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La macchia d'olio

Gli abusi di mercato possono "inquinare" i mercati finanziari, minandone i meccanismi di funzionamento. Lo ha ben colto l'autorità giudiziaria, mentre la Consob pare timorosa di esercitare i suoi poteri. Soprattutto quando gli abusi nascono da comportamenti plurioffensivi, ovvero che hanno altri moventi, come il falso in bilancio. O nel perseguire l'ostacolo alle sue funzioni di vigilanza, come nel caso di una rappresentazione falsa o incompleta di fatti che incidono sulla formazione del prezzo

di La redazione di Soldionline 1 ago 2006 ore 11:45
di J. T. Kirk

Una macchia d'olio ha la capacità, se versata nell'acqua, di allargarsi e inquinare un'ampia superficie.

Allo stesso modo, vi sono comportamenti, scorretti, che per la loro pervasività, sono capaci di "inquinare" i mercati finanziari, minandone i meccanismi di funzionamento e finendo con il compromettere la fiducia del pubblico, elemento essenziale al loro corretto e ordinato funzionamento. Il riferimento è ai comportamenti detti "abusi di mercato" che incidono proprio sul meccanismo di formazione dei prezzi, motore dei mercati (rientrando in tale famiglia l'insider trading e la manipolazione).

Questo tipo comportamenti è stato colpito dal legislatore, recependo la direttiva 2003/6/Ce, con la legge n. 62 del 18 aprile 2005: ha introdotto un sistema di sanzioni amministrative che si affianca a quelle penali, ha inasprito le pene e ampliato i poteri di accertamento della Consob e dell'autorità giudiziaria. Le sanzioni pecuniarie sono state poi successivamente innalzate con la legge n. 262 del 28 dicembre 2005.

Il disvalore che caratterizza gli abusi di mercato sembra essere stato colto dall'autorità giudiziaria che ha intensificato la propria attività in questo campo attratta anche dagli strumenti d'indagine che le sono stati concessi (intercettazioni telefoniche) e dalla possibilità di sanzionare, con la giusta severità, comportamenti che altrimenti, anche a seguito di altre modifiche legislative che nel frattempo si sono succedute (si pensi alla nuova disciplina del falso in bilancio), sarebbero destinati a restare praticamente impuniti.

La percezione del disvalore che a questi comportamenti viene attribuito negli ordinamenti finanziariamente evoluti può essere fornita dall'esame della vicenda Enron nella quale i soggetti ritenuti colpevoli (si va dal falso in bilancio all'insider trading) rischiano una pena che si avvicina ai due secoli di carcere.

La Consob e gli abusi di mercato: troppa timidezza?

Per contro, la Consob non sembra aver ancora colto la reale portata delle norme sugli abusi di mercato e sembra quasi timorosa di applicarle e di esercitare i poteri che esse le concedono (sequestri, confische, audizioni, anche di giornalisti, richieste di intercettazioni telefoniche e collaborazione paritetica con la magistratura). Atteggiamento strano per chi sino ad oggi si è lamentato dell'inadeguatezza dei mezzi investigativi che poteva utilizzare, ma in linea con l'approccio avuto in tutti i più recenti casi, da Parmalat a Fiat, dalla Cirio a Giacomelli, da Rcs alle società di calcio quotate: non prevenzione dei problemi, ma mera lettura dei giornali per individuare quali potrebbero essere le linee investigative seguite dalla magistratura e azione limitata al far vedere che, comunque "si è arrivati". Poco, anche se sempre meglio di quanto recentemente fatto dalla Banca d'Italia.

L'autorità di controllo dei mercati, infatti, sembra essere ancorata a una visione ipertrofica degli abusi di mercato, impegnata, più che a esplorare i confini dei suoi poteri, ad autolimitarsi,.

La Consob non sembra ancora pronta a evolvere la sua visione, e a considerare che spesso gli abusi di mercato nascono da comportamenti plurioffensivi: si tratta cioè di comportamenti che benché abbiano altri moventi (ad esempio, il compimento di un falso in bilancio, l'evasione fiscale, la realizzazione di una truffa, l'abuso di posizione dominante o la realizzazione di un accordo lesivo delle regole di concorrenza), se interessano direttamente o indirettamente società quotate, finiscono con il costituire anche un abuso di mercato.

