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I mercati non temono le elezioni italiane, ma...

Per gli investitori si tratta di un importante banco di prova per testare la tenuta dei mercati azionari, dopo la forte volatilità registrata nelle prime settimane del 2018

di Redazione Soldionline 28 feb 2018 ore 10:39

Mancano solo pochi giorni all'appuntamento con le elezioni politiche italiane, che si terranno domenica 4 marzo. Per gli investitori si tratta di un importante banco di prova per testare la tenuta dei mercati azionari, dopo la forte volatilità registrata nelle prime settimane del 2018. Tuttavia, secondo Willem Verhagen, Senior Economist, Macro & Strategy di NN Investment Partners, le elezioni italiane probabilmente non saranno un grande tema di mercato, in seguito alla ripresa economica di cui gode l'Italia e all’ammorbidimento delle posizioni euroscettiche dei partiti anti Europa. L'esperto ritiene che l’esito più probabile delle elezioni possa essere un parlamento senza maggioranza; nell'analisi seguente Willem Verhagen spiega quali potrebbero essere gli scenari post elezioni.

Le elezioni italiane probabilmente non saranno un grande tema di mercato, contrariamente a quella che era l’opinione generale lo scorso anno. Questo principalmente per due motivi: la ripresa economica di cui gode il paese e l’ammorbidimento delle posizioni euroscettiche dei partiti anti Europa.

 

La ripresa dell’Italia

elezioni-italiaLa ripresa congiunturale in Italia è trainata dalla domanda esterna e interna, con quest’ultima che beneficia di una forte dinamica di crescita dell'occupazione e degli investimenti (capex). In combinazione con le riforme strutturali del passato, ciò può migliorare in una certa misura la crescita potenziale. Tuttavia, i livelli elevati del debito pubblico potrebbero costituire un problema in futuro, in quanto potrebbero richiedere austerità fiscale. Va però notato che la scadenza media del debito italiano è cresciuta negli ultimi anni e per questo motivo l'eventuale aumento dei rendimenti obbligazionari italiani si tradurrà solo gradualmente in un aumento del costo medio dei tassi di interesse sul debito.  Inoltre, ci aspettiamo che la normalizzazione della politica della BCE sia molto graduale e che l'elevato stock di titoli italiani in bilancio contribuisca ad evitare un eccessivo rialzo degli spread del paese.

Il problema principale del paese è un basso tasso di crescita potenziale

Il governo italiano ha compiuto alcuni passi per migliorare lo stato di salute del sistema bancario, ma il problema principale dell'Italia è rappresentato da un basso tasso di crescita potenziale del PIL, trainato da un basso tasso di crescita della produttività sottostante. Sono state intraprese alcune riforme, ma occorre fare di più. Il mercato del lavoro è ancora caratterizzato da una dicotomia tra contratti a tempo indeterminato e lavoratori flessibili, mentre il processo di contrattazione salariale è ancora centralizzato. Ciò impedisce alle imprese di rispondere a circostanze idiosincratiche. Occorre inoltre affrontare le inefficienze della pubblica amministrazione e del sistema giudiziario e liberalizzare i mercati dei servizi. Tali riforme sono necessarie per l'Italia al fine di imboccare una traiettoria di crescita più elevata che consentirà al paese di abbassare il debito pubblico ore al 132% del PIL. L'attuazione di queste riforme richiede tuttavia un governo forte e stabile.

L’esito più probabile è un parlamento senza maggioranza

Secondo i sondaggi, sarà la coalizione di centrodestra a vincere le elezioni. Le ultime rilevazioni indicano che circa il 35% dei voti andrà a loro. Il centro-sinistra si attesta attualmente al 29% e il Movimento 5 Stelle al 28%. Ciò significa che nessuno sarà in grado di formare un governo. Il risultato atteso è una "grande coalizione" instabile o uno stallo prolungato, che a tempo debito condurrà a nuove elezioni. Il principale punto controverso non sarà più l'adesione all'UE o all'euro, ma le prospettive di politica fiscale. Molti partiti chiedono più spazio per un allentamento fiscale, il che potrebbe portare a conflitti con la Commissione Europea e i paesi della zona euro. Tuttavia, possiamo immaginare un compromesso che preveda una via di mezzo tra maggiore flessibilità fiscale e maggiori sforzi di riforma strutturale.

 

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