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Lavoro, molte donne in Italia lo abbandonano quando nasce un figlio. Solo una su 10 sceglie il part time

Secondo uno studio della Bocconi, anche se laureate o istruite le italiane spesso rinunciano all'impiego principalmente per l'elevato costo delle cure dei loro piccoli. La ricetta per incrementare il tasso di occupazione femminile è spesa pubblica più alta per le famiglie, in particolare per la prima infanzia, e diffusione a tappeto di forme di conciliazione come l'orario ridotto

Milano, 21 mag. (Adnkronos/Labitalia) - Un talento sprecato. E' quello delle donne italiane che, anche se laureate o istruite, scelgono spesso di rinunciare al lavoro quando nasce un figlio. Il motivo? Principalmente l'elevato costo di cura dei figli, che rende conveniente non lavorare. Lo dimostra da uno studio ('Female education and employment, making the most of talents') di Alessandra Casarico e Paola Profeta di Econpubblica (il Centro di ricerche sul settore pubblico della Bocconi) presentato a Milano nel corso del workshop 'Institutions and the gender dimension', organizzato dall'Università Bocconi.La ricetta per incrementare il tasso di occupazione femminile è, dicono le studiose, spesa pubblica più alta per le famiglie, in particolare per la prima infanzia, e diffusione a tappeto di forme di conciliazione come il part time. Una combinazione che ha effetti benefici anche sull'istruzione femminile. Le ricercatrici hanno sottolineato che in Svezia, dove la percentuale di lavoro part time rispetto al lavoro totale è del 23%, la percentuale di donne tra i 25 e i 64 anni con un'istruzione superiore o universitaria raggiunge l'85%. In Italia, dove il part time è il 12,7%, tale percentuale è del 48%. Anche mettendo in relazione la percentuale di spesa pubblica per le famiglie con i livelli di istruzione e impiego femminili, lo studio evidenzia, tendenzialmente, un migliore rapporto là dove tale spesa è più elevata. Ne sono un esempio Svezia e Danimarca dove rispettivamente il 3,5% e il 4% del pil sono destinati a questo tipo di sostegno economico e dove la percentuale di donne con istruzione superiore è dell'85% e del 79%. In entrambi i Paesi, la percentuale di donne con istruzione superiore occupate supera il 75%. In Italia e in Spagna, due tra i paesi in cui le famiglie ricevono meno trasferimenti, poco più dell'1%, le donne più istruite non raggiungono il 50%, mentre quelle istruite e occupate sono il 65% e il 61%.''E' noto -ha spiegato Paola Profeta- che in paesi come l'Italia il tasso di occupazione femminile è molto basso, del 46,7% rispetto a un obiettivo di Lisbona del 60%. Meno noto è che in questi paesi donne con istruzione superiore o universitaria spesso non lavorano, a differenza degli uomini e a differenza di quanto avviene per esempio nei paesi scandinavi''. Questo accade, secondo il modello elaborato dalle due studiose, perché quando le donne devono decidere se istruirsi, non hanno un'informazione completa sui costi ai quali andranno incontro nella cura dei loro figli, nel momento in cui diventeranno mamme. ''Esistono quindi delle donne -continua Alessandra Casarico- che, una volta scoperto il costo di cura dei figli, se questo risulta molto alto, pur essendosi istruite ritengono conveniente non lavorare''. E la loro assenza dal mercato del lavoro, sottolineano Casarico e Profeta, ''genera uno spreco di talenti e una riduzione dell'output rispetto a quello potenziale che deriverebbe dall'investimento in capitale umano''.Una possibile soluzione per evitare questo spreco di talenti sarebbe di introdurre misure istituzionali che possano supportare le donne di fronte al mondo del lavoro. ''Sarebbe opportuna una politica di spesa pubblica a favore delle donne lavoratrici o una politica di sgravi fiscali', conclude Profeta. ''In presenza di un ambiente istituzionale e culturale ideale, la mancata conoscenza del costo di cura della prole, al momento della decisione sull'istruzione, non sarebbe un problema, perché tutte le eventuali differenze di costo effettivo rispetto a quello atteso sarebbero neutralizzate dalle istituzioni''. Incentivare l'accesso al mercato del lavoro almeno di tutte le donne istruite, valorizzandone pienamente i talenti e l'investimento in capitale umano significherebbe, conclude lo studio, collocare l'economia su un sentiero di crescita più elevato.
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