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È tempo che il Sol Levante torni a splendere

Accadde poco più di un anno fa, venerdì 11 marzo. Una giornata terribile, che nessuno potrà mai dimenticare

di Redazione Soldionline 30 apr 2012 ore 12:41

A cura di Lior Alkalay,  Senior Analyst di eToro

Accadde poco più di un anno fa, venerdì 11 marzo. Una giornata terribile, che nessuno potrà mai dimenticare. Una giornata che paralizzò il mondo intero, sconvolto da scene così devastanti che nemmeno i migliori creativi di Hollywood avrebbero potuto immaginarle. In un istante possiamo richiamare alla mente le immagini strazianti dei giapponesi terrorizzati in cerca di fuga  dall’inquietante onda nera, generata dal  forte terremoto e  che inondò le loro coste. Una devastazione terribile: più di 9.000 morti, 2.000 dispersi e 4,4 milioni di persone rimaste senza casa.
E, come se lo tsunami non fosse bastato, l’inondazione che ne  seguì diede inizio alla catastrofe nucleare nel distretto industriale di Fukushima. Le radiazioni contaminarono l’intera area, trasformando interi paesi  e villaggi in "città fantasma" e, simultaneamente, distruggendo ampie distese agricole nel nord est del Giappone.
E nonostante la morte, la devastazione e lo shock che hanno colpito non solo la loro terra, ma anche  la loro anima, i giapponesi non hanno mai perso il loro spirito, o la speranza.  No, nell’estrema difficoltà hanno resistito, e l’hanno fatto con incredibile, ammirevole dignità, calma, determinazione e perseveranza.

Purtroppo, morte e devastazione non sono stati il solo danno: il terremoto e lo tsunami hanno avuto anche un massiccio costo economico. La stima dei danni causati dallo tsunami e dalla fuga di radiazioni dagli impianti nucleari danneggiati è stata di oltre 180 miliardi di dollari. E questo considerando solo gli effetti diretti e non quelli secondari, quali la perdita di posti di lavoro, il potenziale danno economico derivante dalla perdita di terreni agricoli e altri danni sul lungo periodo, correlati all’inondazione e alle radiazioni. E mentre il mondo divenne testimone del valore del popolo giapponese, che affrontava con determinazione le conseguenze del disastro, la comunità economica, che aveva visto l’economia giapponese affondare per quasi tutto il ventennio precedente, immaginò che questa sarebbe stata l’ultima goccia e che questo – ultimo e gravissimo disastro – avrebbe eclissato il Giappone, la terra del sol levante. Una previsione che sarebbe stata smentita.


La maledizione dello Yen

La maggior parte degli investitori e non pochi analisti avevano previsto che il 2011 sarebbe stato un anno difficile per il Giappone, con una grave recessione economica determinata dalla paralisi di  gran parte dell’industria giapponese  per un periodo di tempo prolungato. Barclays Bank stimò un danno pari al 3% del PIL. Ma l’economia del Giappone, così come i suoi abitanti, resistette e  avviò un percorso di ripresa.
Alla fine, nonostante la devastazione, si registrò un notevole rimbalzo nell’attività imprenditoriale giapponese, che ha portato il PIL del 2011 a una contrazione solo dello 0,47%: una bella sorpresa per la maggior parte degli economisti. E questo nonostante il Giapponefosse stato costretto a rinunciare all’energia nucleare, soffrendo l’aumento dei costi per l’energia.

Certo, gli economisti continuano a tenere basse le aspettative di una crescita giapponese, evidenziando come  il Giappone fosse già alla fine di due decenni di scarsa crescita, con tendenza a una deflazione cronica, peggiorata dal rafforzarsi dello Yen - fatto che grava pesantemente sulle esportazioni.

Se si dovesse individuare un elemento specifico, che abbia fatto da ostacolo nell’economia giapponese negli ultimi due decenni, sarebbe certamente la forza della sua valuta. Nonostante la ripercussione economica dei disastri naturali sia stata enorme, è stato lo yen forte a pesare così gravosamente sull’economia giapponese, fino al punto da intorpidirla, mandarla alla deriva e affondarla lentamente.

Il Giappone è un paese orientato all’esportazione, per un valore totale delle merci esportate stimato in 800 miliardi di dollari (dati 2011). Pertanto, come in tutti i paesi esportatori, inclusi Cina e Brasile, una moneta di valore maggiore danneggia in modo significativo i profitti degli esportatori. Fin dagli anni ’90, lo si è notevolmente apprezzato, crescendo di  oltre il 50% in rapporto al dollaro statunitense.
Un apprezzamento aggressivo in tutti i sensi, ma anche di più se si considera che il Giappone non è un’economia emergente come la Cina, dove i lavoratori guadagnano poche centinaia di dollari al mese, ma un’economia moderna, pienamente sviluppata, con salari medi tra i più alti al mondo.
Un incremento del 50% del valore dello Yen, dunque, significa che i costi di produzione giapponesi  hanno subito una veloce impennata.
Solo recentemente  abbiamo iniziato a renderci conto degli effetti severi per gli esportatori giapponesi. Sony, il gigante dell’elettronica, ha annunciato il taglio di circa 10.000 dipendenti, pari al 6% della sua forza lavoro, e Toyota, il colosso automobilistico, ha stimato che l’impatto di un forte Yen sul suo profitto operativo sarà di 250 miliardi di Yen.



