Crescita lenta ma non è recessione
Dopo il brusco rallentamento nel primo semestre dell’anno, l’economia globale si sta stabilizzando. A fronte della domanda stagnante, soprattutto in Cina, abbiamo rivisto al ribasso le nostre stime sul PIL globale per il 2016 da 3,3% al 3,1%.
di Redazione Soldionline 27 ott 2015 ore 10:59A cura di Team di Research & Investment Strategy di AXA Investment Managers
Mercati in peggioramento
Nello scorso mese è proseguita la fase di correzione degli asset più rischiosi, in particolare gli indici azionari globali sono scesi ancora del 2% (MSCI Word, in USD). Questi sviluppi sono imputabili ad un passaggio del mercato da uno scenario di crescita modesta ma stabile ad uno di crescita stagnante con rischio di recessione. I toni prudenti della Fed in occasione dell’incontro di settembre hanno confermato questi timori e alimentato le tensioni sul mercato. Noi riteniamo che queste preoccupazioni siano eccessive. Essere prudenti sull’economia globale nel medio periodo è ragionevole, però crediamo che una recessione sia improbabile nel breve termine. Al centro del clima di incertezza c’è la Cina, ma siamo convinti che il peggio sia passato.
Occhi puntati sulla Cina
Dopo l’estate, l’attenzione si è rivolta alla Cina. Tutto è iniziato con una forte correzione del mercato azionario che si è trasformata in una crisi di fiducia più profonda sulla crescita in Cina e negli EM in generale. In particolare, una non ottimale gestione della fase di turbolenza dei mercati azionari e la scarsa comunicazione sul nuovo sistema di cambio hanno fatto preoccupare i mercati per la perdita di credibilità delle autorità cinesi e l'incapacità di contenere la crisi. Crediamo che la debolezza economica in Cina si è manifestata prevalentemente nel primo semestre. I dati sulla crescita probabilmente saranno rivisti al ribasso per riflettere meglio altri indicatori, soprattutto il forte calo delle importazioni. Una causa fondamentale è riconducibile al fallimento degli interventi fiscali a sostegno dell’economia. Buona parte dei dati sono eterogenei, e segnalano la fragilità del contesto economico. Tuttavia, ci aspettiamo una stabilizzazione tra la fine del 2015 e l’inizio del 2016. Il rallentamento temporaneo dovuto alla Victory Day Parade svanirà, le misure di politica monetaria e fiscale dovrebbero sostenere l’economia e crediamo che i dati ad alta frequenza seguiti dal mercato sovrastimino la debolezza, concentrandosi sulla “Vecchia Cina" (industria e commercio) anziché sulla “Nuova Cina” (servizi, Figura 1). Siamo certi di due fattori. L’economia cinese sta rallentando in linea con i piani del governo, ma non sta precipitando. La transizione da un modello economico all’altro può essere un percorso accidentato che implica dei rischi, ma il processo ci sembra ormai ben avviato. Rivediamo leggermente al ribasso le stime di crescita nel 2016 al 6,2%. La Cina dispone ancora degli strumenti per contenere un’eventuale crisi economica. I rischi di recessione sono contenuti. Le autorità possono ricorrere ancora alla politica fiscale e soprattutto alla politica monetaria. Effettivamente ci aspettiamo nuove misure entro fine anno. Le autorità difficilmente permetteranno una forte svalutazione del renminbi, visto il debito del settore privato in valuta estera. Se i deflussi di capitale continueranno, probabilmente ricorreranno alle riserve valutarie.
