani in tema di welfare pubblico.


Interessante, ci spieghi meglio, per favore.

In Italia ci stiamo rendendo conto che ormai è necessario pensare sempre più a un mix privato-pubblico in cui il primo ha un ruolo via via maggiore. Tutti abbiamo compreso come i tempi della sanità si siano allungati moltissimo: per esami anche importanti le liste d’attesa nelle strutture pubbliche sono chilometriche. Così se c’è qualche urgenza siamo costretti a rivolgerci ai reparti “solventi”.

E la situazione assume una connotazione ancora più paradossale: non ho la polizza che mi pagherebbe questi esami ma ho i soldi sul conto, che oltre a non rendere nulla non sono protetti dalla perdita del potere d’acquisto a causa di un’inflazione impazzita. Ho il danno e la beffa, perché non ho investito e al contempo non son coperto dai rischi.


Ma si vedono, a suo parere, dei cambi di paradigma?

Io penso che la resistenza al cambiamento stia cedendo, come una diga che ormai non riesce più a trattenere l’impeto di un’acqua in gran fermento. In questo, Stato e media sono protagonisti, ma anche le banche stanno giocando un ruolo importante. La necessità di ricercare una maggiore diversificazione delle aree di business, per gli istituti bancari, ha avuto l’effetto di sensibilizzare ulteriormente le persone sull’ambito assicurativo.


In attesa che la diga si rompa, da che dati partiamo?

In Italia sono l’8% della popolazione ha una qualche copertura. Gli italiani coprono la casa solo nel 4% dei casi (e non mi riferisco alle polizze incendio e scoppio, che sono obbligatorie se accendi un mutuo, ma alle altre coperture) e hanno le “catastrofali” solo 2 italiani su 100. Un dato assurdo se pensa a cosa succede – purtroppo – sempre più frequentemente nel nostro Paese.


In una sua recente intervista ho letto una sua dichiarazione che mi ha particolarmente colpito: "le assicurazioni sono come le medicine". Ci spiega il perché di questa similitudine?

Sì, l’ho detto. Ma manca la parte successiva di quella frase. Io ho aggiunto che “vanno lette attentamente le avvertenze e le modalità d’uso”. Ed ora le spiego perché. Io ritengo che sia fondamentale che tutto il processo assicurativo sia lineare, chiaro e guidato da persone che hanno le giuste competenze per fare un corretto checkup dei bisogni del potenziale assicurato. Pensi ai questionari anamnestici: se fatti in modo non corretto possono mettere a rischio i risarcimenti. Insomma, per i farmaci abbiamo il medico che conosce perfettamente le avvertenze, e lo stesso dev’essere per i prodotti assicurativi. E non è solo una questione di professionalità del singolo.


In che senso?

Contano anche i modelli. Il nostro è peculiare e unico al mondo: il nostro Family Banker si occupa di progetti di vita (risparmio gestito, piani d’accumulo, investimenti) e, insieme allo specialista del credito, di bisogni (mutui e finanziamenti). Il rapporto che un Family Banker crea con i propri clienti è basato oltre che sulla competenza anche sulla fiducia e su queste basi riesce meglio a far passare, con estrema trasparenza, il concetto che se le “fragilità” non sono a posto anche i progetti di vita sono in pericolo. Sono i presupposti per il contatto con un Family Protection Specialist, un membro dello staff del Family Banker che fa al cliente, senza alcun impegno, un checkup completo dei potenziali rischi che potrebbero mettere in pericolo i progetti di vita (perché se mi succede qualcosa devo - ad esempio - interrompere il piano d’accumulo o il rimborso del mutuo).

Noi questa cosa l’abbiamo ribattezzata “proprietà transitiva della fiducia” perché la fiducia che si crea con il Family Banker si può traslare sugli altri due membri dello staff e a loro volta i tre soggetti ripongono estrema fiducia nell’operato reciproco. Il triangolo si chiude in un modello che a nostro parere è decisamente il più virtuoso possibile.

Tra i soggetti coinvolti, tra l’altro, non c’è conflitto. Si crea invece una concordanza di interessi perché se uno dei tre adottasse un comportamento opportunistico causerebbe la perdita del cliente e un danno ai propri colleghi, e in primis a sé stesso. Se ci pensa, in questo modo tutti gli attori in gioco sono “costretti” a lavorare molto bene.

Non a caso i risultati ci stanno dando ragione: negli ultimi 4 anni abbiamo più che triplicato il nostro portafoglio assicurativo “stand alone”, passato da 40 a quasi 130 milioni di euro. Tutto questo senza andare a cercare altri clienti ma proteggendo i nostri.


Insomma, vi siete fatti trovare nel posto giusto al momento giusto.

Sì, e con gli interlocutori giusti. Che è forse la cosa più importante.


