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I titoli finanziari faranno meglio del mercato?

Malgrado un rimbalzo nelle ultime due settimane, il settore continua a offrire valore e non riflette ancora ciò che i suoi driver macroeconomici suggerirebbero.

di Redazione Soldionline 4 mar 2016 ore 16:32

A cura di  Credit Suisse

Reddito fisso: aumenta il «value picking» nei crediti delle commodity, ma solide obbligazioni investment grade restano le nostre preferite per ora

Mentre i titoli di stato benchmark la scorsa settimana hanno reagito in modo relativamente attenuato alla recente ripresa della propensione al rischio e ai migliorati dati macroeconomici statunitensi, negli ultimi giorni si è registrata una dinamica più negativa, con il rendimento dei Treasury USA a 10 anni che tratta in prossimità dell’1,85%, 20 punti base più in alto rispetto a metà febbraio. I rendimenti dei Treasury USA sono cresciuti ampiamente su tutta la curva, con i dati dell’ISM manifatturiero superiori al previsto e un aumento della spesa per costruzioni che hanno incrementato le aspettative della Fed e il rialzo del prezzo del petrolio che ha alimentato previsioni superiori sull’inflazione. Per contro, i rendimenti dei titoli di stato dell’Eurozona sono aumentati solo sul tratto lungo la scorsa settimana (dai 7 anni in su per i Bund tedeschi), con il fragile contesto macroeconomico che genera attese di un taglio dei tassi da parte della Banca Centrale Europea (BCE), mentre le valutazioni tirate e il miglioramento del sentiment pesano sul tratto lungo. Per gli investitori che hanno aperto posizioni in titoli di stato italiani a lunga scadenza su basi tattiche, come suggerito nella nostra edizione del 19 febbraio, una presa di profitto proprio in vista della riunione della BCE di giovedì prossimo rappresenta la nostra strategia preferita, dato che siamo cauti sulla capacità della BCE di soddisfare le crescenti aspettative del mercato.

lente_17Sul fronte del credito, gli spread si sono contratti ulteriormente sulla scia della stabilizzazione dei prezzi dell’energia e del venir meno dei timori per una possibile recessione. Guidata da gli USA, la migliore propensione al rischio è sfociata in un maggiore «value picking », con gli investitori particolarmente attratti dai nomi delle commodity HY di rating più basso (CCC e inferiore). Al tempo stesso, la mancata contrazione degli spread in altri segmenti è ancora indicativa dei timori degli investitori per la ripresa economica. In realtà se i prezzi delle commodity dovessero stabilizzarsi in maniera sostenuta, il conseguente aumento delle previsioni sull’inflazione si rifletterebbe probabilmente in un atteggiamento più aggressivo della Fed. Un pattern di rialzi più forte per la Fed a sua volta sfocerebbe in un aumento dei costi di rifinanziamento per le aziende impegnate nel rolling del debito in scadenza, accelerando la svolta nel ciclo di credito. Tuttavia, se la Fed dovesse mantenere un bias relativamente accomodante in questa situazione, le aspettative sull’inflazione potrebbero aumentare in maniera significativa, con un effetto addirittura più negativo a lungo termine sui crediti rischiosi, a nostro parere. Le paure di un’impennata dei default attualmente possono essere riscontrate sul mercato primario, con le aziende di rating CCC e inferiore che hanno molte più difficoltà nell’emissione di nuove obbligazioni a livelli «ragionevoli». Su un orizzonte a 6–12 mesi, restiamo pertanto cauti sulle obbligazioni high yield come categoria di investimento, pur a fronte di valutazioni interessanti. Per gli investitori che desiderano un’esposizione tattica verso un’ulteriore stabilizzazione dei prezzi delle commodity, in grado di resistere a una volatilità mark-to-market e di liquidare rapidamente le posizioni, le obbligazioni high yield presentano ancora un valore interessante, a nostro parere. Tuttavia, alla luce del rischio di insolvenza molto elevato, la selezione dovrebbe avere un ruolo fondamentale, soprattutto per i nomi con rimborsi a breve termine. Mentre restiamo neutrali anche sulle obbligazioni sovrane in valuta forte dei mercati emergenti (ME) con il quadro tecnico del grafico che resta negativo, vediamo del valore positivo unitamente a un contesto fondamentale che appare più solido rispetto ai titoli societari high yield. Questo approccio fondamentalmente ottimista è evidenziato dal nostro parere più positivo su un gran numero di paesi nella nostra strategia obbligazionaria sui ME (Argentina, Brasile, India, Indonesia e Sud Africa). Infine per gli investitori con un orizzonte più a lungo termine, le obbligazioni corporate industriali investment grade di buona qualità rappresentano la strategia preferita in questa fase del ciclo di credito.

