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Redistribuire: sì, ma come?

La riforma fiscale del Governo e la proposta alternativa del centrosinistra non sembrano tenere conto di tre principi fondamentali. La redistribuzione si fa anche sul lato della spesa e non solo su quello del prelievo. In alcuni casi, come quello dei più poveri, si può fare solo sul lato della spesa.

di La redazione di Soldionline 22 mar 2005 ore 12:14
di Tito Boeri e Massimo Bordignon

Gli economisti sono in genere restii a pronunciarsi su questioni di equità distributiva. Si tratta di problemi di natura etica, e le categorie dell'economista mal si adattano ad affrontarli. Ma è bene che le scelte politiche siano informate sui loro effetti distributivi. Non è quanto sta avvenendo da noi. Il modo con cui si è discusso di equità in occasione del varo, da parte del Governo, della riforma Ire e il modo con cui il problema distributivo viene affrontato nella proposta alternativa del centrosinistra (descritta qui nell'intervento di DeVincenti e Paladini) testimoniano che siamo ben lontani dall'avere scelte politiche pienamente consapevoli.

Tre questioni appaiono essenziali: i) l'Italia è un paese molto o poco disuguale? ii) è meglio ridistribuire con la spesa o con le tasse? e iii) maggiore progressività nella struttura della tassazione sui redditi personali implica necessariamente meno disuguaglianze?


L'Italia due volte più disuguale

Nella tabella e nel grafico qui sotto presentiamo diverse misure delle disuguaglianze nei redditi - l'indice di Gini (una misura della distanza della società da una situazione in cui tutti hanno lo stesso reddito), il rapporto fra il reddito del 20 per cento della popolazione più ricco e il quinto più povero, la quota di individui con un reddito inferiore a due terzi del reddito mediano - con dati comparabili fra paesi (si veda l'intervento di Anthony Atkinson) e nel corso del tempo.
Tre fatti emergono con chiarezza. Primo, l'Italia presenta disuguaglianze dei redditi disponibili, al netto di tasse e contributi e al lordo dei trasferimenti, superiori alla media dell' Unione europea (sia a 15 che a 25 paesi). Secondo, la percentuale di famiglie con redditi inferiori a due terzi del reddito mediano è di circa 4 punti percentuali più alta in Italia che nella media dell'Unione a 15. Terzo, in Italia le disuguaglianze sono fortemente aumentate con la recessione del 1991-2 e non sono poi più diminuite. Siamo dunque diventati più disuguali, sia relativamente alla media europea che rispetto al nostro passato recente. Come già anticipato su questo sito, siamo anche diventati più mobili sul piano sociale e questo in parte ha contemperato l'accresciuta ineguaglianza, ma ha anche aumentato la percezione del rischio e la domanda di protezione da parte dei cittadini.







Fonte: da Boeri-Brandolini, 2004. Dati Banca d'Italia Indagine sui bilanci delle famiglie. Le linee verticali indicano 2 deviazioni standard sopra e sotto ogni stima puntuale.



Redistribuire con le tasse o con la spesa?

Nel dibattito politico vi è scarsa coscienza di questi problemi. La discussione in merito alla recente riforma dell'Ire ne è un chiaro esempio. I riferimenti all'equità e alla giustizia distributiva sono stati frequenti e impropri, da una parte e dall'altra. Eppure, è ovvio che i più poveri sono del tutto indifferenti a questo dibattito; essi non beneficeranno mai di una riforma fiscale, per la semplice ragione che già oggi non pagano le imposte, avendo un reddito inferiore alla soglia della 'no-tax area'. In altre parole, il riequilibrio della spesa sociale, a partire dalla riforma degli ammortizzatori sociali , è l'unico modo per ridistribuire risorse a favore dei cittadini più poveri.
Al di sopra di questo livello minimo si può ridistribuire sia concedendo trasferimenti che riducendo le imposte. Dal punto di vista concettuale, non esiste alcuna differenza: un sussidio monetario è soltanto un'imposta negativa. Si tratta, allora, di stabilire se in pratica sia più efficiente agire tramite il sistema tributario oppure attraverso la spesa pubblica. Se si ritiene che il sistema tributario già consenta di individuare adeguatamente le categorie da sostenere (per esempio attraverso le informazioni che gli individui danno su di sé in sede di dichiarazione dei redditi) una riduzione selettiva delle imposte è probabilmente un metodo meno costoso e più efficace rispetto all'introduzione di un sussidio, visto che non richiede l'introduzione di nuovi e complicati meccanismi burocratici e amministrativi . Viceversa, se queste informazioni sono carenti, è giocoforza necessario agire sul fronte della spesa, per evitare di sprecare inutilmente risorse scarse e di compiere redistribuzioni perverse a favore dei ricchi. Ma si deve comunque ricordare che l'intervento attraverso le imposte trova un limite invalicabile nel debito d'imposta del contribuente, la ragione per cui gli incapienti non potranno mai beneficiare di una riduzione delle imposte.


