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BREXIT o BREMAIN… qual è il male minore?

Non avrebbe molto senso decidere l’asset allocation in base a dei futuri risultati elettorali. D’altro canto, gli scenari e i rischi devono essere soppesati, soprattutto se ci attende un’importante scadenza elettorale come può essere quella del referendum britannico.

di Redazione Soldionline 16 giu 2016 ore 11:45

A cura di Amundi

Non avrebbe molto senso decidere l’asset allocation in base a dei futuri risultati elettorali. D’altro canto, gli scenari e i rischi devono essere soppesati, soprattutto se ci attende un’importante scadenza elettorale come può essere quella del referendum britannico. Gli ultimi sondaggi sembrano essere a favore di una BREMAIN (anche se i sostenitori della BREXIT hanno guadagnato terreno), e il dibattito sulla BREXIT/BREMAIN in molti casi si è limitato a queste due conclusioni:
1. Un rischio per i mercati finanziari in caso di BREXIT, una pacificazione in caso di BREMAIN;
2. Un rischio economico per il Regno Unito e un rischio politico per l’Unione europea. Purtroppo, la situazione non è così semplice. Ecco il nostro punto di vista sulla questione.


Qual è il rischio per il Regno Unito?
brexit_1Un rischio economico ben definito:
il 50% delle esportazioni britanniche ha come destinazione i Paesi dell’Unione europea e, in termini di PIL, i volumi commerciali con l’UE rappresentano il 65% del PIL rispetto al 20% degli anni Sessanta. Se il Regno Unito (RU) uscirà dall’UE, il volume e i costi degli scambi commerciali ne risentiranno, così come i settori che sono fortemente integrati nell’Unione europea (servizi finanziari, chimica, settore automobilistico). La svalutazione della sterlina di certo favorirebbe il commercio britannico, ma secondo le stime, vista la fine del passaporto europeo e la scomparsa degli accordi con l’UE, l’impatto sul PIL sarebbe significativamente negativo. La Borsa di Londra non è in pericolo, ma non si può escludere che l’UE possa/debba trarre vantaggio da questa nuova situazione per promuovere l’apertura di una piazza finanziaria nell’Europa continentale. A titolo esemplificativo, per quanto riguarda la crescita economica, l’OCSE ritiene che il Regno Unito perderà il 3%-8% del PIL, mentre gli industriali inglesi sostengono che l’UE contribuisce solo nella misura del 4%-5% del PIL, ovvero attorno ai 70 miliardi di GBP.
Questi dati vanno affinati in base ai diversi scenari relativi al "trattamento" del Regno Unito:
• Se il RU rimarrà, come la Norvegia, nello Spazio Economico Europeo (che annovera 31 Paesi), il costo sarà di €3.345 euro annui a famiglia (ovvero una perdita del PIL del 3,8% su 15 anni);
• Se il RU firmerà degli accordi bilaterali con l’UE, come ha fatto negli ultimi anni la Svizzera, il costo sarà di €5.528 euro annui a famiglia (una perdita del PIL del 6,3% su 15 anni)… Ricordiamoci tuttavia che i negoziati per gli accordi commerciali durano in media dai 7 ai 10 anni!
• Se il RU deciderà di non rinegoziare con l’UE, il costo sarà molto più alto, €6.689 euro annui a famiglia, ovvero una perdita del PIL del 7,4% su 15 anni.

Alla luce di quanto detto, comprendiamo meglio perché il mondo degli affari, la Bank of England e il Ministero del Tesoro britannico, tanto per citarne alcuni, mettano in guardia gli elettori inglesi sulle conseguenze della BREXIT.