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Azioni: diventiamo positivi sui finanziari
I mercati azionari globali hanno esteso il loro rimbalzo questa settimana in vista della divulgazione dei dati sul mercato del lavoro statunitense e della tanto attesa riunione della BCE. Come corollario del reddito fisso, i migliori dati USA hanno ridotto il rischio di una recessione mentre la stabilizzazione sul mercato petrolifero ha attenuato i timori di possibili default e crediti problematici (NPL) per i finanziari. Anche i commenti accomodanti dei funzionari delle banche centrali hanno favorito il sentiment. Sul piano regionale le azioni europee, dei ME e australiane hanno sovraperformato, mentre le azioni britanniche hanno perso terreno. A livello settoriale i finanziari hanno proseguito nella loro outperformance parallelamente alle azioni delle commodity, mentre i difensivi hanno sottoperformato. La stagione di reporting del T4 2015 non si è rivelata un importante catalizzatore per le azioni globali. I downgrade continuano a esser forti in gran parte delle regioni, ripercuotendosi in particolare sulle previsioni sia negli USA che nell’Eurozona. Mentre riteniamo che le previsioni sulla crescita degli utili restino troppo ottimistiche negli USA, c’è la possibilità, sulla base delle previsioni macro, che le aspettative sugli utili vengano riviste al rialzo nell’Eurozona. Questa è una delle ragioni per le quali manteniamo il nostro orientamento a favore delle azioni dell’Eurozona rispetto alle azioni statunitensi. I finanziari hanno sottoperformato da inizio anno. Malgrado un rimbalzo nelle ultime due settimane, il settore continua a offrire valore e non riflette ancora ciò che i suoi driver macroeconomici suggerirebbero. Pur riconoscendo i problemi strutturali che affronta il settore, a breve termine dovremmo continuare a rilevare un’outperformance del settore. Nell’ambito di questo settore, vediamo maggiori opportunità a breve termine per le banche rispetto alle assicurazioni. Viceversa, non siamo più positivi sul settore sanitario. Mentre i fondamentali restano solidi e il settore offre un buon potenziale a lungo termine, sussistono dei rischi in merito al sentiment. Con le elezioni presidenziali negli USA che si profilano per il mese di novembre, potrebbero esserci ulteriori discussioni sulle normative e sulla determinazione dei prezzi dei farmaci negli USA. Diventiamo inoltre meno positivi sui materiali e ci aspettiamo ora un’underperformance del settore. Il settore ha evidenziato un impressionante balzo nell’ultimo mese grazie al forte rally dei metalli industriali e dei prezzi dell’oro. Riteniamo che ora sussistano rischi al ribasso per i prezzi di tali commodity, considerando lo squilibrio ancora ampio tra la domanda e un eccesso di offerta e adottiamo un parere più cauto sul settore dei materiali.

Materie prime: vendere volatilità conviene di più che inseguire il rimbalzo
I mercati delle commodity sono riusciti a lasciarsi alle spalle un brutto inizio 2016, con gran parte dei comparti protagonisti di un rally nel mese di febbraio. Tuttavia, i benchmark come l’indice Bloomberg Commodities sono ancora in calo per quest’anno (–3,3% a fine febbraio). Il crescente nervosismo (come riflesso da impennate della volatilità più frequenti e drastiche) suggerisce che potremmo essere prossimi a un punto di svolta. Ad esempio, la volatilità implicita del greggio WTI aveva intersecato l’80% a un certo punto prima di arretrare nuovamente di recente. Detto questo, l’attuale rimbalzo che ha interessato metalli e mercati dell’energia sembra guidato da spostamenti a livello di posizionamento (un importante short covering unito a un nuovo interesse a lungo termine) più che da un autentico miglioramento dei fondamentali sottostanti, che segnalano ancora un eccesso di offerta sui mercati fisici. Di conseguenza, piuttosto che rincorrere il balzo in atto al rialzo, riteniamo preferibile vendere la volatilità, convinti che l’universo delle commodity si trovi in una fase di bottoming più ampia (seppur lenta). L’energia sarebbe il settore più ovvio per vendere il downside tramite put, dato che i prezzi attuali sono troppo bassi da una prospettiva a medio termine. Nei metalli preziosi/oro, d’altro canto, saremmo interessati a vendere l’upside tramite opzioni call, ritenendo l’oro particolarmente vulnerabile se l’attuale atteggiamento conciliante sulle aspettative della Fed dovesse venire meno, cosa che ci aspettiamo finirà per verificarsi. In termini di esposizione più ampia alle materie prime, le correlazioni tra attivi e all’interno delle commodity – seppur volatili – sono calate nuovamente di recente, enfatizzando i benefici della diversificazione delle classi di attivi in un portafoglio multi-asset. Tuttavia eviteremmo ancora veicoli benchmark passivi con i costi di roll che restano proibitivi (il carry implicito a 12 mesi ammontava a ~11% al momento della redazione). Al contrario le strategie dinamiche relative value dovrebbero ancora sovraperformare e sono più «digeribili» per i budget di rischio.

