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Perché dobbiamo tornare a preoccuparci dell’inflazione negli Usa

Negli anni recenti l’inflazione è stata fuori dal radar degli investitori dato che i mercati sviluppati, in modo particolare Europa e Giappone, hanno lottato tendenzialmente di più contro le minacce di crescita debole e deflazione

di Redazione Soldionline 19 mag 2015 ore 10:42

A cura di Thanos Bardas, Head of Global Rates and Inflation Strategies di Neuberger Berman


Diversi indicatori mostrano un’inversione di tendenza nelle attese sull’inflazione made in USA

Negli anni recenti l’inflazione è stata fuori dal radar degli investitori dato che i mercati sviluppati, in modo particolare Europa e Giappone, hanno lottato tendenzialmente di più contro le minacce di crescita debole e deflazione. L’inflazione americana core è stata al di sotto dell’obiettivo del 2% fissato dalla Federal Reserve per 33 mesi consecutivi fino ad aprile, non esattamente una minaccia al potere d’acquisto. Tuttavia ora stiamo notando segnali di un maggior interesse per l’inflazione USA da parte degli investitori e riteniamo questa meriti di essere considerata all’interno dei portafogli obbligazionari.

inflazione_4Nel 2014 le paure deflazioniste erano alimentate dal calo del prezzo del petrolio, dalla debole crescita globale e dal rafforzamento del dollaro. A fine anno, infatti, circa il 14% dei titoli compresi nell’indice Barclays Global Treasury offrivano rendimenti negativi, riflettendo le tendenze di prezzo e l’impatto dell’aggressivo allentamento monetario su scala globale. Questo contesto ha scatenato poi un appiattimento sorprendente della curva dei rendimenti americana, con la differenza tra Treasury a 5 anni ed a 30 anni ristretta a 113 punti base dal livello più basso di 102 punti base toccato il 6 gennaio 2015. Tuttavia, da allora la tendenza è stata fortemente al rialzo, con la forbice che si è aperta fino a 132 punti base al 30 aprile.

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Fonte: Bloomberg

Le cause scatenanti della psicologia da reflazione (il ritorno dei prezzi su livelli precedenti la deflazione) sono molte e comprendono il recupero del prezzo del petrolio, la politica monetaria più leggera ed il miglioramento dei dati sull’occupazione:

·       il prezzo del petrolio WTI ha riguadagnato il 40% dal minimo di 43 dollari toccato il 17 marzo. La forma della curva dei future del greggio si è appiattita dato che i future del greggio front-end hanno registrato un rialzo significativo.

·       Il programma di allentamento monetario della BCE mira ad incoraggiare l’inflazione dell’Eurozona mentre la Fed è dell’idea di ritardare l’inizio del rialzo dei tassi, cosa che dovrebbe aiutare la crescita ed alimentare le previsioni sull’inflazione negli Usa.

·       La disoccupazione americana ad aprile è scesa al 5,4%, raggiungendo il livello più basso dal 2008. Si sta anche avvicinando al tasso NAIRU (il livello di disoccupazione al di sotto del quale l’inflazione tende ad aumentare), che potrebbe contribuire a pressioni sui salari.

Un indicatore di una possibile inflazione dei salari arriva dall’indagine sulle piccole aziende condotta dalla Federazione Nazionale del Business Indipendente (NFIB) che chiede agli imprenditori le loro prospettive sul salario orario. Mettere insieme questi risultati con l’indice del costo dell’occupazione (ECI) indica che potrebbero esserci degli aumenti salariali nel mese a venire. I costi unitari del lavoro in America sono già saliti dai minimi post-recessione, e per noi questo significa che anche l’indice dei prezzi al consumo (core CPI) dovrebbe iniziare una tendenza al rialzo.

Indice NFIB dei salari delle piccole aziende ed indice del costo dell’occupazione (ECI)
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Fonte: Bloomberg.

L’indice NFIB dei salari delle piccole aziende è un indice di diffusione che rappresenta l’aumento netto percentuale meno il calo nel corso degli ultimi 3 mesi, corretto secondo la stagione.

Dal punto di vista degli investitori, il potenziale per un miglioramento nell’inflazione non è andato perso, come evidenziato dall’accresciuta domanda di TIPS (Treasury Inflation Protected Securities) quest’anno. Fino a questo punto dell’anno gli investitori hanno acquistato il 72% di tutti i TIPS messi in asta, che corrisponde al livello più alto mai toccato dal 2003, mentre più flussi si sono mossi verso gli ETF che investono in TIPS (circa 611 milioni di dollari prima del report di aprile sull’indice dei prezzi al consumo). Queste tendenze sono state lette dal mercato come una grande scommessa su una sorpresa positiva dell’inflazione nei mesi a venire. Non sorprende quindi che i breakeven dei TIPS siano cresciuti marcatamente dal loro minimo del 2014.

I TIPS rispecchiano le preoccupazioni sull’inflazione

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Fonte: Bloomberg

L’inflazione americana resta sicuramente moderata.
Ma riteniamo che siano state poste le basi di un movimento al rialzo e che ulteriori cambiamenti nelle attese sull’inflazione, quando arriveranno, potrebbero sentirsi velocemente. In un contesto del genere, riteniamo che gli investitori dovrebbero considerare modalità per gestire l’inflazione nei loro portafogli, che sia tramite TIPS o attraverso altre asset class come le materie prime, il debito a basso rating, master limited partnership (MLP), trust immobiliari o certi settori azionari che tendono a resistere meglio delle obbligazioni tradizionali in periodi inflazionistici.

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