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Italia 2015: alla disperata ricerca della crescita

La speculazione contro il nostro debito pubblico doveva essere stroncata sul nascere dalla Banca Centrale e non affidata ad una inversione delle aspettative legata ai provvedimenti di austerity

di Redazione Soldionline 30 dic 2014 ore 14:19

A cura di Paolo Balice, Presidente AIAF

Se un padre di famiglia avesse un grosso debito quale sarebbe la soluzione migliore?
1) Essere in condizione di lavorare di più e di aumentare il proprio reddito per aumentare la probabilità di avviare una restituzione progressiva di quanto dovuto oppure
2) concentrarsi su un piano di privazioni per se e i suoi familiari senza preoccuparsi se questa situazione sia sostenibile e compatibile con un aumento del lavoro/reddito e se possa ottenere il necessario consenso in casa.

italia_5Può servire questa domanda per sintetizzare la necessità di una svolta di politica economica in Europa che aiuti l'Italia ad uscire dalla morsa fatta da stagnazione e debito pubblico? Come se ne esce? La parola magica sembra essere riforme: mercato del lavoro, pubblica amministrazione, giustizia. E' vero, l'Italia deve recuperare produttività su molti fronti.

Qualcosa è stato fatto sulle pensioni, sui debiti della pubblica amministrazione, con il recente jobs act e con l'eliminazione sia pur edulcorata delle Province. L'avvicendarsi di tre governi in pochi anni non ha aiutato, l'accumularsi di decreti attuativi e il passaggio di consegne hanno rallentato il passo.

Il riaffacciarsi alla ribalta di Standard&Poors con il recente downgrade ci riporta quindi alle motivazioni di quello del 2011 nel pieno della crisi del Debito Sovrano. In quella occasione la decisione delle agenzie di rating era legata a due considerazioni: l'inevitabile recessione a seguito dei provvedimenti finalizzati ad anticipare il pareggio di bilancio (e si parlava solo dell'accettazione dell'avvicinamento del pareggio di bilancio ancora prima dei “duri” provvedimenti del Governo Monti) e l'assenza di una governance della BCE in queste situazioni.

La verità è che la speculazione contro il nostro debito pubblico doveva essere stroncata sul nascere dalla Banca Centrale e non affidata ad una inversione delle aspettative legata ai provvedimenti di austerity.

Il paradosso è che l'Italia è l'unico Paese europeo che ha subito una crisi di fiducia sul debito pubblico ed una pesante recessione senza gravare di un euro sul bilancio dell’Unione Europea. Ha pagato su tutti i fronti la nostra incapacità o debolezza politica, nonché la nostra incapacità di “chiedere aiuto”, incappando indirettamente in un esito degli stress test non benevolo nei confronti di un sistema bancario nazionale al quale non è stato versato un soldo sia dallo Stato Italiano (i Monti bond sono stato un onerosissimo prestito) che dall’Unione Europea.

Nel 2011 la corsa contro il tempo (è rimasta nella storia la prima pagina del Sole 24Ore con cubitale “Fate Presto”)
partita in fretta e furia in attesa che si palesasse l'agognata strategia della BCE ha portato in sintesi ad un ulteriore inasprimento della pressione fiscale, al credit crunch, all'ampliarsi delle incertezze legate a un opportuno allungamento dell'età pensionabile ma anche fonte della questione esodati. Ne è scaturito alla fine il crollo di consumi e degli investimenti con il rapporto debito PIL che è schizzato sopra il 130%.

Negli ultimi 4 anni l'Italia è riuscita (con l'aiuto della BCE e aiutata dalla “fame di cedole” in un mondo a tassi zero) a evitare il default ma ha peggiorato drammaticamente tutti i principali indicatori economici. Da qui, se volete, il nuovo downgrade.

Nessuno dubita quanto sia importante la partita delle riforme e forse la crisi è in questo senso un'opportunità per cambiare strutturalmente il Paese. Ma si è perso un ingrediente fondamentale per la crescita: la fiducia. Causa ed effetto di tutto questo: l'instabilità politica, un crescente clima “pre-rivoluzionario” o, nella migliore delle ipotesi, di sfiducia e disincanto, con il 50% degli elettori del 2013 rappresentati da astensione e nuovi vigorosi movimenti di protesta. Se vogliamo il paradosso che l'unico indicatore che è migliorato è il tasso di risparmio, che sta a significare sostanzialmente “paura del futuro”, visto che si tratta probabilmente del famoso risparmio precauzionale.

Significativo il caso Expo: potrebbe essere l'innesco di una nuova fase di crescita ma i media ne parlano poco e il Governo non prende rischi nel cavalcare questa opportunità. L'uomo della strada si attende una debacle o al massimo un’edizione dell'Expo in sordina.

In questa fase chiedere un maggiore aiuto alle banche non sembra il punto centrale:
queste sarebbero ben liete di finanziare investimenti da parte delle imprese sane, quelle che sono realmente in grado di farli gli investimenti, di ripartire e di trainare la ripresa del Paese. Sussiste la comprensibile ritrosia delle banche nel finanziare in molti casi il capitale circolante: con i crediti problematici in forte crescita, è rischioso coprire il differenziale tra incassi e pagamenti di aziende vittime della recessione e che peraltro, in molti casi, sono strutturalmente sottocapitalizzate.

