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Algoritmi in ritardo sulla realtà?

L’utilizzo dei modelli matematici e della finanza cosiddetta quantitativa potrà sicuramente portare dei benefici, e dei risultati migliori. Ma a certe condizioni

di Valter Buffo 13 ott 2020 ore 09:45

Commento di recce-d.com


analisi-tecnica-ftsemibLa settimana scorsa vi abbiamo suggerito una domanda: come faccio a sapere se all’algoritmo hanno dato buone istruzioni? Valide? Che mi faranno guadagnare? E’ scritto nero su bianco, dalla CONSOB italiana, e vale anche per gli altri mercati, che le Autorità di Vigilanza non vigilano: nel senso che non si assumono alcuna responsabilità in merito alla bontà, alla efficacia, alla solidità delle idee che stanno dietro agli algoritmi che sono utilizzati oggi, sia dai fondi comuni sia dai cosiddetti robo-advisors, soggetti che a voi spiegano che la macchina “elimina l’emotività dalle scelte di investimento”. Che sicuramente è vero: ma da qui, a garantire un risultato migliore, di strada da fare ce n’è moltissima.

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Oggi ripartiremo proprio da qui: o meglio, dalla risposta fornita a questa domanda, la settimana scorsa, da uno dei maggiori professionisti del ramo Quant, e precisamente dal Responsabile della Divisione Quant di Bernstein, società USA di gestione. Riportiamo direttamente le sue parole sopra, e le traduciamo qui sotto senza alterarne il significato. Si tratta di parole che possono avere una grande rilevanza pratica per tutti gli investitori, professionali e non.

Uno dei più conosciuti analisti Quant di Wall Street ha lanciato un forte attacco all’ìintero settore degli algoritmi, che è stato un’altra volta messo al tappeto dai mercati nei mesi della pandemia.

Inigo Fraser Jenkis ha alzato la voce e denunciato le sue critiche dei modelli di asset-allocation che agiscono in automatico, attraverso gli algoritmi, nei ribilanciamenti dei portafogli. Denuncia il fatto che questi modelli dipendono in una misura eccessiva sul comportamento passato degli assets (back-testing), sul concetto di diversificazione, e sul concetto di “ritorno verso la media”.

Strategie che si basano su concetti quali ad esempio “le azioni value”, che sembrano sulla carta molto convincenti, continuano a perdere soldi sui mercati finanziari perché tutti i metodi sistematici di gestione affidati ad algoritmi di calcolo non sono in grado di recepire i profondi cambiamenti in atto.

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Ecco riassunto, in modo efficace, uno dei più importanti messaggi che Recce’d vuole trasmettere ai lettori con questa serie di contributi, che è arrivata oggi al numero 28. Ammettiamolo: noi non avremmo saputo esprimerlo in modo più chiaro, e sottolineiamo che queste parole sono state pronunciate, solo poche giornate fa, da un professionista la cui carriera si è sviluppata esattamente su quei metodi da cui oggi prende le distanze. Possiamo facilmente immaginare il profondo disagio. Vi chiediamo però di fare attenzione anche ad altro: ed in particolare agli accenni alla diversificazione e al “ritorno verso la media”. Questi due argomenti li potete trovare, affrontati da noi di Recce’d, sia nell’archivio di SoldiOnline.it sia nell’archivio del Blog del nostro sito. E si tratta di due temi fondamentali.

  • Primo tema: la diversificazione non è quella cosa che vi hanno fatto credere per trent’anni. Non si fa nessuna diversificazione, se si buttano, chiudendo gli occhi, i propri soldi in tanti fondi comuni diversi, oppure un po’ negli USA ed un po’ in Asia, e magari un po’ sui mercati emergenti. E’ un falso. Ottenete diversificazione solo se con i vostri investimenti operate su diverse fonti di rischio. Esempio concreto, che voi stessi avrete già osservato: se mettete soldi un po’ a New York, un po’ a Tokyo, e un po’ sullo Stoxx50, ma poi tutte le Borse scendono tutte insieme, ma che diavolo di diversificazione sarebbe, quella?
  • Secondo tema: il ritorno verso la media. Un secondo falso, anche più grave del primo. I mercati finanziari non riconoscono alcuna media, perché non hanno alcuna memoria. In Recce’d siamo davvero sorpresi, quando un investitore dimentica l’indice Nikkei di Tokyo, a 40.000 punti trent’anni fa, e l’indice della Borsa di Milano, a 45.000 punti venti anni fa. L’investitore che si fa imbambolare dal solito, vecchio, consunto grafico dell’indice di New York prova veramente un desiderio di farsi del male da solo, credendo ad una favola. Il Nikkei di Tokyo era in una bolla trent’anni fa, e probabilmente non ci tornerà mai più. Oggi la bolla è a New York, e forse tra vent’anni l’indice che oggi vale 3.000 punti ne varrà solo 1000. E’ assurdo costruire quelle asset allocation con i “rendimenti medi a 10 anni” presi dal passato: è un modo per gettare i propri soldi in un ruscello, per vedere se galleggiano.

 

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Per chiudere oggi, riproponiamo un’immagine che Recce’d ha trovato via Twitter, nella quale uno dei più autorevoli, e qualificati, ed affidabili gestori che utilizzano le macchine, ovvero che affidano alle macchine gli ordini di acquisto che vanno poi a toccare i vostri soldi, dice alcune cose sulle quali noi vogliamo chiedere ancora ai lettori di riflettere, ed in particolare:

“In soli 8 mesi, le azioni di tipo “value” hanno battuto le azioni di tipo “growth” di 4.000 punti base. Io non ho visto nulla di simile in tutta la mia carriera”

Come già scritto sette giorni fa, a parere di Recce’d l’utilizzo dei modelli matematici e della finanza cosiddetta quantitativa potrà sicuramente portare dei benefici, e dei risultati migliori. Infatti in Recce’d operiamo anche con strumenti di analisi Quant (non quelli vecchi 40 anni), ma non affidiamo mai le scelte sui portafogli alla macchina, ovvero all’algoritmo. Per un investitore italiano, affidarsi in modo poco meditato a chi fa uso di algoritmi e modelli senza neppure averne compreso bene il funzionamento è un grosso azzardo: il mercato, infatti, richiede una sensibilità che alle macchine non può essere insegnata, come diceva più sopra Fraser Jenkins.

 

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