Il circolo vizioso
Il costo unitario del lavoro giapponese è talmente alto che il Giappone sta subendo un’ondata di diminuzione dei salari e, di conseguenza, di diminuzione dei prezzi. Quando i prezzi scendono, i cittadini preferiscono risparmiare piuttosto che spendere e, se il tasso di inflazione è negativo, anche un bond che frutta zero in realtà è positivo, giusto? Questo è l’inizio di un circolo vizioso – i cittadini giapponesi risparmiano, spingendo sempre più in basso i prezzi e sempre più in alto i bond.
In risposta, il governo giapponese “tenta” di bilanciare spendendo di più, ma il risultato è che i titoli di stato spingono ai margini il mercato obbligazionario privato: nessuna azienda può infatti competere con i livelli di sicurezza intrinsecamente garantiti da un titolo di stato. E così i prezzi seguitano a cadere, gli investimenti continuano a dirigersi verso  lo stato invece che verso le aziende e l’intero Paese si avvita su se stesso. E il ciclo riparte: i prezzi scendono, i bond salgono, lo Yen si rafforza, e così via.

Gli investitori sfidano gli economisti
Gli economisti vedono il Giappone come una potenza economica in declino, ed evidenziano come la crescita dei costi dell’energia si abbini alle esitazioni governative  nell’approvazione di  provvedimenti in grado di  rimediare al danno economico provocato dallo tsunami. Gli economisti notano anche che il governo giapponese tende ad avere un atteggiamento  liberista, di laissez-faire, nei confronti dell’aumento globale dei costi dell’energia. Atteggiamento che potrebbe derivare dal fatto che
il Giappone ha sempre contato sulla propria energia nucleare. Ma, in mancanza di questa, il governo non ha assunto un indirizzo  politico chiaro. Se si aggiunge a questo il problematico fattore Yen il tutto diventa un enorme peso che spingerà in basso la terra del sol levante.
Di fatto, gli economisti sostengono vibratamente che la mancanza di un piano strategico a lungo termine da parte del governo e il clima politico congelato suggeriscono che le possibilità di un cambiamento positivo sono esigue e che il declino del Giappone è inevitabile.

Gli investitori, però, stanno iniziando a vedere le cose in modo diverso e sempre più difforme dalla visione condivisa dagli economisti. Confidano sempre più che la terra del sol levante non solo risorgerà, ma tornerà a splendere. Se si guarda al Nikkei 225, principale indice del Giappone ed espressione del sentiment degli investitori, il quadro è tutt’altro che nero. Da quando il rally globale nei mercati  azionari iniziò nel mese di novembre, proseguendo fino a marzo 2012, il Nikkei ha avuto performance superiori alla  maggior parte degli indici più importanti, compreso S&P500, FTSE100, e Hang Seng, ottenendo un incredibile 17,9% solo quest'anno.

Sembra che, mentre gli economisti erano impegnati a discutere di come il Giappone avrebbe potuto sollevarsi dal fango, la comunità degli investitori abbia spazzato via le preoccupazioni politiche e abbia invece visto l'enorme potenziale di crescita e prosperità dell’economia giapponese. Gli investitori, infatti, stanno già testimoniando  un cambiamento.


Gli investitori hanno messo in evidenza alcune opportunità forti, in primo luogo il cambiamento di posizione della Banca del Giappone. Mentre gli economisti parlano della necessità di un cambiamento politico, gli investitori puntano sul cambio di marcia della Banca del Giappone, che ha fissato il target dell’inflazione all’1%. Nei fatti, questo significa che la Banca del Giappone si sta avvicinando sempre più alla Federal Reserve americana in termini di politica monetaria, preparandosi a stimolare l’economia con maggiori acquisti di titoli, parziale emissione di banconote e facilitazioni al credito fino al ritorno dell’inflazione. Tuttavia, impostare un target d’inflazione potrebbe essere considerato un mero espediente per nascondere il vero obiettivo della Banca del Giappone, ad esempio ricalcare la filosofia della Fed di stampare moneta per stimolare la crescita. La "cura Bernanke", infatti, ha mostrato notevole successo, considerando che gli Stati Uniti sono stati in grado di stabilizzare la crescita dopo aver vissuto una crisi del credito apocalittica.

Gli investitori vedono questo come un grande e fondamentale cambiamento.  Se l'inflazione comincia ad emergere in Giappone, sostenuta dalla Banca del Giappone, allora i rendimenti vicino allo zero dei titoli di stato giapponesi smetteranno di essere attrattivi e la domanda di Yen andrà scemando. E uno Yen più debole può portare la crescita del Giappone molto molto lontano. Il processo è già di fatto iniziato e lo Yen al momento si è stabilizzato sopra quota 80 rispetto al dollaro statunitense Alcuni tra coloro che inizialmente erano critici, tra cui Jim O'Neil di Goldman Sachs, che ha coniato il termine "BRIC", ora prevede che il rapporto Yen/Dollaro è destinato a raggiungere quota 100, fatto estremamente positivo per il Giappone. Gli investitori puntano anche sulle società giapponesi, ritenendole attrattive (saggia valutazione) e in grado di offrire nel complesso un buon valore a lungo termine. Ed è un altro modo per dire “crediamo nella capacità del Giappone di riprendersi”.

E dunque, chi ha ragione? Gli economisti pragmatici o gli investitori sempre più ottimisti? E’ ancora da vedersi, ma quel che posso dire in tutta sicurezza è questo: quando si tratta di individuare le opportunità, la storia ha dimostrato che gli investitori l’hanno quasi sempre vinta

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