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Ma l’America è lontana, e la Cina ancor di più

Il Dow Jones raggiunge un nuovo massimo, ma nel complesso i mercati finanziari degli States potrebbero rifiatare dopo la lunga corsa. Tuttavia, opzioni e futures sono ancora impostati alla fiducia.

di Mario Elia 31 lug 2017 ore 15:23

Trump non ne sta azzeccando una e sabato scorso, dopo aver maldestramente invitato le forze dell’ordine a non essere troppo gentili, ha incontrato la freddezza generale e suscitato il commento piccato dell'International Association of Police Chiefs: "… Gli agenti sono addestrati per trattare tutti con dignità e rispetto". Ma nonostante le sconfitte, le avversità e le gaffes del presidente, l’economia e i mercati azionari continuano nel loro percorso.

Così, in Usa, come in tutti gli stati a orientamento capitalistico, continua ad allargarsi la forbice tra le classi elevate e lo strato più povero della popolazione. Quest’ultimo, infatti, non può accedere alla festa dei listini che rimpingua a non finire i tanti Paperoni. Mentre sulle vette finanziarie i vari Bezos, Gates, Zuckerberg e Buffett, si contendono il primato, possiamo solo immaginare quale sarebbe lo sgomento del grande e inascoltato perequatore polacco Zygmund Bauman, scomparso all’inizio del 2017.

 

RIALZI E RIBASSI NEL MONDO

Veniamo a noi. La settimana appena conclusa ha confermato gli indizi messi a fuoco da analisti e operatori: le borse mondiali si sono infatti mosse in diverse direzioni. Tentiamo una sintesi comprensibile:

In rialzo

  • Dow Yones, New York: da 21.569 a 21.833 punti (la crescita non rallenta, anzi raggiunge un nuovo vertice);
  • S&P500, New York: da 2.470 a 2.472 (la crescita rallenta sensibilmente);
  • Hang Seng, Hong Kong: da 26.680 a 26.981 (apprezzabile rialzo);
  • Nikkei 225, Tokio: da 19.959 a 19.963 (crescita frazionale, ma caduta nella quarta e quinta seduta);
  • Ftse Mib Milano: da 21.185 a 21.416 punti (ma discesa nella quinta seduta).

Di quest’ultimo presentiamo il grafico settimanale:

ftse-mib-31-7

In ribasso:

  • Nasdaq 100, New York: da 5.922 a 5.909 (ritracciamento nella quarta seduta);
  • Dax 30, Francoforte: da 12.205 a 12.163 (caduto anch’esso nella quarta seduta);
  • Cac 40, Parigi: da 5.133 a 5.120 (sceso nella quarta e quinta seduta);
  • Ftse 100, Londra: da 7.428 a 7.364 punti (fatale la quinta seduta).

Al termine di questa carrellata, siamo orientati a ritenere che, collegati i dati alle economie, rimangano interessanti solo le piazze cinesi e statunitensi, anche se queste ultime hanno davvero corso molto e potrebbero registrare segni di rallentamento.

Gli investitori italiani optano nella maggior parte dei casi per Piazza Affari (the home bias, ricordato da Andrea Curti e Fabio Donalisio), ma non dovrebbero dimenticare le condizioni dell’economia del Belpaese, il cui debito pubblico (stando a S&Poor’s, Moody’s, Fitch e Dbrs) è valutato da BBB a BBB- e che l’ufficio studi della CGIA di Mestre ha appena testualmente pubblicato che “… le nostre imprese versano al fisco 105,6 miliardi di euro l’anno: nell’Unione europea solo le aziende tedesche pagano un importo complessivo superiore, 135,6 miliardi, anche se va ricordato che la Germania conta 22 milioni di abitanti in più dell’Italia.

Ma il carico fiscale sulle imprese italiane non ha eguali nel resto d’Europa quando misuriamo l’incidenza percentuale delle tasse pagate dalle aziende sul gettito fiscale totale. Se da noi la percentuale è del 14,9, in Irlanda è del 14,8, in Belgio del 12,9, nei Paesi Bassi del 12,7, in Spagna dell’11,8, in Germania e in Austria dell’11,6. La media dell’Unione europea è pari all’11,5 per cento.”

Né deve illudere l’ultima sortita dell’Fmi, che per l’Italia prevede un + 1,3% nel 2017 e + 1% nel 2018. Come fa a saperlo, se la realtà scorre sempre imprevedibilmente e il Fondo non ne ha quasi mai previsto correttamente le evoluzioni?

