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Le banche centrali post Brexit

Post-Brexit, l’aspettativa che le principali Banche Centrali mondiali sarebbero intervenute in senso espansivo per contenere lo stress finanziario e macroeconomico è salita fortemente, contribuendo a stabilizzare i mercati

di Redazione Soldionline 27 lug 2016 ore 12:11

A cura di Dario Angelino, Analista Macroeconomico Wealth Management di Banca Intermobiliare

Post-Brexit, l’aspettativa che le principali Banche Centrali mondiali sarebbero intervenute in senso espansivo per contenere lo stress finanziario e macroeconomico è salita fortemente, contribuendo a stabilizzare i  mercati. Questo equilibrio difficilmente sarà sostenibile, dal momento che proprio il venir meno dell’urgenza di intervenire per frenare il diffondersi dello stress finanziario sta spingendo le Banche Centrali ad un atteggiamento più attendista.
boeLa prima a deludere le attese è stata la stessa Bank of England
, che nel meeting di luglio non apportato modifiche alla linea di policy. L’eventuale impatto negativo sui mercati finanziari è stato però contenuto dal comunicato estremamente dovish che ha segnalato il lancio di un pacchetto espansivo (taglio dei tassi, ritorno del quantitative easing e probabilmente estensione del programma di erogazione del credito Funding for Lending) nel meeting di agosto, tanto più che i dati macroeconomici che usciranno nel frattempo dovrebbero segnalare l’inizio della recessione già nel terzo trimestre (vedi i PMI preliminari di luglio citati più avanti).

La prossima Banca Centrale ad alto rischio di deludere le attese è la Bank of Japan nel meeting del 29 luglio, sulla quale le attese di un’espansione combinata monetaria e fiscale stanno progressivamente scemando.
bank-of-japanAnche se la BOJ ha una certa tendenza a cercare di prendere di sorpresa i mercati, il Governatore Kuroda non è finora parso propenso ad adottare misure espansive ancora più “non convenzionali” dopo aver introdotto i tassi d’interesse negativi e aver assorbito il 90% della nuova offerta di JGB con il suo “quantitative&qualitative easing”. La visita di Bernanke a Tokyo all’inizio del mese ha alimentato l’aspettativa dell’introduzione del “helicopter money” (finanziamento del deficit pubblico da parte della Banca Centrale, in questo caso tramite la sottoscrizione da parte della BOJ di JGB perpetui). Per questi motivi in caso di delusione delle attese le ripercussioni potrebbero essere significative, con un marcato apprezzamento dello yen.

bce_14Il consenso di mercato non si aspettava invece interventi da parte della BCE nel meeting di luglio, ma i toni relativamente rilassati del Governatore Draghi lasciano pensare che sia più bassa del previsto la probabilità di intervento in settembre, focalizzata sul prolungamento del quantitative easing e su alcune modifiche ai suoi parametri per evitare che si crei scarsità di certe emissioni (principalmente Bund). I commenti sulla possibilità per i Governi di intervenire a sostegno delle banche sono invece certamente positivi, vista l’imminenza degli stress test.

Analogamente, il FOMC di luglio non dovrebbe riservare sorprese significative. La linea della Fed era tornata più chiaramente dovish dopo alcuni dati macro piuttosto negativi (in particolare i nonfarm payrolls di maggio) ed i rischi per la stabilità finanziaria che provenivano dalla Brexit.  Da allora, il flusso di dati macroeconomici è nettamente migliorato negli USA e lo stress legato alla Brexit è scemato, ma non vi sono stati cambiamenti significativi dei toni nelle dichiarazioni rilasciate da membri del FOMC. Per queste ragioni la probabilità di rialzo dei tassi entro il FOMC di dicembre è passata da un minimo del 10% all’apice dello shock Brexit al 50% attuale. La Fed probabilmente preferirà mantenere le sue opzioni aperte, con diversi eventi importanti prima del FOMC di settembre (tra cui il simposio di Jackson Hole e due report sul mercato del lavoro) che possono fornire occasioni per modificare la linea di policy. Rimaniamo del parere che, oltre ad un rialzo di 25 bp in dicembre, la probabilità di ulteriori interventi sui tassi è molto bassa.

A dispetto della turbolenza dei mercati finanziari, lo scenario macroeconomico mondiale rimane estremamente stabile. Anche nel secondo trimestre 2016 la crescita dell’economia globale dovrebbe  essere risultata intorno al 2,5% su base annua, all’interno del range 2/3% prevalente dopo essere emersa dalla crisi del debito sovrano europeo, e la volatilità del ciclo economico mondiale è ai livelli più bassi dal secondo dopoguerra. Gran parte di questa stabilità è legata al fatto che gli shock continuano ad essere su base locale e regionale, compensandosi a vicenda, e che i cicli economici tra i vari Paesi o aree del mondo non si sono ancora sincronizzati. Le pressioni inflazionistiche continuano ad essere pressoché assenti, con l’aspettativa di un recupero nei Paesi Sviluppati e di riduzione nei Paesi Emergenti.

La crescita dell’economia USA, dopo il debole +1,1% del 1Q, dovrebbe essere tornata a crescere intorno al 2% nel 2Q e restare poco sopra il 2% nel secondo semestre. Anche se l’outlook per la spesa delle imprese rimane incerto e rappresenta il principale rischio al ribasso (la spesa per capex è debole anche fuori dal settore petrolifero ed i profitti aziendali sono in contrazione), la  spesa per consumi sta finalmente recuperando terreno dopo l’inspiegabile debolezza nel periodo di discesa del prezzo del petrolio (di cui avrebbe dovuto beneficiare) e la forza del settore immobiliare continua ad essere confermata. Nonostante il recupero dei nonfarm payrolls di giugno rispetto al crollo di maggio, il ritmo di creazione di nuovi posti di lavoro è ora mediamente sotto la soglia di 200.000 unità al mese prevalente negli ultimi 2 anni, ma intorno a 150.000 unità rimane ancora coerente con l’espansione dell’economia al di sopra del potenziale. Grazie ad un generale miglioramento del flusso di dati macroeconomici ed al forte rilassamento delle condizioni finanziarie, il rischio di recessione negli USA nei prossimi 12 mesi è diminuito, pur essendo stimato ancora intorno al 25/30%.

In Europa la crescita è rimasta relativamente stabile nel corso del primo semestre, con l’espansione nell’Eurozona intorno all’1,5% annuo e del 2% in Gran Bretagna. Post-Brexit, tuttavia, l’outlook è decisamente peggiorato, soprattutto in Gran Bretagna, dove gli indici PMI preliminari di luglio puntano all’inizio della recessione già nel 3Q 2016; l’impatto sull’economia dell’Eurozona non è ancora evidente ma potrebbe essere negativo dell’ordine di mezzo punto percentuale su base annua nel secondo semestre e nel 2017. La domanda domestica rimane il principale catalizzatore dell’espansione della zona Euro, con un crescente contributo positivo della spesa per gli investimenti.

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