Mercati emergenti sotto fuoco incrociato
La correzione nei mercati emergenti è partita dalla Cina: gli EM in Asia hanno subìto il rallentamento della domanda cinese e molti paesi, tra cui Malesia e Singapore, stanno entrando in recessione. Ma gli scambi commerciali globali mostrano segnali di miglioramento in linea con il ciclo economico, mentre la domanda estera in Asia dovrebbe normalizzarsi. Allo stesso tempo, il calo dei prezzi delle materie prime ha fatto salire la pressione sugli esportatori di commodity. Il divario tra consumatori e produttori di materie prime nei mercati emergenti si traduce in politiche monetarie divergenti. I prezzi bassi delle materie prime alimentano le pressioni al ribasso sulle valute che a loro volta fanno salire l'inflazione e di conseguenza le probabilità di una stretta monetaria. La Colombia ha già deciso di alzare i tassi di interesse e altre economie dell’America latina, come Cile e Messico, potrebbero seguirne l’esempio. Invece, le pressioni più contenute sulle valute in Asia (tranne che in Malesia) dovrebbero consentire alle banche centrali di tagliare i tassi di interesse a sostegno dell’economia (Corea, Tailandia, Filippine e Singapore).1 I mercati emergenti risentono di altri sviluppi pertanto serve un approccio prudente. Primo, diversi paesi presentano instabilità politica. Il Brasile si trova da tempo in una fase di impasse politica e il mese scorso i problemi fiscali del paese hanno portato al declassamento del rating da parte di S&P. Le imminenti elezioni in Turchia e Polonia difficilmente produrranno un esito favorevole al mercato. Secondo, la prospettiva di un rialzo dei tassi da parte della Fed pesa sui mercati emergenti, con deflussi di capitale e timori circa la leva elevata in valuta forte. I paesi emergenti in Europa sembrano un’isola di stabilità, poco esposti nei confronti della Cina e protetti dalla crisi finanziaria grazie agli interventi della BCE. Sfortunatamente, lo scandalo Volkswagen getta un’ombra su Repubblica Ceca, Ungheria e Polonia, dove operano la maggior parte dei fornitori dei produttori di automobili tedeschi.
I tentennamenti della Federal Reserve
In vista dell’incontro della Federal Reserve di settembre l’incertezza era particolarmente forte, alimentata anche da diversi membri del FOMC che lasciavano presagire una decisione certamente non unanime. Mentre il mercato si aspettava un c.d. ‘dovish hike’ o un ‘hawkish hold’, la Fed ha sorpreso tutti mantenendo i tassi invariati con un atteggiamento accomodante (c.d. ‘dovish hold’). Viste le incertezze provenienti dall’estero e la bassa inflazione dovuta ai prezzi delle materie prime, oltre all’apprezzamento del dollaro e ai salari ancora non in rialzo, il FOMC ha mantenuto la view di un rialzo verso fine anno. I dati economici pubblicati dopo l'annuncio hanno segnalato il rischio di un contraccolpo più sostanziale per l’economia locale, aumentando il rischio di nuovi rinvii. Il mercato non ha accolto positivamente questa decisione, interpretata come un aumento dei timori per la crescita globale. La banca centrale americana ha praticamente confermato queste preoccupazioni e il possibile impatto di tali sviluppi sull’economia americana. Il mercato teme quindi che, di fronte a un nuovo rallentamento, la Federal Reserve non disponga di strumenti sufficienti a contrastare il calo della domanda. Infine, altri tre mesi di incertezza sull’orientamento della Federal Reserve graveranno sui mercati finanziari e sui mercati emergenti. Noi siamo leggermente più ottimisti sugli Stati Uniti rispetto all'opinione prevalente del mercato. Non ci aspettiamo un’accelerazione della crescita economica il prossimo anno, ma un moderato rallentamento dovuto anche a un calo della domanda globale. Tuttavia, un rallentamento più brusco ci sembra improbabile. Il settore manifatturiero e gli scambi con l’estero hanno risentito del calo della domanda proveniente dalla Cina, dall’America latina e dal Canada, come evidenziato nella flessione dell’indice ISM manifatturiero a settembre e dagli scambi negativi ad agosto. Ma noi abbiamo fiducia nei fattori interni a sostegno della crescita, in particolare la spesa al consumo (Figura 2). Pertanto, abbiamo rivisto dal 2,5% al 2,2% le nostre stime di crescita per gli Stati Uniti nel 2016 a seguito del contributo degli scambi commerciali, ma l’espansione sarà comunque stabile il prossimo anno.
Crediamo che il miglioramento del mercato del lavoro alla fine farà salire i salari, pertanto confermiamo la previsione di un rialzo dei tassi da parte della Federal Reserve a dicembre. Difficilmente assisteremo a una sospensione dei servizi governativi a inizio novembre, ma persiste il rischio per metà dicembre.2 Per il prossimo anno prevediamo un insolito ciclo di rialzi e i tassi toccheranno l’1% entro fine 2016.
