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Individuare la propensione al rischio

La prima cosa da fare, propedeutica a qualsiasi altra, prima di investire il proprio denaro è di stabilire la propria propensione al rischio. Ce lo dicono Banca d’Italia e Consob e tutti gli intermediari finanziari prima di aprire con loro un qualsiasi tipo di rapporto

di Lucio Sgarabotto
Cosa facile a dirsi ma difficile a farsi. Infatti, la propensione al rischio - che può essere indicata come il grado di tolleranza alle variazioni del valore del patrimonio - è un’entità indefinita, quasi mai quantificabile, variabile nel tempo e condizionata da innumerevoli e svariati fattori quali la famiglia, le amicizie, le proprie conoscenze, i propri obiettivi, la stabilità finanziaria, l’andamento dei mercati, (dei ricercatori hanno addirittura ipotizzato che sia influenzata da mutazioni dei geni che regolano la dopamina e la serotonina) ecc.

Cito da noti testi di psicologia: “I cosiddetti tratti di personalità e/o le diverse situazioni socio-culturali ed ambientali sono solo parti di quella continua interazione tra l'essere umano ed il suo contesto di vita che determina il comportamento in situazioni di rischio. Le distorsioni culturali e le visioni del mondo condivise da ampi gruppi sociali modellano la percezione individuale del rischio (Douglas, 1966)”.

“Ogni comportamento ha quindi origini sia interne che esterne. L'unicità della costituzione e della storia di ciascun individuo lo rendono incline a determinati comportamenti, ma sono gli stimoli situazionali che provocano le risposte e sono i cambiamenti nelle condizioni ambientali che li alterano (Mischel, 1968)”.

Eppure se non si parte dallo stabilire in anticipo quale rischio si vuole o si può correre con i propri investimenti il fallimento è annunciato.
Allora che cosa fare?
  1. Prima di tutto porsi delle domande, non quelle quattro che si trovano solitamente nei questionari di profilatura degli intermediari che si limitano a chiedere quali strumenti finanziari conosciamo o abbiamo in passato acquistato, qual è la fonte e soprattutto l’ammontare del nostro reddito, qual è la finalità e l’orizzonte temporale dell’investimento e a cui si risponde contrassegnando con una crocetta l’apposito spazio. Oltre agli obiettivi del risparmio le domande che dobbiamo porci sono piuttosto: tali obiettivi possono essere anticipati o posticipati nel tempo?, quali conseguenze possono derivare dal non rispettare certe scadenze?, quale sarà il mio atteggiamento rispetto a rendimenti superiori/inferiori a quelli normalmente attesi?, qual è la perdita massima annua (in termini percentuali o in valore assoluto) che posso permettermi senza che ciò influenzi la mia vita o il mio umore?, nel caso si concretizzi in poco tempo la perdita massima ipotizzata quale potrebbe essere il mio stato d’animo?  e così via.
Dare una risposta razionale e sufficientemente corretta a tali domande è più difficile di quanto si possa pensare perché presuppone la capacità di immedesimarsi in situazioni che spesso non si sono vissute o che avranno comunque  degli aspetti diversi da quelle passate.
  1. Una volta fatta questa fatica è importante mettere sulla carta le risposte a tali domande per poter sempre verificare la validità del nostro test e la coerenza di ciò che stiamo facendo.
  2. Ripetersi le domande con una certa frequenza (anche semestrale) e controllare se le risposte coincidono con quelle date in precedenza, nel caso contrario aggiornare la documentazione (e, di conseguenza, l’asset al location del nostro risparmio).
Fatto ciò è necessario poi allocare le risorse finanziarie in modo coerente con le risposte date, trovare cioè quel portafoglio titoli che in qualsiasi momento soddisfi i criteri minimi che ci siamo dati.

Come farlo lo vedremo in un prossimo articolo.

Lucio Sgarabotto
lucio.sgarabotto@gmail.com

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