Più progressività dell'Ire vuol dire meno disuguaglianze?

L'Italia è uno dei paesi in cui le aliquote della tassazione dei redditi delle persone fisiche crescono di più all'aumentare del reddito. Eppure i dati ci dicono che la distribuzione dei redditi è tra le più disuguali in Europa. Una delle ragioni di questo apparente paradosso è che non abbiamo un efficace sistema di interventi sul lato della spesa, come gli ammortizzatori sociali. L'altra è che il sistema fiscale stesso è poco redistributivo. La tabella qui sotto - tratta da uno studio svolto nell'ambito del progetto Euromod - mostra per esempio che l'Italia è uno dei paesi europei in cui tasse e contributi contribuiscono di meno a ridurre le disuguaglianze.
Una ragione è che da noi sono molto importanti i contributi sociali (il 27 per cento del prelievo complessivo), di fatto una tassa proporzionale sui redditi da lavoro. L'altra è che abbiamo di fatto rinunciato a tassare in modo progressivo, o a tassare del tutto, gli altri cespiti. La tassazione dei consumi è debolmente regressiva, avvantaggia cioè più i ricchi che i poveri. La ricchezza, benché distribuita in modo assai più diseguale del reddito, gode di un trattamento assai favorevole da parte del fisco. I rendimenti della ricchezza finanziaria, quando non elusi del tutto, sono sottoposti alle aliquote più basse d'Europa. Quelli della ricchezza immobiliare, sono largamente legalmente elusi. Abbiamo perfino eliminato del tutto la tassa di successione, anche per i patrimoni più ingenti. Questo significa che l'intera capacità redistributiva del sistema si scarica su un'unica imposta, l'imposta sui redditi personali. Ma l'Ire incontra crescenti difficoltà a svolgere questo compito.
Non solo perché riduzioni di imposte sull'Ire non possono beneficiare chi già non le paga, ma anche perché l'Ire è largamente elusa o evasa. Di tutti i redditi prodotti nella società, i redditi da lavoro dipendente compongono oltre il 75% della base imponibile dell'Ire, oltre 20 punti in più della loro quota sul reddito nazionale. Inoltre, aliquote Ire elevate disincentivano l'offerta di lavoro e stimolano la fantasia nel cercare di evitarle.






Le proposte politiche

Di questi aspetti, c'è scarsa coscienza nelle proposte politiche.
Il Governo si è semplicemente dimenticato del tutto il problema, concentrando la riduzione dell'Ire sui redditi più alti e affidando tutto l'aspetto redistributivo residuo alla no-tax area e alla introduzione di oneri deducibili decrescenti sul reddito, con l'effetto prevedibile di generare aliquote marginali erratiche e crescenti ai livelli più bassi di reddito, preludio di insormontabili 'trappole della povertà' .
La proposta del centrosinistra, come qui rappresentata da De Vincenti-Paladini , mostra una maggiore comprensione dell'esistenza del problema redistributivo (proponendo anche trasferimenti monetari per gli incapienti e qualche riequilibrio nella tassazione delle rendite finanziarie), ma sconta l'illusione di credere che a un unico strumento, l'Ire, possa essere affidato il complesso dei compiti redistributivi. Senza rendersi conto che, vista la carenza di informazioni (per esempio sul patrimonio) contenuti nella dichiarazione dei redditi, si può finire con l'avvantaggiare chi non ne ha bisogno. Inoltre, la proposta del centrosinistra impone anche una revisione al rialzo delle aliquote Ire. Questo sembra poco sensato, sia sul piano dell'efficienza economica (per via degli effetti sull'offerta di lavoro e sull'evasione-elusione), sia sul piano equitativo, visto che aliquote elevate verrebbero pagate quasi solo dai lavoratori dipendenti










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