Eurozona al sicuro
Il rallentamento nei mercati emergenti finora non ha condizionato molto l’economia nell’Eurozona. La fiducia di investitori e imprese persiste, mentre i dati continuano a indicare una moderata espansione nel secondo semestre del 2015. La Germania è il paese più esposto a un calo della domanda dall'estero, ma al momento sembra sostenuta da Stati Uniti e Area Euro. Effettivamente, dato che la ripresa è prevalentemente locale, crediamo che per provocare un deragliamento dovrebbe delinearsi uno scenario molto più negativo dell’attuale. Il recente scandalo Volkswagen probabilmente avrà un impatto negativo sull’economia tedesca ed europea, vista l’enorme importanza dell’industria automobilistica nel settore manifatturiero. La portata dello shock è comunque alquanto incerta.3 Nel complesso, abbiamo rivisto leggermente al ribasso le nostre stime di crescita per il 2016 all'1,4%.
I timori di una recessione sono eccessivi…
Sembra un dejà vu. I mercati azionari globali sono scesi del 10% circa dai massimi di maggio, gli spread sulle obbligazioni societarie si sono ampliati molto, i rendimenti obbligazionari sono scesi e la volatilità è salita parecchio. Si sta delineando una recessione? Secondo noi, è altamente improbabile. La curva dei rendimenti in passato veniva utilizzata con buoni risultati per prevedere le recessioni4. Eppure, nel contesto attuale, con i tassi di interesse sullo zero nel segmento a breve termine della curva, questo indicatore diventa di fatto obsoleto. Inoltre, il mercato obbligazionario sconta un rialzo dei tassi come indicato dalla mediana delle aspettative. I membri del FOMC confermano ciò, anche se in misura minore. Secondo Gertler/Lown5, gli spread high yield sui titoli del Tesoro USA sono capaci di spiegare bene il ciclo economico. Lo spread medio nella maggior parte delle fasi di recessione del 1991, 2001 e 2008 è stato di circa 1.100 punti base. Presupponendo uno spread “normale” in una fase di espansione intorno a 400-500 associato a una recessione. Vista l’asimmetria degli spread HY e le relative variazioni di regime, suggeriamo di prendere questo dato con le pinze. E le azioni? Ipotizzando un mercato ragionevolmente efficiente, le variazioni dei prezzi dovrebbero riflettersi sugli utili o sulle previsioni di crescita. Oggi le aspettative di crescita dei ricavi sono intorno al 3-4%, ben lontane dall’1% di inizio e fine 2014. La correzione di agosto/settembre ha eliminato buona parte della sopravvalutazione. Certo, i P/E attuali intorno a 16-17x non invitano all’acquisto. Ma non possiamo aspettarci che i mercati scambino su valori sotto la norma dopo 7 anni di espansione e diverse fasi di QE negli Stati Uniti, in Giappone e in Europa. Infine, la volatilità è aumentata. È logico considerata l’incertezza a livello macro e microeconomico. Da tempo ci aspettavamo un aumento della volatilità quando la Fed avesse messo fine alla politica dei tassi a zero6. Eppure la portata della variazione ha colto tutti di sorpresa. È presagio di recessione? Onestamente, non lo sappiamo. Tuttavia, sappiamo che la volatilità sale in largo anticipo rispetto a una recessione e resta alta anche dopo. Fare una stima dei tempi comunque è come prevedere il futuro leggendo le foglie di tè. Crediamo che valga ancora la pena di investire in strumenti esposti al rischio nel breve termine.
… incrementare il beta nel breve termine
Le recenti reazioni del mercato sembrano eccessive. Crediamo che la crescita alla fine avrà la meglio. Nei prossimi trimestri potremmo assistere a un lieve miglioramento, per quanto attribuibile principalmente al rallentamento del primo semestre 2015. Inoltre non crediamo che un rialzo dei tassi da parte della Fed più tardi del previsto sia un fattore negativo. Terzo, la correzione delle valutazioni è stata sufficiente. A luglio i P/E scambiavano intorno a 20x. La correzione del mercato li ha spinti al ribasso verso un più ragionevole 17x. Quarto, crediamo che i mercati azionari siano semplicemente ipervenduti, come indicato dal nostro RAB (Figura 3) ancora sui minimi di ottobre 2011.
