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Il caso Unipol-Bnl tra mercato e autoreferenzialità

La non contendibilità di Unipol non è una buona ragione per impedirle la scalata a Bnl, in un contesto italiano dove non esiste alcun mercato degli assetti proprietari delle imprese quotate. La questione vera è sapere se il nuovo agglomerato disporrà di un cash-flow sufficiente per pagare gli interessi passivi sui debiti contratti, se dovrà alienare asset per rimborsare il debito, se potrà remunerare adeguatamente gli azionisti di minoranza.

di La redazione di Soldionline 23 dic 2005 ore 11:27
di Filippo Cavazzuti

I guasti che nel tempo l'intreccio tra politica e banche ha causato all'Italia sono pari solo a quelli prodotti dall'intreccio tra istituti di credito e imprese. Vi è da augurarsi che ciò non si ripeta nel caso Unipol-Bnl che, pur tralasciando il dibattito cortilizio sulla italianità delle banche, da subito è stato divorato dalla politica e costellato da acritici sostegni come da false e strumentali polemiche.

Una leva per crescere

Per mettere un po' di ordine conviene ricordare, a chi eccepisce la devianza dallo spirito cooperativo nel caso in esame, che Unipol che scala la Bnl è anche un ritorno alle origini.
Nel 1913 venne infatti costituito l'Istituto nazionale per la cooperazione che poi nel '29 divenne Bnl: dunque, il legame col sistema cooperativo Bnl l'ha nel suo dna. E ancor oggi sembra di sentire gli argomenti del 1913. Anche allora vi fu un dibattito politico pro e contro il movimento cooperativo in cui ebbe la meglio il pragmatismo della destra storica di Luigi Luzzatti insieme a quello di Giovanni Giolitti. E non si dimentichi che già al momento della sua nascita l'Istituto per la cooperazione aveva il compito di far uscire le cooperative dalla loro dimensione prevalentemente municipale. Al pari di quello che all'epoca si osservava in Germania, Austria e Inghilterra, si era capito da parte di chi non aveva preclusioni ideologiche che il movimento cooperativo aveva bisogno di una leva finanziaria per crescere e per contribuire allo sviluppo del paese.
Come diceva già Joseph Schumpeter nel 1911: la finanza è imprescindibile per la crescita economica, dunque anche per le cooperative. Caso mai, si può oggi osservare che parte del mondo cooperativo si trastulla con l'idea che "piccolo è bello", contribuendo al nanismo delle imprese italiane e dimenticando lo sforzo dei padri cooperatori di trasformare le cooperative di braccianti (scariolanti, come si diceva allora) in cooperative, ad esempio, di tecnici specializzati apprezzati in molte parti del mondo.

La non contendibilità

Altri eccepiscono la non contendibilità. Osservo che una società per azioni di diritto privato come Unipol (che non è una impresa cooperativa come molti hanno confuso) decida di scalare una banca è assolutamente fisiologico in un contesto di liberi mercati degli assetti proprietari.
L'idea che una spa, quotata in Borsa, non possa farlo perché presenta delle società cooperative non scalabili nella veste di soci di controllo pare invece fuori da ogni ragionevolezza nel contesto italiano ove non esiste alcun mercato degli assetti proprietari delle imprese quotate. Laddove, come rileva la Consob nella relazione annuale per il 2004, gli assetti proprietari delle società ammesse alla quotazione mostrano che la quota di controllo degli azionisti supera il 64 per cento, anche le imprese cooperative condividono il medesimo problema. Di fatto sono imprese non contendibili e anch'esse non beneficiano della pressione del mercato a una gestione più efficiente. Il tanto invocato modello della public company non si addice dunque alle imprese italiane cooperative o non cooperative che siano (le società non controllate di diritto, di fatto o da un patto sono appena 37 su 219 società quotate). Per non parlare del sistema bancario in larga parte controllato dalle fondazioni bancarie anch'esse non scalabili. Che dire poi delle ex municipalizzate che oltre a essere non contendibili sono anche monopoli legali?

Dove entrano in gioco i valori della cooperazione

Un aspetto del caso in esame spesso trascurato è invece quello del piano industriale e finanziario che sottende la scalata: si tratta come noto di un acquisto a debito in cui una piccola società, indebitandosi e con colossali aumenti di capitale, cerca di impadronirsi di una società assai più grande, ma anche di ciò abbiamo esempi in tutto il mondo. Dunque, la questione vera, così come si apprende dall'esame di casi analoghi anche italiani, è sapere se una volta che l'operazione sia stata portata a termine, il nuovo agglomerato disporrà di un cash-flow sufficiente per pagare gli interessi passivi sui debiti contratti, se dovrà alienare asset per rimborsare il debito, se potrà remunerare adeguatamente gli azionisti di minoranza. Quelli di maggioranza potrebbero trarre altri vantaggi dal controllo, non percepibili dai soci di minoranza che pure costituiscono il 35 per cento del capitale sociale Unipol spa.
Questo è un punto decisivo in questa vicenda, perché è qui e non altrove che devono entrare in gioco i valori della cooperazione. C'è da augurarsi che i soci di maggioranza di Unipol, ovvero le grandi cooperative, spesso autoreferenziate, che controllano la compagnia, vigilino sui comportamenti degli amministratori affinché questi facciano gli interessi di tutti i soci, non solo di chi li ha designati e che non traggano vantaggi privati dalla loro posizione di comando. Non a caso magistratura, Consob e Banca d'Italia stanno indagando sul rispetto delle norme che sovrintendono al mercato finanziario, sui compagni di strada un po' discutibili, e non certo se lo spirito cooperativo è stato rispettato o meno.
Se la scalata Unipol è operazione di mercato finanziario, altrettanto non si può dire con serenità dei rapporti finanziari coinvolti nella stessa e quasi tutti racchiusi entro il mondo della cooperazione il cui management mostra elevate dosi di autoreferenzialità che rischiano di allentare i controlli interni ed esterni.
Come si legge sulla stampa, ad esempio, la compagnia Aurora (controllata da Unipol), è ceduta in parte a Finsoe che controlla Unipol e ciò al fine di finanziare la scalata a Bnl. Parimenti, molte cooperative presenti in Holmo che, tramite Finsoe controlla Unipol, hanno acquistato azioni Bnl da retrocedere alla Unipol stessa. Altre cooperative hanno sottoscritto ingenti aumenti di capitale per finanziare la scalata alla Bnl.
Certo è che, salvo l'esistenza di patti non dichiarati alla Consob e al mercato, nulla vi è di vietato dalla legge o dai regolamenti. Ma, ad esempio, gli articoli del Tuf che escludono le società cooperative dall'osservanza delle norme in materia di aumenti di capitale (art. 135) e dalle disposizioni generale in materia di deleghe di voto (art. 137) contribuiscono a racchiudere in se stesso il mondo della cooperazione e a rendere poco trasparenti ed efficaci i controlli assembleari, come nel caso delle operazioni con parti correlate, e quelli interni come dimostra la crescita incontrollata della patologia del caso della Banca cooperativa di Lodi (ora Bpi).
Vivere da separati entro la grande casa del mercato finanziario non è vietato dalla legge, ma non contribuisce alla crescita del mercato stesso, rischia di allentare i controlli interni ed esterni sull'operato del management e sulle loro frequentazioni, indebolisce le pressioni dei mercati a una gestione efficiente, non agevola, in conclusione, la crescita dell'economia reale.




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