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Francia, cosa succederebbe se vincesse Marine Le Pen?

Mark Burgess (Columbia Threadneedle Investments) ritiene che il successo della leader del Front National determinerà un aumento della volatilità per gli asset francesi e ritiene che il mercato europeo possa cedere nell’immediato fino al 10%

di Edoardo Fagnani 14 mar 2017 ore 10:25

I riflettori dei mercati finanziari sono puntati sulle prossime elezioni presidenziali francesi. Il primo turno si terrà il 23 aprile; successivamente, qualora nessuno dei candidati ottenesse la maggioranza, i primi due andrebbero al ballottaggio il successivo 7 maggio. Gli operatori temono una vittoria di Marine Le Pen.
Mark Burgess, Chief Investment Officer EMEA e Responsabile azionario globale di Columbia Threadneedle Investments, ritiene che il successo della leader del Front National determinerà un forte aumento della volatilità per gli asset francesi e ritiene che “il mercato europeo possa cedere nell’immediato fino al 10% per via dell’incertezza sulle possibili implicazioni per l’Unione Europea”.

 

marine-le-pen-franciaLa reazione immediata dei mercati a una vittoria di Marine Le Pen alle elezioni presidenziali francesi sarebbe probabilmente un picco di volatilità per gli asset francesi dovuto all’incertezza riguardo agli sviluppi futuri.
Poiché si ritiene che una presidenza Le Pen accrescerebbe la probabilità di un abbandono dell’euro da parte della Francia, nel caso di una sua vittoria ci aspetteremmo un marcato ampliamento dello spread tra le obbligazioni francesi e i Bund tedeschi. A titolo di paragone, si noti che tale spread ha raggiunto i 150 punti base circa al culmine della crisi dell’eurozona nel biennio 2011/12 ed è alquanto probabile che faccia ritorno a quel livello. Analogamente, si amplierebbero i differenziali di altre obbligazioni periferiche e semi-core, in linea con l’aumento del rischio di disgregazione.

Sul fronte azionario, il mercato europeo potrebbe cedere nell’immediato fino al 10% per via dell’incertezza sulle possibili implicazioni per l’UE, con ripercussioni potenzialmente maggiori sulle borse mondiali. Le società con fondamentali solidi in settori meno interessati dai cambiamenti geopolitici dovrebbero dare prova di una discreta tenuta. 
Tuttavia, tornando al problema del debito denominato in euro, a essere penalizzate maggiormente sarebbero con ogni probabilità le banche europee, che potrebbero lasciare sul terreno il 20-30%, vista la flessione del 20% accusata in reazione alla Brexit. L’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea rappresenta verosimilmente un evento insignificante rispetto a una completa disgregazione dell’UE, giacché, con un ritorno dei singoli paesi alle loro valute preeuro, si avrebbe un notevole squilibrio tra attività e passività bancarie ancora denominate in euro.

Gli istituti di credito europei sono ormai da anni sull’orlo di una crisi, come ad esempio quando la Grecia era sul punto di uscire dall’Unione. A medio termine, considerata la situazione in cui si trova attualmente il sistema bancario italiano, quest’ultimo non sembra in grado di poter resistere alle conseguenze di un crollo dell’euro. A essere colpiti non sarebbero soltanto i paesi fortemente indebitati, ma anche quelli come la Germania (che detiene titoli di debito francesi e italiani). 
Secondo lo European Law Journal, “i finanziatori privati aumenterebbero immediatamente la pressione (spread) sugli Stati membri che non hanno ancora abbandonato l’euro, generando costi incalcolabili sotto forma di un effetto domino che finirebbe anche per mettere a repentaglio l’economia dei paesi con un avanzo commerciale, che perderebbero una fetta importante dei loro mercati per le esportazioni”. Indubbiamente il sistema bancario interconnesso dell’UE sarebbe quello a maggiore rischio di collasso, con conseguenze a carico del settore finanziario globale.

frexitTuttavia, gli ostacoli a una Frexit rimarrebbero elevati e potrebbe intervenire una reazione più ponderata, anche sotto una presidenza Le Pen. In questo scenario rimarrebbero probabilmente un premio e una certa ripidità della curva a causa del mix di politiche più inflazionistiche e meno conservatrici dal punto di vita fiscale. Allo stesso modo, le obbligazioni francesi indicizzate all’inflazione, che attualmente scontano tassi di pareggio di circa l’1,31% su 10 anni, metterebbero a segno performance brillanti.

Ampliando lo sguardo a un orizzonte di medio termine, un’eventuale disgregazione dell’euro esporrebbe il neo-introdotto franco a pressioni in un contesto in cui gli investitori tenterebbero di coprire il rischio vendendo la valuta. Tra gli interventi tradizionali per contrastare la caduta libera del franco figurerebbero un aumento dei tassi d’interesse francesi e la vendita di attività in euro a fronte dell’acquisto di obbligazioni francesi al fine di rafforzare la valuta. Tali misure comporterebbero una serie di difficoltà per un governo impegnato a prevenire danni all’economia senza poter contare su notevoli riserve denominate in euro. Per quanto riguarda altre vecchie valute europee che potrebbero risorgere dalle ceneri, il marco tedesco si rafforzerebbe a fronte di un calo della lira italiana. Per l’Italia e la Grecia potrebbe esserci in realtà un risvolto positivo, sotto forma dell’agognato deprezzamento delle rispettive valute. La rinazionalizzazione della politica monetaria permetterebbe ai singoli paesi di svalutare le monete nazionali, ma amplificherebbe anche il problema di rimborsare il debito denominato in euro.


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