Come sta chiudendo il 2020 delle principali Borse
Come stiamo archiviando questo periodo travagliato? Molte borse hanno dimostrato una buona resilienza alla pandemia. Altre meno. E le commodities...
di Redazione Soldionline 22 dic 2020 ore 14:04Mai come quest’anno il Capodanno è atteso come una data quasi salvifica, una svolta che consenta di archiviare un 2020 che secondo la rivista Time è stato il peggior anno da molto tempo a questa parte. Eppure le Borse hanno dimostrato una buona resilienza complessiva alla pandemia, che di contro anche sui mercati non meno che sugli umani si è dimostrata meno devastante nel passaggio dalla prima alla seconda ondata. Piazza Affari è stata quella che per prima ha toccato i minimi dell’anno, perché l’Italia è stato il primo Paese occidentale colpito da Covid-19, ed anche una delle poche a chiudere l’anno su livelli inferiori a quelli a cui l’aveva iniziato, Germania, UK, Usa, Cina e Giappone, che pure hanno toccato i minimi appena qualche giorno dopo l’Italia, sembrano avviate ad archiviare il 2020 registrando comunque una crescita.
La resilienza delle Borse nel 2020
L’Italia è il Paese che più ha sofferto l’impatto del coronavirus, non solo in termini di perdita di vite umane ma anche di perdite sui mercati. L’indice principale di Piazza Affari a Milano, il FTSEMib, si avvia infatti a chiudere l’anno (ndr: dato di chiusura di venerdì 18 dicembre) in calo di circa l’8% (era a quota 21.969,16): dopo aver aperto il 2020, il 2 gennaio, a 23.826,26 punti era andato in crescendo fino all’individuazione del primo italiano malato di Covid-19 a Codogno. Toccata quota 24.773,15 punti proprio il 21 febbraio, il giorno in cui il “paziente zero” risultò positivo al tampone, è sprofondato a quota 12.894,44 appena un paio di settimane più tardi, il 12 marzo, in coincidenza col lockdown disposto dal governo in tutta la penisola e con la brusca uscita con cui la governatrice della Bce Christine Lagarde ricordò che tra i compiti istituzionali della Banca centrale europea non rientra ufficialmente quello di preoccuparsi dello spread dei titoli emessi dai Paesi dell’Eurozona (spread molto alto per chi, come l’Italia, abbina un alto debito pubblico e una forte propensione alla spesa pubblica).
Oscillazioni analoghe ha registrato anche la Borsa tedesca di Francoforte, dove però l’indice DAX si avvia a chiudere l’anno in crescita: 13.538,75 punti (al 18 dicembre) contro 13.385,93 (al 2 gennaio), dopo aver toccato il picco di 13.789,00 punti il 19 febbraio e il minimo di 8.441,71 il 18 marzo. Anche la Borsa di Londra si avvia verso una chiusura positiva, nonostante tutte le incertezze in merito all’implementazione della Brexit: precipitato anch’esso al suo minimo (sotto i 6.000 punti) il 18 marzo, l’indice LSE ha guadagnato oltre 1.200 punti dal 2 gennaio al 18 dicembre, passando da quota 7.700 a quota 8.922 (con picco oltre i 9.000 punti il 24 ottobre). Rispetto alla crescita di poco superiore all’1% registrata dalla Deutsche Boerse, il London Stock Exchange ha messo a segno un incremento di quasi 16 punti percentuali.