Valute: correzione inferiore al previsto per EUR/USD; diventiamo neutrali in vista della riunione della BCE

I prossimi rischi di evento, comprese le riunioni di BCE, Federal Reserve USA e Banca Nazionale Svizzera, oltre al dibattito su una potenziale uscita della Gran Bretagna dall’Unione Europea (Brexit), hanno influenzato i mercati valutari nell’ultima settimana. L’EUR è sceso rispetto a USD, CHF e persino GBP, indebolitasi in precedenza a causa dell’elevato grado di apprensione per una possibile Brexit. EUR/USD ha trattato solo a 1.0840, EUR/CHF è sceso a circa 1.0830 e EUR/GBP ha segnato un’inversione al ribasso al di sotto di 0.78. Mentre le aspettative di un allentamento della BCE hanno pesato sull’EUR, i dati economici USA, consolidatisi di recente, e il rialzo dei rendimenti USA a breve termine hanno parimenti sostenuto il dollaro USA. Siamo diventati negativi su EUR e CHF nei confronti di USD a metà febbraio, aspettandoci una certa inversione della forza delle valute di finanziamento. Allo stesso tempo, EUR/USD si è avvicinato all’apice del suo range di 1.05–1.15 e ora è prossimo al tratto inferiore, avvicinandosi al nostro obiettivo di 1.08. Man mano che ci avviciniamo alla riunione del 10 marzo 2016, la dinamica al ribasso è destinata a persistere. Tuttavia, dato il rischio di evento della riunione della BCE e il potenziale di delusione delle aspettative di allentamento attualmente elevate, siamo ora neutrali su EUR/USD. Riduciamo inoltre il rischio in tal senso mantenendo il giudizio di outperformance per le azioni dell’Eurozona, che presentano una forte correlazione con EUR/USD. La riunione di dicembre 2015 della BCE, dopo la quale EUR/USD è salito di oltre il 3%, ci ricorda che diventa sempre più difficile per le banche centrali soddisfare aspettative elevate. Di conseguenza ora siamo neutrali anche su USD/CHF e manteniamo le nostre prospettive neutrali su EUR/CHF. Inoltre siamo neutrali su AUD/USD, dato che gli indicatori tecnici non sono più negativi. La valuta si è leggermente indebolita nelle ultime settimane ma rimane ancora all’interno di un ampio intervallo di negoziazione. Infine restiamo neutrali su USD/JPY e GBP/USD. Durante la settimana quest’ultimo cross è riuscito a riguadagnare il livello 1.40 dopo che un iniziale price-in del rischio di Brexit aveva indebolito GBP/USD a circa 1.38. Gli investitori possono sfruttare i rimbalzi di GBP/USD per coprire il rischio di ribasso per la GBP, anche se vediamo un’uscita della Gran Bretagna dall’UE solo come un rischio estremo. Anche la Riksbank svedese ha tagliato il tasso di riferimento ulteriormente in territorio negativo a –0,5% a febbraio. Tuttavia l’impatto del movimento sulla SEK sembra venir meno ed EUR/SEK è ancora all’interno del suo ampio trading range di 9.10–9.60 e più forte rispetto a prima del taglio dei tassi. La crescita resta forte in Svezia, l’inflazione di recente ha sorpreso al rialzo e la SEK è sottovalutata rispetto all’EUR. Anche la Riksbank riconosce che la SEK è destinata ad apprezzarsi a lungo termine. Sebbene le nostre prospettive cicliche siano neutrali non attendendoci un movimento degli spread a favore della SEK, considereremmo i rischi sbilanciati al ribasso per EUR/SEK, all’interno del suo range. Gli investitori potrebbero posizionarsi in vista di un movimento al ribasso per EUR/SEK attraverso strutture di opzioni, per mezzo delle quali l’upside in EUR/SEK viene venduto per finanziare l’esposizione al downside di EUR/SEK. La volatilità implicita in EUR/SEK è abbastanza elevata anche storicamente; pertanto le strutture che vendono volatilità sono attraenti a nostro parere.

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