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Le aziende che non innovano potrebbero uscire dall'S&P500 in 10 anni

È probabile che nei prossimi dieci anni oltre la metà degli attuali componenti dell’indice S&P 500 saranno sostituiti da altri, poiché le tecnologie dirompenti ne eroderanno i margini di profitto

di Redazione Soldionline 20 ott 2017 ore 10:36

È probabile che nei prossimi dieci anni oltre la metà degli attuali componenti dell’indice S&P 500 saranno sostituiti da altri, poiché le tecnologie dirompenti ne eroderanno i margini di profitto. Lo sostiene Michael Russell, gestore azionario US All Cap di Hermes Investment Management, nella sua nota di investimento di ottobre 2017. L'esperto si chiede come gli investitori a lungo termine sul mercato USA possano assicurarsi che i loro rendimenti non si riducano a causa della disruption.

Ecco un estratto della nota di investimento di Hermes Investment Management:

 

borsa-di-new-yorkLa composizione dell'indice S&P 500 è in rapida evoluzione. Oggi, una tipica società quotata sull’S&P 500 sopravvive all’interno dell’indice mediamente per 18 anni, rispetto a una media di 61 anni nel 1958. Si stima che, entro il 2027, oltre il 50% degli attuali costituenti dell'indice saranno sostituiti. E non si tratta di aziende da poco: negli ultimi anni sono stati i pesi massimi industriali a essere cancellati dall’indice. Eastman Kodak nel 2010 ha ceduto il posto a una società di cloud computing, mentre il New York Times è stato scalzato nello stesso anno da Netflix.

 

Figura: S&P500 turnover dei componenti, 2002-2017

entrate-uscite-sp500-2002-2017

Fonte: Hermes Investment Management, S&P Dow Jones Indices a fine Settembre 2017

 

Attualmente gli investitori nel mercato statunitense sembrano fare un forte ricorso agli investimenti passivi. Un mercato toro duraturo ha infatti dato origine a una mentalità secondo cui investire in fondi indicizzati è a basso rischio. No, non lo è.

 

I fondi indicizzati sono esposti a industrie in crisi e quindi alla conseguente perdita di valore di mercato indotta da fattori dirompenti. Un approccio comunemente adottato oggi dai rappresentanti della disruptive innovation è la strategia “winner-takes-all”, in cui l’azienda disruptive riduce i prezzi e aumenta gli investimenti per costruire un progetto più ampio attraverso le economie di scala. Nel tentativo di restare competitivi, anche gli operatori storici dell’industria riducono i prezzi, con conseguente calo dei margini e dei profitti in tutto il settore coinvolto. Ad esempio, la divisione retail di Amazon ha registrato vendite del secondo trimestre pari a 34 miliardi di dollari, riportando al contempo una perdita di 300 milioni di dollari.

 

Investendo in un fondo gestito attivamente, gli investitori a lungo termine possono ottenere l'esposizione alle società altamente innovative quotate in borsa, come Facebook, Amazon e Google - ed evitare le aziende più sensibili al rischio di digital disruption, riducendo così la propria esposizione a valori di mercato in calo.

Inoltre, i fondi indicizzati non sono esposti agli “unicorni” americani, ossia quelle società non quotate con valutazioni superiori al miliardo di dollari. Uber è l’unicorno USA di maggior valore, stimato quasi 70 miliardi di dollari, mentre Airbnb vale circa 30 miliardi di dollari.

 

La strategia US All Cap di Hermes detiene azioni di società che offrono prodotti e servizi essenziali, come acqua e aggregati, che difficilmente potranno subire gli effetti della disruptive innovation in futuro, così come quella degli “arch-disruptor”. Cerchiamo aziende con la capacità di resistere alla concorrenza e modelli di business collaudati che generino rendimenti interessanti nel tempo. Questo approccio ha portato a una sovraperformance netta annualizzata dello 0,8% dal lancio della Strategia nel maggio 2015.