LEGGI ANCHE: Fmi: Italia accelera con Eurolandia, frenata Usa

Ma diffidiamo dalle esternazioni promosse da Christine Lagarde, tanto quanto prendiamo le distante dall’Istat che, a seguito dell’introduzione della moneta unica, non avvertì la chiara inflazione, con i prezzi di beni e servizi raddoppiati da 1.000 lire a 1 euro.

 

LA CLASSE POLITICA NON RISOLVE I VERI PROBLEMI ITALIANI

Ora il nostro governo diligentemente “studia ipotesi” sul taglio delle tasse del 50% nei primi tre anni di contributi per i giovani assunti a tempo indeterminato. Così, mentre da tempo riflette sulla disoccupazione giovanile, in tutta fretta approva il salvataggio di Veneto Banca e Popolare di Vicenza. Oggi stesso Banca Intesa ne dovrebbe assorbire, con un esborso statale di 5,2 mld di euro, la parte “sana”, mentre quella “malata” sarà ancora a carico dei contribuenti. Apprendiamo che Padoan avrebbe affermato che “… le risorse mobilitate arrivano fino a 17 miliardi.” E che l’Ue ha approvato l’operazione.

Francamente dovremmo concludere che le decisioni governative sono succubi delle forze economiche e questo ce l’hanno insegnato i grandi economisti, ma a lungo andare lo avremmo anche capito da soli. Chi opera veramente per il bene del Paese? E se per caso operasse in forme utopistiche, forse, come scriveva Adam Smith, causerebbe più danni che vantaggi. In tale modo la cura potrebbe essere peggiore della malattia.

Per la politica è quasi impossibile prendere le distanze dal potere economico, a meno di instaurare un regime assolutistico, il quale ha prodotto nel Novecento immani disastri (Germania, Giappone, Italia, Cina ed anche Russia). La stessa Santa Sede, che sembrerebbe retta da una “monarchia assoluta” (Costantino Mortati), deve tenere presente lo status quo: Papa Francesco (dalla vocazione “francescana” al di là del nome prescelto), a mala pena riesce a moderare l’establishment della Curia romana.

Invece, senza andare troppo indietro nel tempo, ricordiamo qui due figure che hanno positivamente operato per le rispettive collettività: il tedesco Gerard Schröder e lo statunitense Paul Volcker.

Il primo è stato Cancelliere dal 1998 al 2005 e, con lungimiranti programmi, ha rafforzato i contatti con esponenti dei sindacati, associazioni industriali e società di consulenza, ponendo le basi del futuro successo economico germanico; il secondo è stato presidente della Fed dal 1979 al 1987 e ha duramente lottato contro l’insidiosa “stagflation” (stagnazione economica più inflazione, causata dal forte aumento del petrolio da parte Opec). La sua politica monetaria restrittiva (“Volcker Shock”) ha permesso di stabilizzare i prezzi e l’inflazione calò dal 13,5% del 1981 al 3,2% del 1983.

 

SPUNTI DA TENERE D’OCCHIO ANCHE A PIAZZA AFFARI

Ora, tornando allo studio chi abbia fatto bene nell’ultima ottava, incontriamo al terzo posto Prelios S.p.A., della quale SoldiOnline fornisce grafico e dati. Vediamo il primo:

prelios_5

Dopo due brusca discesa, osserviamo un forte rialzo conclusivo che conferma la tendenza degli ultimi tre mesi.

L’azienda, nata come Pirelli & C. Real Estate e quotata a Milano nel 2002, si occupa di servizi immobiliari (ma non è del tipo Brick and Mortar), soprattutto in patria e in Germania. Negli anni, ha avuto notevoli difficoltà per l’elevato indebitamento (con conseguente caduta a Piazza Affari) ed è ricorsa ad aumenti di capitale e spin-off.

Ora sembra forse avviata a camminare con le proprie gambe. Soci dell’azienda sono , tra gli altri, Camfin, Generali, Intesa Sanpaolo, InvescoMediobanca e Unicredit.

La performance annua è interessante, ma occorre un approccio tecnico, con estrema cura del timing e dello stop loss.

