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JC perché riteniamo che quello attuale NON è un bear market

Tranne che in situazioni particolari di relativamente facile lettura (ad es. 11 settembre 2001), è difficile prevedere un bear market. Ed eventualmente la sua durata.

di La redazione di Soldionline 27 nov 2007 ore 09:31

Tuttavia lo studio, a posteriori, delle diverse fasi di mercato, potrebbe aiutare a fare delle supposizioni che siano in termini probabilistici avvalorate da statistiche e comportamenti ricorrenti del mercato.
Diversi elementi che in passato hanno contraddistinto mercati ribassisti, non sembrano esserci nella fase attuale, nonostante l'avversione al rischio e le ben note criticità a livello finanziario.
Il sentiment di mercato è mediamente molto negativo, la volatilità in forte aumento, molto diverse le performance tra indice e indice e soprattutto decisamente anomala la differenza tra i tassi a breve e i tassi ufficiali (soprattutto nell'area Euro).
Tuttavia gli elementi più ricorrenti nei bear markets negli Stati Uniti dal 1929 (p/e molto alti, deflazione e curva dei rendimenti inclinata negativamente) sembrano ancora estremamente lontani.
Rendendo così, in termini di probabilità, possibile che la fase attuale di pessimismo venga superata, per tornare ad una situazione di maggiore equilibrio per gli indici azionari.

Definizione di Bear market
Interessante e meno scontato di quanto si possa ipotizzare, è dare una definizione di bear market .
Non esiste infatti una definizione universalmente riconosciuta per un mercato rialzista o ribassista.
Generalmente si potrebbe utilizzare la classificazione prevalente nell'analisi tecnica che suddivide i trend di mercato in primario (un trend chiaro e definito), secondario (correzione di un trend primario) e secolare (da 5 a 25 anni).
La metodologia che preferiamo per definire un bear market è una correzione uguale o superiore dell'indice al 15%.
Dal 1929 le fasi di mercato in cui l'S&P500 (costituito nel 1943) o il Dow Jones Industrial Average hanno superato tale percentuale, sono state 14.
Di queste almeno 4 (1929,1937, 1973, 2000) hanno avuto una perdita uguale o superiore al 50%.

Stiamo attualmente entrando in un Bear market?
Osservando quindi a partire dal 1929 diverse fasi di mercato particolarmente negative per il DJ o l'S&P500, l'indice azionario che riteniamo più rappresentativo, emergono alcuni elementi comuni.
Innanzitutto la congiuntura economica prevalente. Una deflazione, soprattutto se estrema (1929, 1937), può essere una condizione sufficiente per provocare perdite considerevoli in un indice. La deflazione è una diminuzione del livello generale dei prezzi (generalmente a causa del calo della domanda) e non va confusa con la recessione, contraddistinta da crescita in calo per almeno due trimestri. I due fenomeni sono in realtà abbastanza legati, in quanto venendo meno le prospettive di crescita, si riducono gli utili societari con la conseguenza di fare esplodere i multipli. Che vengono poi ridimensionati con il successivo calo del prezzo delle azioni. Nella situazione attuale gli Stati Uniti soffrono il petrolio alto, le incertezze sul fronte dei mutui (e quindi del sistema bancario in generale), il mercato immobiliare debole. Nel terzo trimestre tuttavia la crescita del PIL è stata del 3,9%, e il possibile calo dei consumi dovrebbe almeno in parte essere compensato dall'aumento dell'export, che aiutato dal dollaro debole, viene stimato in crescita circa dell'1% al mese. Rispetto al passato inoltre la crescita è più equilibrata a livello geografico e soprattutto vi è una domanda di materie prime proveniente dai paesi emergenti, che dovrebbe semmai causare problemi di inflazione, non il contrario.
Una curva dei rendimenti invertita, ovvero inclinata negativamente, storicamente è stata sinonimo di recessione.
Quando la parte lunga della curva (il segmento che va da 10 a 30 anni) scende al di sotto dei tassi a breve, è un segnale che il mercato teme una congiuntura molto poco dinamica e quindi, poca o nessuna pressione sul lato dei prezzi (sia al consumo che alla produzione). Negli Stati Uniti al momento abbiamo i tassi a 10 anni a cavallo del 4%, con i Fed Funds al 4,75%,  il 3 mesi al 5%.
A prima vista la curva potrebbe quindi sembrare invertita, ed indicare chiaramente una recessione.
Tuttavia a 12 mesi i tassi scendono al 4,45%, per passare addirittura al di sotto del 3% a 3 anni.


Fonte: Bloomberg

La curva dei rendimenti è perciò correttamente inclinata. Le pressioni inflazionistiche derivanti da alcune materie prime (a causa di una domanda ancora pari o superiore all'offerta) rendono quindi, fino a che la domanda tiene, poco realistiche le ipotesi di recessione. Un ulteriore approfondimento dell'analisi riguarda la correlazione tra tassi a 10 anni e indice azionario. Dal 1962 la correlazione (-0,13) è leggermente negativa. A tassi in salita dovrebbe cioè corrispondere una borsa in discesa e viceversa. Ogni fase in realtà può essere diversa e non si può infatti nemmeno escludere che per periodi anche lunghi, tassi e indice possano andare nella stessa direzione.


Fonte JC & Associati

Infine una altra caratteristica delle fasi di consistente ribasso per un indice azionario sono i P/E, un efficace multiplo per sintetizzare la valutazione di un indice o di una società, su livelli particolarmente elevati. Una condizione ricorrente dei bear markets conclamati secondo la metodologia da noi utilizzata, sono infatti p/e ben al di sopra della media storica.






 Come possiamo al contrario osservare nel grafico da fonte Datastream che riporta i p/e medi dell'S&P500 degli ultimi 20 anni, siamo nella fase attuale nella fascia bassa del range. Inoltre la crescita degli utili finora realizzata nel 2007, è stata anche compensata da una revisione al ribasso degli utili prospettici. Altrimenti, includendo il 2007 e il 2008 nel grafico, saremmo in prossimità di p/e pari al minimo a 20 anni.

Conclusioni
Nelle fasi di ribasso dell'S&P500 che possiamo definire come bear markets, abbiamo individuato almeno 3 elementi tendenzialmente ricorrenti. Essi sono deflazione, curva dei tassi inclinata negativamente e p/e decisamente superiori alla media. Nell'attuale contesto macroeconomico prendendo come riferimento gli Stati Uniti, ovvero l'area maggiormente sotto pressione in questa fase, ci sembra che anche una sola delle 3 condizioni sia ben lungi dall'essere verificata. Propendiamo perciò a considerare la attuale fase negativa di mercato come un trend secondario, ovviamente ribassista, che prima o poi sia in grado di rientrare e ripristinare un andamento più equilibrato, se non addirittura rialzista, per l'S&P500 e gli altri indici azionari.

a cura di JC&Associati
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