 

Innova o soccombi

La principale causa di disruption è il rapido progresso tecnologico insieme all’accelerazione della sua adozione da parte dei consumatori. Le ricerche di Gartner suggeriscono che il tasso di sviluppo tecnologico è esponenzialmente più rapido della velocità con cui operano la maggior parte delle imprese. Per sopravvivere, le aziende hanno bisogno di business difendibili che rendano difficile acquisire forza ai nuovi concorrenti. In caso contrario, vi è il rischio concreto che il progresso tecnologico e i profondi cambiamenti tecnologici dei modelli aziendali portino a un aumento del tasso di default nei prossimi 10-20 anni.

 

Un recente summit Amazon Web Services, dal titolo “Scaling up to your first 10 million users”, ha sottolineato la portata della minaccia per gli operatori esistenti dovuta alla disruption. La possibilità di affittare capacità extra per i server dai fornitori di servizi cloud ha effettivamente spianato la strada verso l’avvio di nuove tecnologie. Di conseguenza, per diventare un fattore di disruption, tutto ciò che serve sono un computer portatile e una buona idea.

 

Società esposte al rischio di tecnologie dirompenti

Attualmente, alcune società quotate sull’S&P 500 sono molto esposte alle tecnologie dirompenti. Per fare alcuni esempi:

  • Exxon Mobil, Chevron, GE: la transizione dai combustibili fossili alle energie rinnovabili ha avuto un impatto sulle imprese del settore energetico e industriale.
  • IBM, Intel, Cisco: l’emergere del cloud computing ha portato alla commercializzazione dell’infrastruttura di sistemi di comunicazione.
  • Pfizer, Merck, Johnson & Johnson: le scoperte rivoluzionarie nel campo dei farmaci hanno ridotto il periodo di vantaggio competitivo a favore dei farmaci leader.
  • Verizon, Comcast, Walt Disney: l’impennata della pubblicità digitale e dei servizi in streaming ha messo a repentaglio i contenuti e i modelli di distribuzione tradizionali.
  • Wal-Mart Stores, Nike: la penetrazione del commercio elettronico sta trasformando i servizi ai consumatori. Oggi il commercio elettronico rappresenta il 15% delle vendite al dettaglio nel Regno Unito, contro solo il 7% negli Stati Uniti.

 

Autosufficienza

Le valutazioni di alcuni operatori preesistenti sono state tuttavia sostenute da dividendi e buyback interessanti. Nel 2009, il 60% dei guadagni delle società dello S&P 500 è stato speso per dividendi e riacquisti di azioni proprie. Tale rapporto ha superato il 100% nel 2015 ed è salito al 131% nel primo trimestre 2016.

Le imprese che sono più in difficoltà a livello strutturale sono spesso le più attive nell’acquisto di azioni proprie. Ad esempio, Hewlett-Packard (HP) ha investito 47 miliardi di dollari in riacquisti di azioni proprie nell’ultimo decennio, quasi il doppio della capitalizzazione di mercato attuale. In questo intervallo di tempo, HP ha dovuto far fronte a minacce persistenti da parte di concorrenti disruptive, nel periodo in cui i gusti dei consumatori si sono gradualmente spostati da PC e notebook verso smartphone e tablet.

Nel contempo, altre società blue chip si trovano a pagare dividendi che non sono più coperti dal flusso di cassa disponibile. Una di queste è GE.
L’andamento dei dividendi e dei riacquisti di azioni proprie potrà probabilmente favorire un supporto nel breve termine ai corsi azionari, ma con il pericolo di aumentare i rischi finanziari a lungo termine.

 

Il senno di poi è meraviglioso - ma la lungimiranza è meglio

Le tecnologie dirompenti stanno accorciando la longevità delle aziende quotate sull’indice S&P 500, poiché ne erodono i margini di profitto.

È fondamentale che gli investitori di lungo termine gestiscano oggi il rischio derivante dalla disruptive innovation (o innovazione dirompente) anziché investire passivamente fino al 2027, quando metà degli attuali componenti dell’indice S&P 500 potrebbe non essere più quotata.

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