Quali sono a suo parere i beni che noi italiani proteggiamo meno e che invece necessiterebbero di una maggiore copertura? E quanto sarebbe opportuno allocare, in termini di patrimonio, o di reddito, sulla copertura?

Le rispondo raccontandole un esperimento che stiamo facendo tra i clienti di una specifica regione italiana. Abbiamo chiesto loro di costruire un podio, classificando per importanza “auto”, “casa” e “famiglia”. Tutti - o quasi - concordi a mettere al primo posto la famiglia, poi la casa e al terzo posto l’auto. Peccato che poi, alla fine, la gente assicuri solo l’auto (e, tra l’altro, non fanno quasi mai neanche la kasko), mentre a famiglia e casa non ci pensa praticamente nessuno. E quando parlo di famiglia spesso l’approccio è sbagliato.


Perché?

Perché quasi sempre si pensa esclusivamente al “capofamiglia”, che nel pensare comune è colui che ha il reddito maggiore. Ma attenzione che entrambi i coniugi sono fondamentali e quindi è essenziale pensare a una copertura - magari più limitata - anche per la parte che magari ha un reddito meno rilevante ma ha grandissima importanza dal punto di vista dell’organizzazione familiare, come la gestione della casa o dei figli, magari piccoli.

Ha idea di cosa vorrebbe dire, da punto di vista economico, perdere il suo supporto? Son attività di grande importanza, e valore, e l’alternativa è ricorrere a servizi di collaborazione domestica e a baby sitter. Del resto, il mondo è cambiato e viene meno anche il supporto della famiglia “allargata”, come i nonni e gli zii che stanno magari lontani o hanno situazioni delicate loro stessi.

Le faccio un altro esempio. Leggevo oggi dei rincari delle strutture delle RSA. Esistono coperture che se sottoscritte per tempo ci garantiscono, quando sarà il momento, il pagamento delle rette nel momento in cui saremo meno autosufficienti. E in un periodo storico in cui la vita media si allunga e le patologie degenerative aumentano è bene pensarci in anticipo.


E quanto consiglia di investirci?

Basta partire da un 3-4% del capitale o del reddito annuo per arrivare anche al 5% e iniziare a stare tranquillo. E non sono mai soldi buttati, perché se fai un checkup fatto bene nulla è “caro”. Importante focalizzarsi sul ricavo potenziale e non sul costo. Perché è evidente che io speri sempre di “aver vinto” e di aver sempre pagato senza che succeda nulla, ma se quel qualcosa succede io ho il denaro che entra e sto tranquillo.


Facciamo un gioco: sono un cinquantenne, padre di famiglia con 2 figli studenti di 15-20 anni, casa di proprietà con un bel mutuo residuo di 15 anni. Io e mia moglie abbiamo entrambi un lavoro dipendente, abbastanza stabile. A cosa devo fare attenzione sul fronte assicurativo?

Di sicuro un caso morte per entrambi e una invalidità da infortunio. Ma non è importante secondo noi se gli infortuni ci danno 50 o 100 euro al giorno ma è necessario un rimborso a capitale.

Poi penserei a una “capitale salute”, polizze che coprono tutte le spese per esami, operazioni e prestazioni mediche. Noi l’abbiamo a vita intera.


Negli ultimi anni i cambiamenti climatici hanno determinato un forte aumento di eventi atmosferici avversi, con danni quantificabili nell'ordine dei miliardi di euro. Conoscendo anche le lungaggini burocratiche per i rimborsi sarebbe sensata, anche economicamente, una copertura assicurativa sui nostri beni?

La risposta è già nella sua domanda e direi assolutamente sì. Pensi a quante catastrofi naturali ci sono ogni anno e a quanto lo Stato faccia sempre più fatica ad aiutare, in tempi brevi, i cittadini. Perché poi i soldi arrivano, ma con che tempi? Gli inconvenienti sono all’ordine del giorno: bombe d’acqua, grandine, allagamenti, terremoti, smottamenti. Ma torniamo sempre al discorso di prima del fare un checkup corretto con un professionista preparato, che possa individuare il rischio corretto per ogni soggetto. Il nocciolo è sempre quello.


Un’ultima domanda, guardando avanti: quali sono a suo modo di vedere i temi su cui le compagnie assicurative dovranno guardare nel futuro?

Quando si parla di futuro si fa sempre un gran parlare di alcuni filoni innovativi, come ad esempio quello della cybersecurity. Che è di certo un tema sensibile, da sviluppare e su cui è giustissimo lavorare. Io dico che va tutto bene, ma se prima non siamo a posto sul resto che senso ha pensare ad altro? Leggo che tra 5 anni l’insurtech ci permetterà di operare completamente in rete. Ma in questi 5 anni quanti morti e infortunati avremo senza un’adeguata copertura? Io punterei ad avere una base solida e pensare a quello che manca. Ad incrementare quel piccolo 1% del Pil italiano che i cittadini hanno coperto da assicurazione e a farlo crescere.

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