Dati Fondamentali

  • Market Cap: 131.629.262
  • P/E [2016]: -4,422
  • Dividendo: 2,06
  • Dividend Yield: 1.763,70 %
  • EPS [2016]: -0,026
  • Settore: FIN: immobiliari
  • Min - Max 52 set: 0,086 - 0,120
  • Performance annua: 47,47 %

 

LA DONCHIAN STRATEGY RESTA RIALZISTA

Il grafico costruito con medie mobili semplici sulle chiusure dello S&P500 indica un leggero rallentamento, ma si pone sempre in senso long:

medie-mobili_1

Riconsiderando il passato prossimo, chi fosse entrato secondo le indicazioni della figura avrebbe acquistato a 2.443 punti ed ora, a quota 2.472, registrerebbe un profitto pari all’1,18% in soli 13 giorni. Non è sempre così semplice, ma seguendo il method che abbiamo più volte illustrato si è portati a concludere che nel tempo si possono aumentare le risorse a disposizione. E non ci si lamenti se di tanto in tanto il risultato dell’entry/exit è di segno negativo. Le analisi e le procedure, per quanto basate su molteplici dati, non possono prevedere il futuro. Invitiamo a rispettare le regole del trading e a non trascurare mai lo stop loss.

 

LE SFERE DI CRISTALLO

L’analisi tecnica (che è più incisiva se confortata dalla consorella fondamentale), è molto attenta all’umore degli investitori. Abbastanza utile è quindi lo studio dell’indice Vix, che misura la mutevolezza o meno delle opzioni sull’S&P500 al Cboe di Chicago:

indice-vix_10

È pur vero che nelle ultime due sedute si è avvertito un progresso della paura da 9,6 a 10,29 punti. Ma non si può certo parlare di nuvole minacciose, perché siamo ben lontani dalle quotazioni più rischiose. Solo la settimana appena iniziata ci saprà dire se è il segno di un cambiamento di rotta o se si tratta di un movimento fisiologico. Siamo propensi a credere che l’esplosione di una bolla debba manifestarsi con un piccolo terremoto piuttosto che annunciarsi con tenui aggiustamenti.

Nello stesso senso, anzi, più ottimistico, si muove il sentiment di chi opera sui futures del Cme, sempre a Chicago.

sentiment-futures_3

Le rilevazioni delle ultime 6 settimane sono in crescendo, con la prima linea dall’altro che si sovrappone alla penultima, rendendola invisibile. La fiducia per la scadenza di dicembre 2021 è passata in un mese e mezzo da 2.538 a 2.589 punti. Se sono rose, fioriranno.

 

GRANDI ECONOMISTI CONTRO GRANDI ECONOMISTI

Procediamo con i grandi teorici dell’economia politica, mettendone in luce, grazie ai lavori di Ricossa, Galbraith, Krugman e alle considerazioni di altri studiosi, le polemiche, i dissensi e i reciproci attestati di stima.

Richard Khan (1905 – 1989) è stato un economista inglese formatosi all’università di Cambridge, ove poi insegnò per molti anni. È noto per aver elaborato la teoria del “moltiplicatore dell’occupazione”, esposta in un articolo che influenzò Keynes e gli valse parecchie citazioni nella notissima “Teoria generale dell'occupazione, dell'interesse e della moneta”.

In cosa consiste? Nell’idea che in momenti di stagnazione, di recessione o ancor peggio di depressione, gli investimenti pubblici in conto capitale (e non in conto spesa corrente) possano aumentare il tasso di occupazione, così che un maggior numero di occupati riesca ad accedere ai consumi, facendo ripartire il volano dell’economia.

Khan fu oggetto di osservazioni da parte degli italiani Achille Loria e Vittorio Matuieu. Il primo scrisse di lui: “… Ho sempre pensato (e l’ho detto) che il moltiplicatore di Keynes, o meglio di Khan, sia fondato sopra un errore teorico; eppure tutti gli economisti patentati gli stanno intorno, per ripeterlo, infiorarlo dei loro eruditi commenti, e acclamarlo come una grande scoperta della nuova scienza…”

Il secondo fu ancora più esauriente: “… Fromm e Kleyn nel 1973 paragonarono undici modelli econometrici nella loro capacità di predire gli effetti del moltiplicatore dovuti a una spesa pubblica addizionale di un miliardo di dollari. La Brokings Intitution, in capo a un anno previde un aumento del prodotto nazionale lordo di quasi tre miliardi di dollari e, tre anni dopo, ancora un vantaggio di due miliardi. La Federal Reserve Bank previde in capo a sei mesi un aumento esattamente eguale al miliardo di dollari immesso, e dopo 18 mesi una stabilizzazione del reddito leggermente al di sotto del livello iniziale. Tutte le altre stime sono diverse, comprese tra questi due estremi. Ex falso sequtur quod libet…”

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