Manteniamo una posizione sovrappesata nel breve periodo, ma prendiamo atto che le prospettive per il mercato azionario nel più lungo termine appaiono meno rosee. Oggi suggeriamo di ridurre la posizione sovrappesata da tempo presente in portafoglio. Primo, è prevedibile che la crescita globale rallenti leggermente nel 2016 e i rischi per il 2017 verosimilmente sono saliti, a fronte di uno scenario di crescita dei ricavi ancora fragile. Non ci sorprenderebbe un calo dei ricavi previsti verso la metà del prossimo anno, attualmente intorno al +4% in un orizzonte di 12-18 mesi. Secondo, la fase di volatilità molto bassa ormai è finita.
Reddito fisso: ridurre i Bund a neutrale
Nell’ultimo mese i titoli sovrani hanno continuato a fare meglio degli strumenti più esposti al rischio, a fronte delle preoccupazioni per la crescita globale e l’inflazione costantemente bassa. Il rapporto sul mercato del lavoro negli Stati Uniti non ha fatto altro che alimentare l’incertezza e lascia presagire un rialzo dei tassi all’inizio del 2016. Peggio ancora, le aspettative del mercato nel più lungo termine sono scese. Circa il 70% del recente calo dei rendimenti dei Treasury dipende da una flessione del tasso a termine risk free che in ultima analisi riflette le aspettative del mercato a termine.
I mercati monitoreranno i dati che saranno pubblicati a breve per prevedere la data del rialzo dei tassi, ma a noi sembra un approccio poco lungimirante. C’è da chiedersi piuttosto se la Fed sarà in grado di alzare i tassi oppure no.
Noi crediamo che la crescita ragionevole, per quanto un po’ più lenta del previsto, abbinata al miglioramento dell’occupazione dovrebbe fornire alla banca centrale americana ragioni sufficienti per innalzare i tassi. Le tempistiche sono meno importanti. Se questa previsione si rivelerà corretta, allora è ragionevole prevedere un rialzo dei rendimenti dei Treasury nel giro di 12 mesi. Da qui deriva la nostra conclusione di rimanere prudenti nel breve periodo.
Cosa vuol dire questo per l’outlook più nel lungo termine? A meno di una modifica radicale delle nostre previsioni macroeconomiche e sulla Federal Reserve, non c’è ragione per non avere una posizione sottopesata. Una semplice analisi del breakeven mostra che un rialzo di 25 punti base dei rendimenti dei titoli del Tesoro USA basterebbe per annullare il rendimento delle cedole nei prossimi 12 mesi.
La recente flessione dei Treasury ha fatto scendere i rendimenti dei Bund verso lo 0,5%. Escludendo il rischio di una recessione imminente nell'Eurozona o di un nuovo QE extra-large, le Aree core Euro offrono poco valore. Di conseguenza, suggeriamo di ridurre la posizione sovrappeso a neutrale.
Tuttavia, confermiamo la nostra view positiva sulle obbligazioni dei paesi periferici dell’Eurozona. Dopo aver toccato i massimi a metà anno, gli spread si sono ristretti intorno a 110/120 punti base. La ripresa economica in corso e gli acquisti di titoli da parte della BCE sono le ragioni principali per mantenere una posizione al rialzo su questa categoria di investimento, nonostante l'aumento di volatilità mentre ci avviciniamo alle elezioni generali in Spagna.
Il mese di settembre 2015 è stato il peggiore dal 2011 e il quarto peggiore negli ultimi 17 anni. In particolare ne ha risentito il segmento high yield negli Stati Uniti a seguito dell'incontro dell'FOMC, sostanzialmente stabile dopo le correzioni dell’estate. A fronte dell’incertezza sugli interventi della Federal Reserve, la possibilità di un nuovo Quantitative Easing da parte della Banca Centrale Europea e della Banca del Giappone, una stagione degli utili difficile e i rischi idiosincratici collegati allo scandalo Volkswagen, gli spread di credito probabilmente resteranno volatili.
