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Telecom Italia e la maledizione dei ri-leveraged buy out

Il dibattito su Telecom Italia sfugge ad un’osservazione assai scomoda per l’industria e la finanza italiane. Per metterla, finalmente, a fuoco, sarò costretto a "citarmi addosso". Scusate l’immodestia, ma è - pragmaticamente - per far prima.

di La redazione di Soldionline 23 apr 2007 ore 15:08
Nell'anno 2000 pubblicavo il libro Guida pratica al venture capital, FrancoAngeli. Verso la fine del volume mi abbandonavo ad alcune sconfortate considerazioni sulle tendenze emergenti nel capitale di rischio, anche (e soprattutto) in Italia. Nel capitolo intitolato 'Contro la degenerazione dei ri-leveraged buy out' osservavo che la compravendita con uso di leva finanziaria di aziende tra operatori professionali, cioè l'acquisto a leva di un'azienda che era già stata in precedenza acquistata a leva, presentava dei rischi assai insidiosi:

    'Cosa c'è di sbagliato in questo meccanismo dove tutti , alla fine, sono felici e contenti? Cosa c'è di sbagliato nella prassi che consente ai fondi chiusi di vendersi reciprocamente delle aziende e perpetuare, teoricamente all'infinito, un meccanismo d'investimento che promette elevati rendimenti? Non c'è nulla di sbagliato fintanto che non ci si chieda chi sarà l'investitore che, alla fine, resterà col cerino acceso in mano'.

Formalmente/giuridicamente ne' i 'capitali coraggiosi' radunati attorno a Colaninno e Gnutti, ne' Tronchetti Provera gestivano fondi chiusi ma, tecnicamente, hanno operato come investitori prevalentemente finanziari, secondo i quali il valore per gli azionisti si estrae prevalentemente dall'alchimia della leva finanziaria che dalla gestione 'industriale' in senso stretto. Colaninno e Gnutti usarono la leva finanziaria e Tronchetti l'ha usata, in un certo senso, in maniera ancora più disinvolta: sia in Telecom, sia in Olimpia.

Da questa doppia leva gravante sulla galassia Olimpia-Telecom è derivata la grave contraddizione nelle (in)compatibilità finanziarie di una Telecom che, per rimborsare il debito e finanziare gli investimenti, non avrebbe dovuto pagare dividendi, ma che era costretta a pagare dividendi per fornire ad Olimpia l'unica fonte di reddito in grado di mitigare gli oneri finanziari sul suo specifico debito.

In queste condizioni sono stati gli investimenti ad essere sacrificati (mi ri-cito):
    'Le aziende oggetto di leveraged buy out giungono al momento del disinvestimento normalmente più efficienti e col debito ampiamente ripagato ma, in alcune circostanze, vi giungono anche stremate sotto il profilo produttivo perché hanno sacrificato gli investimenti di rinnovo e di manutenzione. In questi casi le aziende non dovrebbero essere oggetto di un ri-leverage bensì di una robusta cura ricostituente a base di investimenti tecnici ed immateriali'.
Così avrebbe dovuto essere anche per Telecom dopo il primo leverage di Colaninno e Gnutti, la cura ricostituente dopo il dimagrimento. Invece, il ri-leverage del sig. Tronchetti Provera si basò su ipotesi non realistiche sul livello della competizione montante e, evidentemente, si affidò ad analisti finanziari ed a strateghi scadenti. Soprattutto ripropose l'idea semplicistica che la ricchezza per gli azionisti si crea con l'alchimia finanziaria mentre io credo che:
    'l'industria crea tutto, la finanza non crea nulla ma, se almeno è intelligente, aiuta l'industria a creare'

Infine, un commento non accademico sulla corporate governance della Pirelli: nel 2000 la Pirelli vendette le attività nei sistemi e nei componenti ottici alle aziende americane Cisco e Corning. Per questi affari con compratori americani, due dirigenti della Pirelli incassarono un 'premio' di circa 650 miliardi attraverso la vendita delle 'stock option' che in precedenza, con buon tempismo, erano state loro intestate nelle società vendute agli americani. Per la precisione a Marco Tronchetti Provera andò un premio, al lordo delle tasse, di circa 450 miliardi di lire, mentre il compenso di Carlo Buora (l'amministratore delegato della Pirelli) sfiorò i 200 miliardi. Con questo bottino sotto il materasso, capirete perché il dott. Buora ascolta con flemma anglosassone i 15 minuti di sfoghi di Beppe Grillo durante l'assemblea Telecom, cosa volete che gliene importi?

Ricordo ancora la dichiarazione di un analista finanziario, allora assai 'rappresentativo' della categoria, che, ai tempi della clamorosa stock option, dichiarò alla stampa che 'tutto era regolare'; suppongo che la boutique finanziaria per cui lavorava, avesse la Pirelli tra i suoi clienti, ma è solo una mia supposizione, perché altrimenti non riuscirei a giustificare una simile corbelleria, declamata in pubblico, per giunta. Anche la Consob, ovviamente (ne dubitavate?) non ebbe nulla da dire sulla singolarità di stock option attribuite su società controllate della holding Pirelli e non sulla stessa holding, come sarebbe stato ragionevole (a proposito, il dott. Cardia è scaduto dall'incarico di Presidente della Consob ma il Governo non lo sostituisce, forse per gli alti meriti da questo vantati ...).

Questi amministratori del gruppo Pirelli/Telecom restituiranno quelle laute ricompense alla Pirelli, quando il mercato avrà sanzionato la distruzione di valore per Pirelli dell'operazione Telecom? Voi cosa sospettate? Che le opzioni del sig. Tronchetti Provera sono probabilmente 'asimmetriche' rispetto ai guadagni ed alle perdite? Che i guadagni sono più dei 'furbaster'(1) che degli altri azionisti e che le perdite, invece, sono equamente divise? Lo temo anche io, ma se il dott. Tronchetti facesse un 'bel gesto' (evento fantascientifico), gli renderei omaggio. Perché non passi alla storia come il Tronchetto dell'Infelicità (degli azionisti di minoranza).




(1) 'Furbaster' è la variante milanese per 'furbetti del quartierino'.

Post Scriptum - Un 'merito storico' (diciamo così ...) la privatizzazione Telecom l'ha avuto: indicare la strada su come praticamente azzerare la fiscalità sulle plusvalenze azionarie. Il veicolo per conseguire tale risultato fu la Bell lussemburghese partecipata dai 'capitali coraggiosi' (e, a ragione, anche 'furbacchioni'). Quel modello ha fatto storia ed ha avuto almeno un emulo celebre, l'italianissimo Silvio Scaglia che deteneva il suo pacchetto in Fastweb tramite una soparfi lussemburghese. Questi episodi non mi inducono a chiedere al Governo la pronta repressione del fenomeno dell'elusione fiscale (nessuno ci crede più), ma mi inducono a chiedere che, per un principio di equità e di buon gusto, almeno il Governo non aumenti le imposte sui capital gain dal 12,5 al 20% alla massa dei cittadini italiani che non appartengono alla categoria dei 'furbaster'.




Paolo Sassetti
Analista finanziario indipendente






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