La situazione attuale è quindi il risultato di ritardi strutturali dell'Italia, dei vincoli imposti dall'Europa e di errato timing nel gestire la crisi del debito sovrano del 2011. L'inerzia della BCE, pur tra mille contrasti, sembra superata ma “il cavallo drammaticamente non beve” e la politica monetaria da sola non ce la può fare. L'Italia è sotto osservazione fino a marzo 2015 perché, in estrema sintesi, la manovra mette insieme la certezza del taglio delle tasse sul lavoro all'incertezza che tipicamente avvolge la spending review. Ma il segnale del Governo è stato chiaro: meno soldi al pubblico e più al privato, per cercare disperatamente di far ripartire l'economia, con il conforto della riforma del mercato del lavoro tesa ad oliare i meccanismi delle assunzioni.

Visti gli scomposti proclami contro l'Euro di alcuni, l'autolesionismo di molti nel drammatizzare la situazione e nell'autoalimentare la sfiducia, nonché i “rimbrotti” tedeschi quanto mai inopportuni nei confronti di un Paese che sull'altare dell'aggiustamento dei conti ha già pagato un prezzo altissimo, confidiamo nel buon senso e nell'ottimismo degli altri. Iniziamo da domani, ad esempio, a spostare l’attenzione sui progetti dell'Expo verso la prima pagina, a lasciare che la magistratura faccia il suo corso senza permettere che gli scandali intralcino, per calcolo politico, il lavoro di chi deve guidare il Paese fuori dalla recessione. Verso questi uomini di buona volontà, italiani o europei che siano, rilanciamo il motto del 2011: “Fate Presto”.

La situazione e le prospettive macroeconomiche
La dinamica ciclica dell’economia italiana evidenzia una persistente stagnazione, dopo le profonde recessioni degli ultimi 5 anni. Alla forte discesa del PIL del 2009 (-5,5%) ha fatto seguito un biennio di moderata ripresa (1,2% in media) e dal 2012 è ricominciato un calo che, seppur più moderato rispetto al 2009, è comunque da allora ininterrotto. A ben vedere gli ultimi due anni hanno visto un progressivo miglioramento che si è tuttavia concretizzato unicamente in un minor calo della domanda interna e dunque del PIL, a fronte di una domanda estera che si è sostanzialmente stabilizzata su livelli di crescita minimi.

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Alla base di una fase congiunturale sostanzialmente stagnante ci sono dunque due fattori:
1) Il modesto recupero dei consumi, dopo la forte caduta determinata prevalentemente dalla significativa restrizione fiscale dal 2011, a fronte di un perdurante calo degli investimenti in macchinari, attrezzature e costruzioni;
2) La debole dinamica delle esportazioni nette, complice il rallentamento di alcune economie di sbocco e un moderato aumento delle importazioni.

Con riferimento alla domanda interna le prospettive restano legate ai margini di minor restrizione fiscale, quali emergenti dalla legge di Stabilità che per il 2015 incorpora diverse misure di stimolo all’economia, anche se di entità limitata. Peraltro, il significativo calo dell’inflazione determinerà, dopo anni di calo, un aumento del reddito disponibile reale, che è atteso alimentare la crescita dei consumi che già nel 2014 hanno interrotto il forte calo dell’anno precedente.

Sul fronte degli investimenti vanno sottolineate le misure incentivanti rappresentate dalla cosiddetta Sabatini bis, per le PMI, e il credito d’imposta del 15% sull’intero universo delle imprese, con un meccanismo simile a quello della vecchia legge Tremonti. Il settore immobiliare resta invece stagnante, anche se per il 2015 le previsioni vedono una moderata ripresa delle transazioni.

Dalla domanda estera verrà ancora una volta la principale spinta all’economia italiana. Sebbene diverse economie di Paesi emergenti stiano rallentando e la crisi russoucraina abbia significativamente ridotto l’export italiano verso quell’area, la forza della domanda dalle economie anglosassoni e dell’Asia continua a costituire un robusto supporto alle esportazioni del nostro Paese. Ad alimentare la domanda estera c’è anche il pronunciato indebolimento dell’euro che, nell’entità finora determinatasi, è in grado di incrementare la crescita economica intorno allo 0,3% del PIL nel prossimo anno.

Un ulteriore fattore di stimolo alla crescita economica è rappresentato dal forte calo del prezzo del petrolio. Il livello della quotazione del greggio si è ridotto più del 40% nella seconda metà dell’anno, determinando un significativo calo dei costi energetici. I principali canali di trasmissione a sostegno dell’economia sono:
1) Riduzione dell’inflazione e aumento del potere d’acquisto dei salari;
2) Riduzione dei costi energetici per le imprese e dunque stimolo alla produzione e agli investimenti.

A tali effetti favorevoli va a contrapporsi, parzialmente, la minore domanda di prodotti italiani proveniente da Paesi produttori di petrolio che di riflesso vedono i loro redditi diminuire. L’effetto netto di tali componenti è comunque da noi stimato positivo e pari a circa lo 0,2% del PIL, soprattutto grazie a un’attesa ripresa dei consumi, poiché gli investimenti continueranno probabilmente a soffrire di un’elevata capacità produttiva inutilizzata.

Sul fronte dei prezzi l’effetto disinflazionistico del prezzo del petrolio è già evidente, e ha contribuito a determinare un tasso d’inflazione finanche temporaneamente sotto lo zero.

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