In genere il mese di ottobre è positivo per il credito e l’high yield, se escludiamo il 2008. Inoltre, le valutazioni sembrano interessanti al di fuori di un periodo di recessione. Per esempio gli spread high yield in USD in questo momento implicano un tasso di insolvenza a 12 mesi del 3,3%, presupponendo che il 30% dello spread tenga conto delle perdite previste e di un tasso di recupero del 40%. È più basso del tasso di insolvenza annuale dal 2000, esclusa una recessione. Pertanto la nostra conclusione è che il segmento high yield negli Stati Uniti offre valore.
Azioni: aumentare nel breve l’esposizione ciclica tramite EM Asia; nel lungo ridurre la posizione negli Stati Uniti a sottopeso
Nel mercato azionario, confermiamo una view prudente negli Stati Uniti, che certamente hanno beneficiato della condizione di “porto sicuro” nei periodi di forte volatilità. Nel più lungo termine invitiamo alla prudenza. In previsione del 2016 e 2017 intravediamo molti ostacoli. Primo, abbiamo rivisto al ribasso le previsioni di crescita negli Stati Uniti al 2,2%, poco oltre il potenziale, e non ci sorprenderebbe un nuovo calo della crescita nel 2017. Secondo, nel giro di un anno gli utili dovrebbero invertire ancora la tendenza poiché la crescita dei salari supererà l’aumento della produttività erodendo i margini. Terzo, prevediamo una contrazione delle condizioni finanziarie poiché la leva finanziaria elevata, oggi perfettamente ragionevole, si trasformerà in un boomerang.
Manteniamo una posizione sovrappeso su Eurozona e Giappone in considerazione degli stimoli monetari. Prevediamo che entrambe le banche centrali proseguiranno con il QE. Per quanto concerne la BCE, ci aspettiamo più parole che interventi. Tuttavia, la Banca del Giappone non sarà soddisfatta degli ultimi dati economici e crediamo che il Governatore Kuroda opterà per un aumento della liquidità probabilmente in occasione dell’incontro del 30 ottobre.
Nel corso dell’ultimo mese, i mercati emergenti hanno iniziato a riportare performance più brillanti di altri paesi nonostante i timori per la crescita in aumento, l’andamento negativo degli utili e i flussi di capitale in uscita. In effetti i fondamentali non sono affatto positivi. Il calo strutturale della crescita del PIL globale nominale implica nella migliore delle ipotesi una crescita degli utili tra l’1 e il 3%, mentre la leva finanziaria delle imprese è aumentata. La debolezza della valuta indica nuovi ribassi per il mercato azionario, almeno in termini relativi. Le valutazioni, che oggi scambiano su 12 volte gli utili, sembrano invece favorire i mercati emergenti.
Non tutto è negativo. All’inizio di luglio avevamo ridotto la posizione nei mercati emergenti in Asia a neutrale. Oggi crediamo che sia il momento per aumentarla. Il mercato scambia su multipli di 11x, in linea con una crescita degli utili pari a zero, quindi potrebbe esserci spazio per qualche sorpresa positiva. Secondo, ci sono segnali incoraggianti sul fronte della crescita in Cina. Terzo, prevediamo che le autorità politiche della regione interverranno a sostegno della crescita come ha dimostrato la mossa a sorpresa della banca centrale indiana.
I rischi
Cina: un rallentamento più rapido e più brusco del previsto al di sotto del 6%, l’incapacità delle autorità di gestire la transizione verso un'economia aperta e orientata al mercato.
Mercati emergenti: i timori che la stretta monetaria della Federal Reserve possa accelerare i deflussi di capitale, recessione e ripercussioni sulle economie sviluppate.
Terrorismo globale, compresi attacchi cibernetici, instabilità in Medio Oriente e relative conseguenze
Le forze deflazionistiche prevalgono nell’Eurozona e, ancora peggio, si riversano in altre regioni.
Reazione popolare contro le politiche economiche e maggiore instabilità in Europa:
− i partiti più radicali potrebbero guadagnare consensi
− divergenza fiscale nell’Area Euro
− riemerge la Grecia
Exit strategy mal congeniate dalle grandi banche centrali.