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Un rischio politico non trascurabile:
uscendo dall’UE, il RU riacquisterebbe la sua indipendenza, e alcuni seggi nelle principali organizzazioni internazionali, ma conviene ricordarsi che lo schieramento pro-BREXIT non è omogeneo, anzi. Alcuni (estremisti) rivendicano l’indipendenza totale, persino la chiusura delle frontiere (protezionismo, blocco dell’immigrazione), mentre altri, i liberali, vorrebbero alleggerire i vincoli regolamentari imposti dall’UE e poter rinegoziare tutte le condizioni (comprese quelle commerciali). In che modo queste due anime del movimento pro-Brexit troveranno un accordo in caso di vittoria? Inoltre, c’è il forte rischio che la Scozia richieda un nuovo referendum sull’indipendenza, visto che gli scozzesi non hanno mai fatto mistero dei loro forti legami con l’Europa. E non dimentichiamoci poi che la maggior parte del petrolio inglese si trova in territorio scozzese. E se invece dovesse esserci una BREMAIN, quale sarà la posizione di David Cameron? Ne uscirà rafforzata in caso di un’ampia vittoria o indebolita in caso di una vittoria risicata? Ci saranno nuove elezioni? Regna una grande incertezza.


Qual è il rischio per l’Unione europea?
Un rischio economico moderato:
è assai verosimile che l’uscita della Gran Bretagna dall’Unione non avrà grandi conseguenze economiche dirette per gli Stati membri. I Paesi più penalizzati saranno quelli che hanno stretti legami con il RU, in particolare l’Irlanda, ma anche Lussemburgo, Belgio, Svezia, Malta e Cipro.
Un rischio politico non trascurabile: di recente i Paesi EU hanno fatto alcune concessioni al RU ( sull’immigrazione, sulla sovranità e sulla governance) per evitare lo scenario della BREXIT. La mancanza di solidarietà in seno all’UE si è manifestata ogniqualvolta c’è stata una concessione, con alcuni Paesi che si mostravano interessati all’una o all’altra concessione. L’uscita del RU significherebbe diverse cose: i) innanzitutto che è possibile lasciare l’UE e che nulla è irrevocabile; ii) che è possibile ottenere delle concessioni in qualsiasi momento; e iii) che l’Europa à la carte non è più solo una fantasia. Senza arrivare ad agitare lo spauracchio del disfacimento dell’UE, vediamo chiaramente, tramite il referendum, quale sia il “bastone tra le ruote" lanciato dagli inglesi sulla governance dell’UE. Gli europei saranno capaci di mobilizzarsi (governance semplificata, integrazione di bilancio e fiscale, federalismo, leadership più forte, miglioramento del mercato del lavoro…) e di far avanzare le istituzioni? Si tratta di una questione cruciale che dovrà essere affrontata qualunque sia l’esito della consultazione britannica, perché è valida sia in caso di BREXIT, sia in caso di BREMAIN. L’avanzata degli estremisti e dei populisti (a destra, nei Paesi core dell’Europa, e a sinistra nei Paesi periferici) va di pari passo con il peggioramento della situazione economica e con la mancanza di governance nell’UE. Il referendum sarà un elemento propulsore o provocherà uno stallo? Questo, in breve, è il problema dell’UE.


Quali conseguenze per i mercati finanziari?

E' fuori questione che i mercati finanziari preferiscano la BREMAIN. Ciò non muterà ovviamente una situazione complessa, ma si tratta di una situazione conosciuta e che ha fatto parte della quotidianità per molti anni. Per contro, una BREXIT rappresenta un salto nel buio: non tutto sarà deciso rapidamente (ci vorranno due anni prima che il RU esca ufficialmente), ma nessuno sa come verranno risolti i problemi prima illustrati. Quindi si può scommettere sull’ipotesi di reazioni estreme che provocheranno un ampliamento degli spread del credito e un indebolimento della sterlina, ma anche dell’euro. Sembra ragionevole non scommettere su un apprezzamento dei titoli britannici: qui è in corso una lotta tra una sterlina debole (favorevole) e la fine degli accordi commerciali e l’impatto (negativo) su alcuni settori importanti. Di fronte a queste incertezze, dovremmo conviene ritenere probabili dei deflussi di capitale sia dal RU, sia dall’UE. All’occorrenza la BCE potrebbe approfittarne per accelerare i suoi acquisti di attivi, e ciò rende i mercati del reddito fisso dell’UME una zona relativamente protetta.

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