Infatti, se si alterano i dati contabili, si influenza la valutazione che gli investitori fanno della società e quindi le quotazioni dei titoli, così come, se si altera il risultato sportivo di una società di calcio quotata, si finisce con l'influire sui titoli della stessa o, ancora, se si aderisce a un cartello finalizzato a imporre ai clienti tariffe che non sono il frutto della libera concorrenza, si incrementano, illegalmente, i profitti, spingendo i titoli verso quotazioni che gli stessi non avrebbero potuto raggiungere in base a un corretto funzionamento del mercato. In particolare, per quanto attiene la manipolazione informativa, si tratta, di considerare come diffusione di notizie false, non solo la diffusione di notizie prive di fondamento (falso positivo), ma anche la mancata diffusione di notizie vere, che si sarebbe tenuti a diffondere (falso negativo) e la diffusione di notizie parzialmente vere o del tutto vere, ma rese in modo tendenzioso. È quanto dispone la lettera della legge (articoli 185, comma 1 e 187-ter, comma 1 del Testo unico della finanza). A ciò si aggiunga che l'articolo 187-ter, comma 3, lettera d) sanziona chi pone in essere "altri artifizi idonei a fornire indicazioni false o fuorvianti in merito (...) al prezzo di strumenti finanziari". Da questo punto di vista, comportamenti non rispettosi della libera concorrenza o truffe aventi a oggetto, ad esempio, l'alterazione dei risultati sportivi di società calcistiche o falsi in bilancio, sarebbero pienamente rientranti nella nozione di "altri artifizi", categoria che il legislatore ha posto volutamente ampia e non predefinita.

In altre parole, con un po' più di coraggio e severità, pronunzie dell'Autorità garante per la concorrenza e il mercato che sanciscano comportamenti di abuso di posizione dominante di società quotate dovrebbero quanto meno sollevare l'interrogativo se non si debbano aprire istruttorie per abuso di mercato. Lo stesso dubbio potrebbe insorgere se si riscontrassero bilanci falsificati (magari attraverso l'utilizzo di plusvalenze fittizie), o in presenza di comunicati falsi o incompleti resi da emittenti quotati per fatti price sensitive o, infine, se la magistratura accertasse truffe o altri illeciti (compresi ricatti e violazioni della privacy) che hanno visto come protagonista o come soggetto danneggiato una società quotata e che sono stati tali da influire sull'andamento e, quindi, sulla valutazione della stessa.

Informazioni incomplete ostacolano la vigilanza

Ancora, l'atteggiamento "prudente" e bonario della Consob traspare anche con riferimento ad altre fattispecie. Infatti, appare sin troppo cauta nel perseguire l'ostacolo alle sue funzioni di vigilanza. Una rappresentazione falsa o incompleta di fatti price sensitive effettuata dall'impresa nei confronti del mercato, che venga letta e valutata dalla Consob, potrebbe a certe condizioni rappresentare anche un comportamento di ostacolo (impedimento o ritardo) all'azione di vigilanza. Alterando il quadro informativo, non solo si influisce sulle scelte d'investimento dei risparmiatori, ma si inquina anche il quadro di riferimento sulla cui base la Consob formula le proprie decisioni.

Da questo punto di vista, quindi, quando un soggetto compie una manipolazione informativa è del tutto evidente che finisce, con tutta probabilità, anche per ostacolare le funzioni di vigilanza della Consob.

Non si tratta di creare automatismi, questo è chiaro, ma sarebbe lecito aspettarsi che, almeno in alcuni casi eclatanti, la Consob agisse in modo più incisivo, utilizzando tutti gli strumenti sanzionatori che il Tuf le mette a disposizione.

Viviamo in un paese in cui, benché i giudici siano tutti o quasi etichettati come "comunisti", nessun manager, anche se fosse sanzionato sia per aver falsificato un bilancio, sia per aver manipolato i titoli della società di cui ha falsificato il bilancio, e sia per aver ostacolato, con tale falsità, l'attività della Consob, rischierebbe di scontare sino a 189 anni di prigione. Ma è risaputo: il modello americano viene invocato solo quando fa comodo.

Sull'argomento leggi anche il recente articolo di Malcolm Duncan



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