La Cina ha invece registrato un andamento difforme nelle sue 2 principali piazze finanziarie, negativo a Hong Kong e positivo a Shanghai. Nell’ex colonia britannica l’indice Hang Seng ha perso circa 7 punti percentuali e mezzo aprendo l’anno a quota 28.543,51 il 2 gennaio e ritrovandosi a quota 26.430,90 il 18 dicembre (lontano tanto dai 29.056,41 punti del 17 gennaio come dai 21.696,13 del 20 marzo); l’indice SSEC della Borsa di Shanghai ha invece guadagnato il 10%: salutato il 2020 a quota 3.085,20 punti, il 18 dicembre è arrivato a quota 3.394,90. Analogamente a quello di Hong Kong, anche l’indice di Shanghai ha ‘volato basso’ in primavera, quando le notizie relative alla pandemia provenienti dall’epicentro di Wuhan erano tutt’altro che confortanti, ma diversamente da Hong Kong, dopo aver toccato il minimo lo stesso giorno (2.722,44 il 20 marzo) ha toccato il proprio picco nella seconda parte dell’anno (3.450,59 punti il 10 luglio), quando la situazione a Wuhan si era sostanzialmente raddrizzata. Il diverso andamento delle 2 Borse può forse trovare spiegazione nelle frizioni con Pechino che interessano Hong Kong ma ovviamente non Shanghai.
L’indice giapponese Nikkei 225 ha registrato un aumento intorno al 15%: il 6 gennaio (primo giorno di contrattazioni alla Borsa di Tokyo) era a 23.204,85 punti, il 18 dicembre a 26.768,5 (in mezzo ci sono stati il minimo di 16.552,83 punti il 19 marzo e il massimo di 26.817,93 il 9 dicembre).
Negli Usa i principali indici di Borsa hanno seguito un indirizzo univoco verso la crescita. Il Nyse è partito da quota 13.947,50 il 2 gennaio per raggiungere il massimo il 18 dicembre, a quota 14.467,81; nello stesso arco di tempo il Dow Jones è passato da 28.868,80 a 30.179,05, il Nasdaq da 8.872,22 a 12.738,18, S&P500 infine è cresciuto da 3.257,85 a 3.701,17. A parte S&P500, che ha registrato la sua peggior giornata il 23 marzo, tutti questi indici hanno toccato il loro minimo il 20 marzo e tutti, senza eccezioni, hanno raggiunto i propri massimi nella settimana conclusasi il 18 dicembre. In termini percentuali, l’indice più performante è stato il Nasdaq, che nel 2020 marcia con un tasso di crescita di oltre 43 punti percentuali, seguito dallo S&P500, con un passo di +13% abbondante; Dow Jones e Nyse si fermano invece su tassi di crescita rispettivamente intorno al 4,5% e al 3,7%. Pesa, evidentemente, la forte spinta che lockdown e misure di contenimento varie in ogni angolo del globo hanno impresso ai titoli tecnologici.
La nuova gerarchia delle materie prime: oro e petrolio (e il bitcoin?)
In un anno dominato dalla paura l’oro ha ovviamente acquisito valore ma come bene-rifugio sembra aver trovato un temibile concorrente nel Bitcoin che molti iniziano a definire una “riserva di valore”. Al 18 dicembre infatti un’oncia d’oro valeva il 23,06% in più che al 2 gennaio (1.881,49 dollari contro 1.528,9, dopo il minimo di 1.486,1 toccato il 18 marzo e il massimo di 2.018,1 del 4 agosto), ma la criptovaluta quello stesso giorno è arrivata a valere 18.879,56 dollari, il valore massimo da quando esiste, con un apprezzamento di quasi il 300% rispetto ai 6.398,09 dollari della quotazione dell’1 gennaio (che si erano pure ridotti a 4.790,5 il 15 marzo).
Bloccando la mobilità, il lockdown ha pesato notevolmente anche su petrolio. Sia il Brent che il Wti, le 2 principali tipologie di petrolio commerciate sui mercati, si apprestano a chiudere il 2020 con una perdita di circa un quinto del valore con cui avevano iniziato l’anno. Quotato 61,14 dollari al barile al 2 gennaio, il Wti è comunque risalito dall’incredibile livello di 0,009 che aveva toccato il 20 aprile (quando la scarsa domanda di carburante ne aveva fatto un prodotto di cui liberarsi per non pagare i costi di uno stoccaggio ben più lungo del previsto) fino ai 49,06 dollari del 18 aprile, comunque lontano dal picco di 63,02 dollari del 3 gennaio.