Dopo Draghi, ok agli asset rischiosi
È famosa la battuta di Paul Samuelson, vincitore del Premio Nobel per l’economia, secondo cui “Gli indici di Wall Street hanno previsto 9 delle ultime 5 recessioni”
di Redazione Soldionline 26 gen 2016 ore 11:55A cura di Joseph V. Amato, President & Chief Investment Officer Equities di Neuberger Berman
È famosa la battuta di Paul Samuelson, vincitore del Premio Nobel per l’economia, secondo cui “Gli indici di Wall Street hanno previsto 9 delle ultime 5 recessioni”. Sospettiamo che ne stiano aggiungendo un’altra con la marcata correzione con cui hanno salutato il nuovo anno.
L’indice S&P 500 è al ribasso di quasi il 10% da inizio anno dopo un ulteriore periodo di vendita il 20 gennaio; l’indice Vix è raddoppiato; gli spread di credito si sono aperti; il prezzo del petrolio ha perso 10 dollari al barile, all’incirca il 27% da quando i fuochi d’artificio hanno smesso di illuminare il cielo per festeggiare il nuovo anno.
Sostanzialmente, molti mercati stanno ora prezzando un rallentamento economico negli Usa, se non addirittura una recessione. Sulla base delle nostre stime sui dati economici non vediamo il rischio concreto di una recessione come particolarmente elevato ma un mercato così ribassista fa inevitabilmente tornare a ripensare alle proprie tesi per verificarle.
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I mercati sembrano essere stati colpiti dalla convergenza di 3 fattori: il rallentamento e l’incertezza del mercato cinese, il periodo di tempo necessario per digerire il primo rialzo dei tassi della Fed in un decennio e, in particolare, il crollo verticale dei prezzi del petrolio. È tutto partito da lì.
La Cina sta rallentando e questo è assodato ma non crediamo vi sia un rischio imminente di collasso economico e vorremmo mettere in guardia dal vedere solo nero nella recente volatilità dei mercati azionari, che sembra essere scarsamente in relazione con quanto avviene nell’economia reale. Al momento la Fed potrebbe prevedere altri 3 rialzi nel 2016 ma riteniamo che il percorso sarà molto più graduale. Se ottenessimo qualcosa di più come quello che è già prezzato nei futures, questo difficilmente metterebbe in pericolo la crescita economica che prevediamo. Per quanto riguarda il petrolio, la preoccupazione è che i prezzi al di sotto dei 30 dollari al barile evidenzino qualcosa di preoccupante sullo stato della domanda globale, anche se restiamo dell’idea che sia in gran parte un sintomo da eccesso di offerta. È anche importante notare che il calo dei prezzi del petrolio è di grande beneficio al consumatore globale, offrendo sostegno all’economia più in generale.
Non c’è dubbio che i recenti dati americani in settori come i permessi di costruzione, le vendite al dettaglio, la produzione manifatturiera e l’inflazione siano in calo e che questo abbia in qualche modo aumentato il rischio di recessione. Ad esempio c’è un sentiment recessivo nei settori industriali americani, nei quali il dollaro forte e la debolezza del settore energetico hanno soffocato le spese per capitale. Stiamo monitorando da vicino la forza del dollaro e l’ampliamento degli spread di credito che possono essere associati ad un contesto recessivo.
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Dal nostro punto di vista, il quadro generale è molto più positivo: la gran parte degli indicatori economici americani indica un proseguimento della graduale espansione vista di recente. E sebbene una correzione nei mercati finanziari possa avere una ricaduta sull’economia reale danneggiando la fiducia dei consumatori e delle imprese, rischio che si corre certamente se questa rotta viene mantenuta, siamo inclini a pensare che il legame tra quello che fa il mercato e l’umore dei consumatori sia molto più debole di quanto a volte si supponga.
È stato interessante osservare Mario Draghi, Presidente della BCE, esprimere una visione molto simile durante la conferenza stampa del 21 gennaio seguita alla decisione di politica monetaria. Draghi era impaziente di sottolineare che prevede che la ripresa economica continui e ha fatto notare che i prezzi del petrolio più bassi sono, di fatto, uno stimolo in Europa. Inoltre si è soffermato sull’impatto del programma di stimolo della BCE, in particolare sulla crescita della liquidità e sulle dinamiche dei prestiti. Ha riconosciuto che il rallentamento in atto nel mondo emergente e la volatilità dei mercati finanziari potrebbero richiedere alla BCE di riconsiderare la sua decisione di politica monetaria ad inizio marzo ma questo suonava come il classico approccio di Draghi per affermare che la BCE è pronta ad agire per comprare abbastanza tempo da, in sostanza, non dover agire affatto. Come previsto gli asset rischiosi hanno gradito le sue parole e l’euro si è indebolito.
Siamo convinti sarà probabilmente una questione di tempo prima che i mercati tornino a focalizzarsi sui fondamentali economici. Per questa ragione riteniamo che la volatilità e la debolezza in atto rappresentino un momento opportuno per considerare un incremento nel peso degli asset rischiosi.