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Obama’s way sul Say on Pay

lunedì, 15 giugno 2009

Da buona pratica di azionariato attivo, il Say on pay sta per diventare legge nell’America di Barack Obama.

Con il termine Say on Pay – ce ne siamo occupati in un precedente post – si indica quella pratica degli azionisti attivi che, animati da considerazioni legate all’approccio SRI agli investimenti, e spesso sostenuti convintamente proprio da fondi SRI, vanno nelle assemblee annuali delle società quotate e chiedono informazioni sui meccanismi di remunerazione dei top manager, sui benefit, sui bonus, sulle liquidazioni faraoniche e sui mega-stipendi spesso non giustificati dagli effettivi risultati aziendali. Mega-stipendi che, com’è noto, sono finiti nell’occhio del ciclone durante questa crisi e hanno dato origine a una vera e propria “caccia al manager” di là e di qua dell’Atlantico.

Ora l’amministrazione del neo-presidente Usa ha deciso di autorizzare la SEC, la Consob statunitense, a richiedere obbligatoriamente che le società quotate ogni anno sottopongano al voto degli azionisti i compensi degli executive. Il che vuol dire che ogni anno l’assemblea dei soci dovrà pronunciarsi sulla bontà, la legittimità, la congruenza delle remunerazioni di cui beneficiano i dirigenti di massimo livello delle società presenti sui listini di Borsa.

La proposta, che deve essere ancora approvata dal Congresso degli Stati uniti per diventare legge, prevede che il voto riguardi i compensi che ricevono i cinque manager di più alto livello di ogni società quotata. Prevede però anche che il voto dell’assemblea non sia vincolante per la società, che può quindi continuare a decidere in merito a sua discrezione. Almeno in linea teorica.

È facile prevedere, infatti, che se già ora, soprattutto a crisi in corso, il Say on Pay ha guadagnato importanza, risonanza sui media, si può dire fama, ed è quasi temuto dalle società, che in buon numero sono corse ai ripari sul tema dei mega-stipendi, un domani, a legge approvata, sarebbe ancora più difficile per una società andare palesemente contro ad una risoluzione che raccogliesse la maggioranza dei voti assembleari o comunque una forte minoranza. Sarebbe un danno d’immagine, di credibilità e di reputazione non da poco.

Quello del Say on Pay pare proprio un caso classico in cui il movimento che si riconosce nelle istanze dello SRI è riuscito a precedere il legislatore, a segnare cioè la strada per successivi provvedimenti legislativi. Certo, ci vuole un legislatore attento e sensibile all’argomento, che abbia voglia di intervenire senza guardare in faccia a nessuno. Ci vuole Obama, insomma. Ma potrebbe comunque diventare un case study capace di dare forza all’investimento SRI. Che oggi è una buona pratica, domani potrebbe essere preso come spunto per una norma di legge.

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